Ormai la politica ci ha abituati a tutto, ma devo dire che vedere il Presidente neoeletto degli Usa presentarsi alla prima conferenza stampa minacciando di occupare militarmente Panama e la Groenlandia e di annettersi paesi sovrani e da sempre amici come il Canada, onestamente un certo effetto lo fa, specialmente per chi ha lontana memoria degli equilibri del vecchio mondo bipolare e degli usuali modi della politica fondati sulla prudenza e sulla allusione più che sull’esplicito dire.

Non si creda tuttavia che alzare la voce sia sempre un segno di forza, anzi più probabilmente è esattamente il contrario. Lo stesso slogan trumpiano Make America Great Again la dice lunga sul bisogno di riacquisire una potenza globale che appare, se non del tutto perduta, almeno in forte declino. La vecchia accoppiata vincente dollaro più esercito sul piano geopolitico funziona sempre meno.

La dedollarizzazione è un fenomeno ormai ampiamente studiato, ed è probabilmente anche il risultato di una politica estera aggressiva che prevede sanzioni per ben 23 paesi. Fatto sta che le riserve valutarie in dollari delle banche centrali hanno registrato nel quarto trimestre del 2023, col pur notevole 58,4% del totale, il dato più basso dal 1994, e la presenza sempre più significativa dei BRICS+ sui mercati globali sta restringendo notevolmente l’uso della valuta americana come moneta dominante negli scambi internazionali.

Sul piano militare la forza degli Usa resta indiscutibile, come attestato dalla presenza di 642 basi operative in 76 paesi. Tuttavia è stato fatto notare che nei 64 conflitti nei quali gli Usa sono stati coinvolti dalla fine della Seconda guerra mondiale, quasi mai sono risultati vincenti in modo conclusivo. La loro presenza ha prevalentemente un ruolo di contenimento e controllo dei territori che non può mai darsi in modo definitivo e che col tempo tende a farsi sempre più difficile.

Ma il dato più significativo di un decadimento che fa pensare ad un declino tendenzialmente irreversibile, non riguarda tanto la politica estera quanto la condizione interna del paese. Il discorso sarebbe lungo. Cercheremo di esemplificarlo attraverso qualche riferimento rilevante.

Il dato più eclatante della crisi sistemica del paese è riferibile alla crescita ormai esponenziale delle differenze sociali. L’1% più ricco possiede il 35,6% della ricchezza privata totale, che comunque è per il  75% nelle mani della popolazione bianca. Oppure, detto altrimenti: i 400 cittadini più facoltosi possiedono quanto i 50 milioni più poveri. D’altra parte i senza tetto sono in costante crescita e al momento risultano essere più di 115 mila, soprattutto concentrati nelle grandi metropoli.

La disgregazione sociale che tale situazione produce porta ad una costante crescita dei reati e della repressione poliziesca e giudiziaria. Il numero degli omicidi volontari oscilla tra i 7 e gli 8 per centomila residenti, che giusto per avere un’idea è di ben 15 volte superiore a quello italiano fermo intorno allo 0,5, che significa in pratica uno ogni duecentomila abitanti. La popolazione carceraria tocca il dato sbalorditivo di oltre 2 milioni di individui, in pratica 565 per centomila cittadini, che, pur in mancanza di dati certi, è sicuramente tra i più alti, se non il più alto, dell’intero pianeta. A questo bisogna aggiungere la stima di 45 milioni di individui affetti da disturbi mentali e di 17,5 milioni di analfabeti funzionali. Per non dire dell’aspettativa di vita più bassa e del tasso di mortalità infantile più alto rispetto a quelli degli altri paesi sviluppati.

Questa crisi di lungo periodo sembra inserirsi nella inevitabile caduta dell’intero Occidente. Tuttavia tra Usa ed Europa vi è una differenza sostanziale. Mentre al vecchio continente (almeno entro le logiche globali e competitive dell’attuale modello capitalista) non resta che prendere atto della propria condizione di malato terminale, gli Stati Uniti hanno ancora parecchie carte da poter giocare nel tentativo di scaricare sul resto del mondo la propria crisi strutturale e sistemica. A mio avviso (e non solo mio) questo tentativo sul lungo periodo è destinato al fallimento, ma intanto ce n’è abbastanza per alimentare la speranza.

