Diritti sospesi per chi soffre di una patologia cronica e rara e per i suoi familiari e criticità a 360 gradi, a partire dalla diagnosi che in più di un caso su quattro si riceve dopo oltre i 10 anni. Oltre alle tempistiche necessarie per dare un nome alla patologia, pazienti e caregiver devono affrontare anche le difficoltà che derivano dalle difformità territoriali nell’erogazione delle prestazioni sanitarie: ad esempio, 4 intervistati su 5 affermano che il supporto psicologico non è garantito ovunque allo stesso modo. In percentuale simile, si riscontrano disuguaglianze che riguardano la presenza sia di percorsi specifici che di centri specializzati o di una rete di presidi dedicati. Fra le criticità particolarmente avvertite, anche quella dei costi: quasi due su tre li sostengono per le visite specialistiche private, uno su due per gli esami diagnostici o per acquistare farmaci necessari che il SSN non rimborsa. Emerge così, fortemente legato ai costi, anche il fenomeno della rinuncia alle cure, segnalato dal 30% degli intervistati: per 1 su 10 di loro l’abbandono per questi motivi avviene di frequente.
Sono questi alcuni dei dati contenuti nel XXII Rapporto sulle politiche della cronicità, di Cittadinanzattiva con il titolo “Diritti sospesi”. Il documento è il risultato di un’indagine effettuata su tutto il territorio nazionale che ha interessato 102 presidenti delle Associazioni dei malati cronici e rari, 3500 persone affette da patologia cronica e rara e i loro familiari. Il Rapporto scatta un’istantanea sulla rispondenza del SSN ai bisogni di salute dei pazienti cronici e rari e delle famiglie, con l’intento di far comprendere, soprattutto alle Istituzioni, cosa significa vivere quotidianamente con una patologia cronica e rara e trovare servizi non sempre efficienti o inadeguati che rendono poco esigibili il diritto alla cura, il diritto a una qualità di vita migliore e, non ultimo, il diritto a mantenere la qualità di vita acquisita.
Le malattie croniche interessano il 40,5% della popolazione italiana (24 milioni), mentre le persone affette da almeno due patologie croniche sono 12,2 milioni. Gli ultra 75enni affetti da una patologia sono l’85%, il 64,3% da due o più patologie. In base ai dati la tendenza è che nel 2028, i malati cronici saliranno a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni. In riferimento alle malattie rare, le indagini del Registro Nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati. Il 20% delle patologie coinvolge persone in età pediatrica (di età inferiore ai 14 anni). Per il 27,6% delle persone affette da patologia cronica, il tempo necessario per dare un nome ad una serie di sintomi e disagi è stato superiore a 10 anni. Comunque molto ampia la percentuale di persone che hanno atteso dai 2 ai 10 anni per ottenere la diagnosi (22,9%). Solamente per il 18,1% il tempo per la diagnosi è stato meno di 6 mesi. Nell’84,9% dei casi si tratta di pazienti con patologia cronica riconosciuta ma, per un 7,6%, la patologia non è riconosciuta e non viene garantito il diritto all’esenzione dal ticket. Gli elementi che ostacolano maggiormente la diagnosi precoce della malattia sono: per l’80,2% la scarsa conoscenza della patologia da parte del Medici di base e Pediatri, segue la sottovalutazione dei sintomi (68,9%), gli elementi comuni ad altre patologie (54,7%), il poco ascolto del paziente (46,2%), la mancanza di personale specializzato sul territorio (42,5%) e le liste di attesa eccessivamente lunghe (23,6%).
Il tema dei tempi d’attesa si fa più critico nel momento dell’avvio del percorso terapeutico. Per ciò che attiene le liste di attesa, gli ambiti più segnalati sono: 64,6% prime visite specialistiche, 56,1% visite di controllo e follow-up, 53% esami diagnostici, 60% riconoscimento invalidità civile e/o accompagnamento, 45,3% riabilitazione e 39,7% riconoscimento handicap. Gli aspetti più carenti ai fini di un’adeguata presa in cura per la patologia di riferimento sono: coordinamento fra l’assistenza primaria e specialistica 69,8%, continuità assistenziale 48,1%, liste di attesa 44,3%, integrazione tra aspetti clinici e socioassistenziali 43,4%. Il 44% dei pazienti lamenta problemi con le cure a domicilio, a causa del numero di giorni/ore di assistenza erogati inadeguati; della difficoltà nella fase di attivazione/accesso; della carenza di alcune figure specialistiche e di assistenza, in particolare di tipo sociale.
Altro elemento critico per il percorso terapeutico è il dover affrontare costi per accedere ad alcune prestazioni: il 59,8% dei cittadini ricorre infatti a visite specialistiche effettuate in regime privato o intramurario, il 52,8% acquista farmaci necessari e non rimborsati dal SSN, il 50% effettua esami diagnostici in privato o in intramoenia, il 47,5% acquista parafarmaci (es. integratori alimentari, dermocosmetici, pomate). Il 42,4% spende privatamente per la prevenzione terziaria (diete, attività fisica, dispositivi), il 36,3% per la prevenzione primaria e secondaria, il 22% per il supporto psicologico, il 16,9% per spostamenti dovuti a motivi di cura, il 14,7% per le visite specialistiche o attività riabilitative da effettuare a domicilio e il 12% per l’acquisto di protesi e ausili non riconosciuti (o insufficienti nella quantità/qualità erogata). Oltre il 30% dei pazienti sostiene di aver dovuto rinunciare alle cure. Nel 19% dei casi è capitato in modo sporadico ma, per oltre il 12%, è capitato spesso.
Per i presidenti delle associazioni dei pazienti questi sono gli ambiti in cui si riscontrano maggiori difformità regionali: innanzitutto (79,2%) il supporto psicologico, a seguire la presenza di percorsi e/o PDTA (77,4%), la presenza di Centri specializzati/Rete (73,6%), la modalità di gestione delle prenotazioni e dei tempi di attesa (72,6%), le prestazioni necessarie non ricomprese nei LEA (70,8%). In particolare, in riferimento ai Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA), il 63,2% degli intervistati sa che ne esiste uno per la propria patologia, solo nel 28,4% dei casi si tratta di PDTA nazionali, mentre nel 71,6% dei casi sono PDTA regionali, nel 31,3% aziendali e nel 7,5% distrettuali. Per quanto riguarda le regioni dove è presente un PDTA di patologia, primeggiano Lombardia e Toscana, a seguire Piemonte, Lazio, Emilia-Romagna, Veneto.
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