1. Dopo l’attacco della politica alla magistratura, la dottrina si divide

Diversi contributi dottrinali hanno esaminato la questione della designazione dei paesi di origine sicuri, nel quadro più vasto delle procedure accelerate in frontiera, esprimendo, alla luce delle più recenti pronunce di rinvio, o “interlocutorie”, della Corte di Cassazione, posizioni opposte, ora fortemente critiche nei confronti delle sezioni specializzate dei Tribunali che in questi mesi hanno disapplicato la normativa nazionale, o hanno sospeso il giudizio sollevando una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, altre volte a conferma delle decisioni assunte dai giudici di merito, sulla base dell’indefettibile valore costituzionale sancito dall’art.113 della Costituzione, secondo cui contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Prospettiva obbligata anche per tenere conto della successione delle fonti normative in vigore al tempo dei fatti oggetto degli interventi dei Tribunali, e poi della Corte di Cassazione, consistenti oltre che nelle Direttive dell’Unione europea 2013/32 (procedure) e 2013/33 (accoglienza) e nei decreti legislativi 25/2008 e 142/2015, nel Decreto interministeriale del 7 maggio 2024 che indicava l’elenco dei paesi di origine ritenuti “sicuri”.

Si tratta di una materia sulla quale, dopo un frenetico accavallarsi di decreti legge, si è aggiunta di recente una nuova disciplina “primaria” (legge n.187/2024) che individua una lista di paesi di origine sicuri, in precedenza indicati in un atto ammnistrativo avente la forma di decreto interministeriale. Anche dopo questo precipitoso intervento del legislatore, all’evidente fine di rilanciare le procedure accelerate in frontiera “deterritorializzate” in Albania, si sono ripetuti a Palermo ed a Catania provvedimenti dei tribunali in composizione monocratica, giusto alla vigilia del previsto trasferimento di competenze alle corti di appello, che hanno negato la convalida di decreti di tratttenimento adottati dai questori di Agrigento e di Ragusa, nei confronti di richiedenti asilo, provenienti da paesi di origine sicuri, detenuti presso i centri Hotspot ubicati a Porto Empedocle (Agrigento) e Pozzallo (Ragusa).

Un ampio contributo a firma di Roberto Giovanni Conti e di Mario Serio,Brevi note sul rinvio pregiudiziale ex art.363 bis c.p.c. e su limiti e controlimiti giurisprudenziali alla definizione normativa di paese sicuro, esamina in particolare la sentenza della Cassazione n.33398/2024 che interviene, sollecitata dal Tribunale di Roma, in sede di rinvio pregiudiziale ex art.363 bis, c.p.c., per dare risposta al quesito sollevato dallo stesso Tribunale, all’interno di un ricorso contro un diniego della protezione internazionale presentato da un cittadino di un paese (Tunisia) inserito nell’elenco dei paesi di origine sicuri. Gli autori mettono in evidenza il ruolo del rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunale di Roma osservando come “la tecnica della disapplicazione in via incidentale del provvedimento, fedele ad una tradizione ottocentesca mai tramontata, che la Cassazione ha senza indugi sposato, si rivela il mezzo più felice dal punto di vista sistematico. In secondo luogo, la sentenza compie una provvida incursione nel campo processuale consentendo al Giudice, in un certo senso costringendolo, ad allargare non soltanto il materiale probatorio utilizzabile ma anche le modalità di acquisizione.Esse, infatti, possono prescindere dall’allegazione da parte del ricorrente delle circostanze utili al conseguimento dell’ambito bene della vita, ossia la protezione internazionale (ferma, comunque, restando l’esigenza che tale aspirazione venga chiaramente rappresentata). Si assiste, così, ad una rimodulazione costituzionalmente orientata dei poteri istruttori del Giudice, ispirandoli alla finalità di concretizzazione di diritti fondamentali che una concezione asfittica della fase giudiziale dei procedimenti di protezione internazionale allontanerebbe dalla meta. La specialità della materia si riflette, pertanto, secondo il disegno della Cassazione, nella specializzazione delle linee portanti del relativo giudizio: né ostacoli sarebbe stato possibile opporre a questa ariosa prospettiva in considerazione della premessa dichiarata dell’operazione: la garanzia della piena effettività dei diritti riconosciuti in ambito eurounitario al migrante.” Secondo gli stessi autori, con riferimento alla sentenza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giusitizia UE, adottata dalla Cassazione (33398/2024) il 19 dicembre scorso,“va ricordato che l’intero telaio che attorno ad essa è stato concepito non ha mai disdegnato di perseguire il fine della armonia del sistema, in maniera plateale individuata nella ribadita inalienabilità del potere amministrativo di designazione dei paesi sicuri e nella riaffermata insostituibilità del suo esercizio. Perché il Giudice, nel procedere alla doverosa verifica di legittimità sugli esiti della valutazione effettuata dall’amministrazione, non si surroga ad essa né le usurpa attribuzioni, ma si limita-né potrebbe ometterlo-al controllo dell’esercizio non arbitrario né capriccioso di tale potere”.

