La sentenza del Tribunale di Palermo si potrà commentare solo in base alle motivazioni che saranno pubblicate tra 90 giorni, ma non deve stupire. Anche se i giudici sono soggetti soltanto alla legge la magistratura risente da sempre della pressione ambientale che la circonda. Il processo Salvini è stato caricato di una valenza politica globale dopo i fallimenti accumulati dal governo con il Protocollo Italia-Albania e sulle procedure accelerate in frontiera per i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri. Come se una condanna avesse potuto spalancare le porte dell’Italia ad ondate di pericolosi criminali. Ma non sono le sentenze che difendono o demoliscono i confini. Non c’è un giudice (soltanto) a Palermo, ci sono giudici anche nei Tribunali e nelle Corti internazionali quando decidono sui casi riguardanti gli abusi commessi alle frontiere ai danni delle persone. Perché le persone migranti (r)esistono al di là di quanto si può affermare in una aula di tribunale.
L‘archivio di Radio Radicale permette una ricostruzione completa del dibattimento, con l’audizione di decine di testimoni. “Sussiste” il fatto che la difesa è riuscita a mettere sul banco degli imputati Open Arms, “sussistono” i fatti accertati nel processo, come gli ordini di chiusura dei porti, anche se nel primo grado del giudizio non sono stati riconosciuti penalmente rilevanti.
La Open Arms non “bighellonava” in mare in cerca di naufraghi, come ha sostenuto la difesa per l’intero processo. Salvava vite come altre Ong, vite che si sarebbero perdute se non fosse intervenuta una nave del soccorso civile.Come tante altre vite che stanno perdendo ancora in questi giorni dopo che si è riusciti ad allontanare le navi umanitarie dal Mediterraneo centrale.
“Sussistono” le sentenze che hanno escluso “consegne concordate” con gli scafisti ,e il reato di agevolazione dell’immigrazione irregolare, ancora evocate ieri dalla difesa di Salvini. Si tratta di sentenze di archiviazione delle accuse formulate dalle auorità di polizia marittima e dal ministero dell’interno, accuse respinte dai giudici proprio perché il fatto non sussiste, affermandosi che il soccorso in mare e’ adempimento di un dovere anche quando è frutto di attività continuative di ricerca e salvataggio (SAR). “Sussiste” dunque l’archiviazione di tutti i procedimenti contro le ONG.
La tardiva disponibilità di un porto di sbarco offerta dalla Spagna arrivava soltanto negli ultimi giorni quando ormai era chiaro che la Open Arms, secondo quanto dichiarato da autorevoli esponenti della Guardia costiera, non era in grado di lasciare la rada di Lampedusa a causa delle cattive condizioni del mare.
Mentre la Open Arms veniva tenuta a poche centinaia di metri dal porto di Lampedusa, Salvini era tornato a mani vuote dal Vertice dei ministri dell’interno di Helsinki il 18 luglio 2019, dunque alla vigilia del sequestro operato dalla Procura di Agrigento, nel quale Francia e Germania respingevano la redistribuzione di tutti i migranti che non fossero richiedenti asilo, almeno prima dello sbarco a terra, e non permetevano neppure che fosse messo in discussione il principio del “porto più vicino per lo sbarco”.
Nel caso Rackete la Cassazione (sentenza n.6626/2020) ha affermato che il soccorso in mare si conclude soltanto con lo sbarco in un porto sicuro. Tutto quello che a livello decisionale non rispetta gli obblighi imposti dalle Convenzioni internazionali può costituire omissione di soccorso. Questo e’ bene ricordarlo ancora oggi, non solo per il passato, ma con lo sguardo rivolto al futuro, perché una sentenza non definitiva, e della quale non sono state rese note le motivazioni, non può essere strumentalizzata per dare copertura a scelte politiche di esternalizzazione delle frontiere e di abbandono in mare che continuano a comportare la morte per naufragio di migliaia di persone.