Istat e UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) di recente hanno presentato i principali risultati dell’Indagine sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone trans e non binarie, realizzata nel 2023 a conclusione del progetto di ricerca “Discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ e le diversity policies attuate presso le imprese”, definito e avviato nel 2018. L’indagine, realizzata per autocompilazione di un questionario elettronico raggiungibile on line, è stata rivolta a persone maggiorenni che si definiscono trans o con identità di genere non binaria, e che al momento della rilevazione vivevano abitualmente in Italia. In linea con le raccomandazioni internazionali, l’autoidentificazione rispetto alla propria identità di genere ha seguito un approccio a due step, combinando in sequenza le risposte fornite a un quesito sul sesso registrato alla nascita e le risposte a un quesito sull’identità di genere al momento della compilazione del questionario. La popolazione target che ha risposto al questionario elettronico è costituita da 630 persone così rappresentate: il 34,1% uomini trans, il 19,4% donne trans e il 46,5% persone con identità di genere non binaria. 

Il 66,1% delle persone trans e non binarie rispondenti, la cui identità di genere durante gli studi era visibile o riconoscibile per gli altri, riporta di aver sperimentato discriminazioni a scuola/università per motivi legati all’identità di genere. Una persona su due dichiara di aver vissuto almeno un evento di discriminazione per motivi legati alla propria identità di genere (trans o non binaria) nella ricerca di lavoro. Il 46,4% dei rispondenti riporta di non aver partecipato a un colloquio o di non aver presentato domanda per un lavoro, pur avendone i requisiti, perché la propria identità di genere ne avrebbe condizionato negativamente l’esito. Il 57,1% delle persone occupate o ex-occupate che hanno partecipato all’indagine ritiene che la propria identità di genere trans o non binaria abbia costituito uno svantaggio nel corso della vita lavorativa, in almeno uno dei tre ambiti considerati (carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione). Oltre otto persone trans e non binarie intervistate su 10 riportano almeno una forma di micro-aggressione legata all’identità di genere avvenuta in ambito lavorativo. Per micro-aggressione si intendono brevi interscambi ripetuti che inviano messaggi denigratori ad alcuni individui in quanto facenti parte di un gruppo, insulti sottili diretti alle persone spesso in modo automatico o inconscio.

Il 37,1% dei rispondenti, occupati o ex-occupati in Italia, afferma di aver sperimentato un clima ostile o un’aggressione nel proprio ambiente di lavoro per ragioni legate all’identità di genere. Escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, una persona su tre tra coloro che hanno partecipato all’indagine riporta di aver subito minacce per motivi legati alla propria identità di genere (trans o non binaria) e il 23% aggressioni violente. Le offese legate all’identità di genere ricevute via web riguardano il 55,2% dei rispondenti. “Il 57,1% delle persone occupate o ex-occupate che hanno partecipato all’indagine, si legge nel Report, ritiene che la propria identità di genere trans o non binaria abbia costituito uno svantaggio nel corso della vita lavorativa, in almeno uno dei tre ambiti considerati (carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione); tale situazione viene segnalata in misura maggiore dalle persone trans rispetto alle persone con identità non binaria, dalle persone più giovani (oltre la metà dei 18-34enni) e da coloro che valutano le proprie risorse economiche scarse o insufficienti (66,4%). Lo svantaggio che viene segnalato più di frequente è quello che si esprime in termini di riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità professionali (48,7%), seguito da avanzamenti di carriera e crescita professionale (45,1%); lo svantaggio rispetto al reddito/retribuzione lavorativa è indicato con minor frequenza (36,5%), anche se spicca l’elevata quota di donne trans che ne fanno menzione (56,1%).”

Le situazioni di discriminazione più frequentemente riportate sono relative al “non aver ottenuto promozioni o avanzamenti di carriera e/o aver avuto una retribuzione inferiore” e al “vedersi rifiutati congedi o non aver fatto richiesta di congedi o permessi per evitare che fossero rifiutati o si creasse un clima sfavorevole nei propri confronti” (26,3% in entrambe le situazioni). Il 17,7% delle persone dipendenti o ex-dipendenti rispondenti dichiara sia accaduto uno o più dei seguenti episodi: mancato rinnovo del contratto, mancata trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato, essere posti in cassa integrazione, essere licenziati o in condizione di dare le dimissioni. Infine il 18,3% riferisce che gli “sono stati affidati compiti meno importanti rispetto ai colleghi di pari grado o gli sono stati affidati carichi di lavoro eccessivi”. Oltre all’identità di genere, nella maggior parte dei casi vengono riportate anche ulteriori caratteristiche in base alle quali si ritiene di essere stati trattati meno favorevolmente di altri; quella più segnalata riguarda l’aspetto esteriore (43,1%). Ma le discriminazioni non si fermano al solo ambiente lavorativo, riguardano anche altri contesti di vita: il 31% dei rispondenti all’indagine che vivono abitualmente in Italia afferma di essersi trasferito in un altro quartiere, altro Comune o all’estero per poter vivere più tranquillamente la propria identità di genere trans o non binaria: il 14,8% in un comune di una regione diversa rispetto a quella in cui viveva, l’8,1% in un altro Comune della stessa regione, il 4,8% all’estero, il 3,3% in un altro quartiere. 

Infine, per quanto riguarda le azioni per migliorare la condizione delle persone trans e non binarie, oltre otto persone su 10 si sono dette molto favorevoli alle seguenti azioni: emanare una legge nazionale contro l’omolesbobitransfobia così come a introdurre maggiori tutele sul lavoro per le persone trans o non binarie, promuovere iniziative di informazione e sensibilizzazione alle tematiche legate all’identità di genere nelle scuole (rivolte agli studenti) e ampliare gli ambiti di utilizzo di un alias; creare servizi/misure di supporto per persone LGBT+ in condizione di fragilità (es. case riposo, case-famiglia, sportelli di ascolto), favorire una rappresentazione non stereotipata delle persone trans/non binarie nei media. Il 73,5% dei rispondenti si è espresso molto favorevolmente all’introduzione di una terza opzione, oltre uomo/donna, per indicare il proprio genere nei documenti ufficiali, il 70,6% ad emanare una legge che agevoli la rettifica anagrafica del nome e del sesso senza una diagnosi di disforia di genere.

Qui il Report: https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/12/dicriminazioni-lavorative-lgbtq-2023.pdf