Nell’articolo a firma del professore Mario Savino intitolato “Il Diritto è morto? Lunga vita al Diritto! Come la Cassazione ha risolto il rebus dei Paesi sicuri e quali implicazioni trarne“, che appare particolarmente centrato sulla “ordinanza interlocutoria” della Corte di Cassazione del 30 dicembre scorso (Cass. 30/12/2024, n. 34898), si mette invece in rilievo, sulla base di una ampia ricostruzione delle fonti normative, come “ la Corte di cassazione ha adottato una posizione contraria al prevalente orientamento dei tribunali ordinari“. indicando “ la via per tenere insieme diritti e politiche e per risolvere il problema di fondo: la tendenza dei giudici ad allontanarsi dall’oggetto proprio del loro giudizio (la posizione soggettiva dedotta dal richiedente) per arrivare a sindacare la legittimità della designazione (a prescindere da quella posizione)”.

 

2. Una questione sui paesi di origine sicuri che la Corte di Cassazione ha lasciato ancora aperta

Rinviamo alla lettura integrale dell’articolo per cogliere tutti gli aspetti di una materia assai complessa, ancora più ampia della questione controversa dei “paesi di origine sicuri” sulla quale sembra incagliato il confronto, ma sarebbe meglio dire, lo scontro tra politici e magistrati, adesso con significative divisioni anche all’interno del dibattito scientifico. Ci permettiamo tuttavia di isolare alcuni passaggi salienti della questione e, ce ne scusi l’autore, se non rispondenti per intero al suo pensiero, al fine di puntualizzare come a nostro avviso la Cassazione non abbia affatto risolto un “rebus”. Le due diverse decisioni di questa Corte, una (33398/2024) del 19 dicembre scorso, contenente una questione di interpretazione pregiudiziale su un ricorso contro un diniego di protezione, l’altra del 30 dicembre (Cass. 30/12/2024, n. 34898) , una mera “ordinanza interlocutoria” che andava a sospendere il giudizio su un ricorso contro un decreto che negava la convalida di un decreto questorile di trattenimento, hanno adottato posizioni ambivalenti, tanto da giustificare tesi opposte. Anche se non è difficile cogliere tra le righe dell’ordinanza” interlocutoria” un messaggio rivolto ai giudici della Corte di Giustizia dell’Unione europea, chiamati a decisioni che per i giudici della Cassazione, oltre che al rispetto dei criteri indicati nelle Direttive europee, e nella precedente giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, dovrebbero evitare effetti destabilizzanti per il sistema europeo dell’asilo e per le relazioni tra i paesi menbri con riferimento ai cosiddetti movimenti secondari. Una interpretazione teleologica che in sedi tanto elevate di intrpretazione del diritto andrebbe però sottratta alla applicazione della massima: “il fine giustifica i mezzi”.

In questo quadro tanto confuso da risultare un “rebus” non ancora risolto, possiamo individuare subito due punti fermi. Il primo riguarda la differente funzione che la designazione del paese di origine sicuro assume nella fase iniziale della procedura, quando si tratta di stabilire se adottare una procedura accelerata in frontiera o una procedura ordinaria, e dunque in sede di convalida del provvedimento questorile di trattenimento, o nella fase successiva, in cui si deve valutare la richiesta individuale di protezione, anche sulla base del paese di origine di provenienza e delle condizioni territoriali o soggettive (con riferimento a parti di territorio o a categorie di soggetti) che lo caratterrizzano.

Il secondo punto fermo, qui per rispetto degli articoli 13, 101 e 117 della Costituzione, è dato dall’obbligo del giudice nazionale di applicare la legge, ed il sistema delle garanzie della libertà personale, alla luce del diritto vigente al momento della decisione, tanto per il diritto interno che per il diritto sovranazionale, e dunque senza potere tenere conto nella sua attività di interpretazione di una nuova normativa dell’Unione europea, adesso prevista dal Patto sulla migrazione e l’asilo dello scorso anno, con un Regolamento (2024/1348) che estende i casi di procedura accelerata in frontiera, ma che dovrebbe entrare in vigore entro il 2026. Quanto previsto dal futuro Regolamento, richiamato in via di ipotesi ricostruttiva, risulta in contrasto con la disciplina euro-unionale vigente in materia di protezione internazionale, ancora racchiusa, oltre che negli articoli8, 19 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nelle Direttive 2013/32 (procedure) e 2013/33 (accoglienza). Il giudice nazionale non può essere tenuto a disapplicare una fonte primaria di rango europeo come una direttiva che non viene ancora abrogata, sulla quale si è formata una consistente giurisprudenza della Corte di Giustizia (vincolante), in ossequio di futuri Regolamenti che saranno vincolanti solo quando saranno entrati in vigore.

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Il diritto di asilo in agonia, tra la Cassazione e la Corte di giustizia UE