Dal primo gennaio 2025 la Transnistria è rimasta senza riscaldamento e acqua calda dopo che è stata interrotta la fornitura di gas russo all’Europa attraverso l’Ucraina.
Una crisi energetica che sembra diventare sempre più geopolitica e umanitaria.

Da TIRASPOL –
L’anno nuovo si apre all’insegna della crisi energetica per la Transnistria, regione separatista filorussa della Moldavia con capitale Tiraspol, conosciuta anche come Pridnestrovie, dal nome russo Pridnestrovskaja Moldavskaja Respublika, PMR.

Dal primo gennaio 2025 la regione è rimasta senza riscaldamento e senza acqua calda dopo lo stop alla fornitura di gas russo attraverso l’Ucraina.
Mercoledì è infatti scaduto l’accordo (in vigore dal 30 dicembre 2019) tra Russia e Ucraina per il trasporto del gas russo verso i paesi europei attraverso i gasdotti ucraini.
Per la prima volta dal 1984, anno dell’entrata in servizio del gasdotto Urengoy–Pomary-Uzhhorod, l’Europa non riceverà gas russo via tubo.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj aveva già deciso di non rinnovare il contratto a causa dell’invasione russa in corso dal febbraio 2022, invitando al contempo i paesi europei a trovare delle alternative alla fornitura del Cremlino.

Nel frattempo, la decisione di Kyiv di non rinnovare l’accordo si sta già ripercuotendo negativamente sui mercati europei: nonostante Bruxelles garantisca che l’UE è pronta a compensare la perdita grazie ai terminali di gas naturale liquefatto (GNL) in Germania, Italia, Polonia e Grecia, il prezzo all’ingrosso del gas ha infatti raggiunto il livello più alto in più di un anno, giungendo con un balzo del 3,6% a quota 45 euro.

I paesi europei più colpiti

A livello europeo, il mancato rinnovo dell’accordo sottrarrà il 5% delle forniture, inasprendo una situazione già molto complessa.
Se da un lato le importazioni di gas russo in Europa si sono già drasticamente ridotte dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, sono ancora tre i paesi a forte dipendenza energetica dal gas russo: Austria, Slovacchia e Ungheria.
Per loro il mancato rinnovo dell’accordo per il trasporto del gas tra Russia e Ucraina sarà un problema spinoso.

I tre paesi in questione avevano mantenuto il loro legame con il Cremlino sia per strategie politiche (soprattutto il governo ungherese di Viktor Orbán, da sempre vicino al presidente russo Vladimir Putin anche dal punto di vista energetico), sia per motivi prettamente geografici, sia per obblighi contrattuali: i fornitori di gas dei tre paesi hanno ancora attivi contratti di lungo termine con il colosso russo Gazprom, che se interrotti comporterebbero il pagamento di pesanti penali.

Dei tre paesi, il più colpito sarà verosimilmente la Slovacchia.

Il meno colpito invece dovrebbe essere l’Ungheria: la Russia potrà infatti continuare a fornire il proprio gas al paese (oltre che in Turchia e in Serbia) attraverso il gasdotto TurkStream, che passa per il mar Nero.

Il mancato rinnovo avrà conseguenze anche sull’Ucraina, che perderà una fonte notevole di ricavi – la Russia le pagava una percentuale sul gas che attraversava il suo territorio – in un momento piuttosto complicato per la sua economia.

In Transnistria fabbriche chiuse, si cerca legna per scaldarsi

Per ora la regione più colpita da queste vicende resta la Transnistria.
L’azienda energetica dell’entità separatista ha reso noto che acqua calda e riscaldamento hanno smesso di funzionare alle sette di mattina locali (le sei italiane) del primo gennaio.
Il gas che Gazprom non è più autorizzata a trasportare in Europa era utilizzato oltre che per il riscaldamento degli edifici anche per alimentare la centrale elettrica di Kuciurgan, che forniva energia anche al resto della Moldavia.

Il blocco della fornitura di gas russo ha portato alla chiusura delle le fabbriche nella regione: centinaia di aziende sono ferme, con migliaia di persone senza lavoro, come dichiarato anche dal presidente della Transnistria Vadim Krasnoselsky, che prevede riserve di gas sufficienti per una decina di giorni.
L’alternativa sarà il carbone, ma anche questa è solo una soluzione temporanea.
L’unica produzione attiva è quella del settore alimentare, per garantire cibo alla popolazione rimasta al freddo in pieno inverno.

L’azienda energetica locale ha esortato la popolazione a raccogliere legna da ardere, indossare abiti pesanti e cercare di assembrarsi in spazi comuni, coprendo vetri e finestre con teli e tendoni per evitare che il calore si disperda.
Uno scenario terrificante che sembra assumere sempre più le sembianze di un’emergenza umanitaria.

La destabilizzazione viene da Mosca?

La Russia avrebbe potuto continuare a fornire il proprio gas alla Transnistria attraverso il gasdotto TurkStream, ma ha deciso di non farlo a causa di un presunto debito di 709 milioni di dollari (680 milioni di euro) mai pagato da parte della Moldavia, alle prese già nel 2022 con un’altra crisi energetica (o ricatto politico?) legata a debiti con Gazprom.

Dal canto suo il governo moldavo considera la mossa di Putin come l’ennesimo tentativo di destabilizzazione del paese, volto ad avvelenare l’opinione pubblica moldava nei confronti del governo filoeuropeo in carica, e quindi a condizionare le elezioni parlamentari previste nel 2025.
La fine dei flussi sul gasdotto passante per l’Ucraina è un colpo durissimo per la Transnistria, cui la Russia forniva gas a costo zero per vincolarne la fedeltà.

I circa 400 mila abitanti della regione, spinti dal freddo e dai disagi di una situazione estrema potrebbero quindi chiedere a gran voce la protezione di Mosca.
Una protezione che si rincorre da anni e che ha raggiunto il suo culmine nel febbraio 2024, quando Tiraspol sembrava sul punto di chiedere ufficialmente l’annessione alla Federazione Russa.
Lo scenario attuale paventa gli stessi orizzonti: il rischio è che le forze filorusse ottengano consensi sempre crescenti, mettendo a repentaglio il cammino europeo della Moldavia e rendendo lo spettro di una nuova Crimea una realtà sempre più incombente.

Una crisi energetica sempre più geopolitica

Insomma, una crisi energetica che sta diventando sempre più geopolitica, oltre che umanitaria. Chi scrive è appena tornato dalla Transnistria, dove la popolazione è attanagliata dal gelo dell’inverno e dall’angoscia di un destino incerto, ma al contempo sempre più consapevole di essere l’ennesima vittima sacrificale di questi intrighi di palazzo e tornaconti economico-politici: mettendo a repentaglio il futuro dell’entità che la stessa Russia ha sostenuto per trent’anni nel tentativo di destabilizzare Chișinău, il Cremlino sta cercando di trasformare la Moldavia in un’arma contro l’Ucraina.

Mentre il braccio di ferro est-ovest prosegue e i residenti della Transnistria sono impantanati loro malgrado nei liquami della politica, sullo scacchiere geopolitico si fa largo ancora una volta il “generale inverno”, grande alleato dei russi dai tempi di Napoleone fino alla Seconda guerra mondiale, con un messaggio inequivocabile per l’Europa: il freddo e i giochi di potere sono bestie feroci.