Trump e il trumpismo in sostanza sono esattamente questo: la speranza “disperata” che grida al mondo la sua voglia di potenza per intimidire gli altri ma soprattutto per dare coraggio ai propri concittadini. Sui possibili esiti tragici di un tentativo il cui fallimento potrebbe rappresentare una catastrofe per l’intera umanità torneremo alla fine del nostro ragionamento. Prima apriamo una parentesi sulla persistenza, pur nella crisi, di alcuni punti di forza della potenza a stelle e strisce.

Dell’esistenza di una grande potenza militare abbiamo già detto. Per ragioni di spazio accenniamo solamente alla grande capacità di influenzare l’opinione pubblica attraverso il controllo dei social media. Soffermiamoci invece, brevemente, sulla capacità di penetrazione e controllo dei mercati finanziari. Negli Usa vi sono i tre più grandi fondi di investimento a livello globale: le cosiddette Big Three. Le loro risorse sono enormi: BlackRock, la più potente, controlla un capitale pari a 11,5 miliardi di dollari, seguono Vanguard con 10,1 miliardi e State street con 4,4 miliardi.

Complessivamente fanno la cifra pazzesca di 26 miliardi di dollari, che per capirci corrisponde a una grandezza pari a più del 25% del Pil mondiale, e che è quasi uguale al Pil degli stessi Usa, che nel 2023 è stato di 27,33 mila miliardi di dollari, mentre è nettamente superiore alla ricchezza prodotta nello stesso periodo nell’intera UE, pari a 18,34 mila miliardi. Tutto il ciclo della produzione di beni e servizi è di fatto posto sotto tutela attraverso il controllo dei pacchetti azionari delle maggiori aziende a livello globale. Tra queste anche le Big Pharma e le imprese produttrici di armi, di cui tanto si è parlato in questi ultimi anni a seguito della pandemia da covid e poi della guerra in Ucraina (l’italiana Leonardo che sembrava esente da questo tipo di penetrazione ha annunciato di recente l’acquisto del 3,5% delle proprie azioni da parte di BlackRock).

Questa capacità di controllo è fondamentale anche per indirizzare la ricerca intorno allo sviluppo delle nuove tecnologie. I grandi fondi hanno una presenza pressochépressocché dominante pure nel cosiddetto Venture Capital  attraverso il quale si promuovono le ricerche più innovative finanziando le aziende in fase di startup. È soprattutto attraverso questa grande forza finanziaria che gli Usa riescono a tenere il passo dello sviluppo tecnologico nei campi fondamentali dell’informatica, del capitalismo delle piattaforme e della Intelligenza Artificiale che sono oggi il vero terreno sul quale si decide a livello strategico la contesa per il predominio geopolitico. Tutto fa pensare che alla fine sarà la Cina a prendere il sopravvento in questa sfida, ma allo stato attuale la partita appare del tutto aperta. 

Torniamo a noi. È proprio sul crinale di questa ambiguità tra volontà di potenza e terrore della fine possibile che si dà il nocciolo per capire la figura e le scelte di Trump. Se è vera la nostra ipotesi di un declino irreversibile degli States come punto d’arrivo della caduta dell’Occidente, e se questo esito dovesse farsi parte dell’inconscio collettivo della nuova amministrazione, allora c’è davvero di che preoccuparsi.

C’è un delirio di onnipotenza che caratterizza da sempre quelli che sono (o pretendono di essere) i più forti sul palcoscenico della storia, delirio che nell’ora del declino, che inevitabilmente prima o dopo arriva, può divenire distruttiva (e autodistruttiva) pulsione di morte, la quale a livello inconscio vive la propria fine come la fine di ogni cosa.

Mi capita spesso di pensare che nei libri di storia dovrebbe essere scritto con chiarezza come tra il 1933  e il 1945 con gli orrori del nazismo, tra le follie dell’olocausto e quelle della guerra, si è conclusa per sempre la storia dell’Europa (almeno quella del suo dominio planetario) con quell’ultimo colpo di coda inconsapevolmente votato, non ad una qualche ipotesi di vittoria, ma alla catastrofe planetaria. In fondo non sarà un caso se, a significare quanto si sta dicendo, esistono immagini retoriche come quella della reazione disperata della “tigre accerchiata”, o modi di dire come ”muoia Sansone con tutti i Filistei”.

E se fosse questa la chiave interpretativa per capire le vicende che si danno oggi nel complesso mondo degli Usa? Vi è per questo qualche possibilità che la prossima amministrazione della Casa Bianca possa portare il mondo sull’orlo della catastrofe globale? Io spero naturalmente che questi miei pensieri possano essere archiviati in futuro come esagerate preoccupazioni. Ma resta comunque il fatto che Trump è un personaggio pericoloso.