Al termine di una votazione storica, svoltasi il 17 dicembre all’Assemblea generale, più di due terzi degli stati membri delle Nazioni Unite hanno sostenuto la richiesta di istituire una moratoria sulle esecuzioni capitali in vista dell’abolizione della pena di morte.
“Questo voto segna una svolta e dimostra che gli stati membri delle Nazioni Unite sono decisamente più vicini al ripudio della pena di morte, al momento sanzione legittima dal punto di vista del diritto internazionale. Il sostegno in favore della pena di morte sembra assai differente rispetto a quello dato all’epoca in cui entrarono in vigore i trattati che la consentivano. Il sostegno senza precedenti ottenuto dalla risoluzione mostra che il percorso globale verso l’abolizione non può essere fermato”, ha dichiarato Chiara Sangiorgio, esperta di Amnesty International sulla pena di morte.
“Questo voto ha un peso politico e morale importante, perché garantisce che il modo in cui quella crudele punizione sarà usata continuerà a essere sottoposto a scrutinio. Gli stati che hanno votato a favore della risoluzione costituiscono oggi due terzi del mondo e sono passati da 104 nel 2007 a 130 quest’anno. Un passo avanti decisamente positivo è stata la decisione, per la prima volta, di Antigua e Barbuda, Kenya, Marocco e Zambia di votare a favore della moratoria, il ché riflette l’avanzamento del dialogo verso l’abolizione all’interno di quegli stati”, ha aggiunto Sangiorgio.
“Tuttavia, siamo spiaciuti per il linguaggio usato nella risoluzione, nella parte in cui afferma il diritto sovrano di ogni stato di determinare le sue sanzioni penali e dunque giustificare l’applicazione della pena di morte. Espressioni del genere devono essere superate prima possibile, in quanto indeboliscono lo spirito della risoluzione e denotano la mera intenzione di intralciare i progressi su un tema così rilevante come la pena di morte”, ha sottolineato Sangiorgio.
“La campagna di Amnesty International per l’abolizione della pena di morte è in corso da 50 anni. Questo voto mostra il crescente consenso, tra gli stati, verso il ripudio delle esecuzioni come pratica compatibile con la protezione dei diritti umani. Nonostante gli allarmanti dati registrati nel 2023 in stati come Arabia Saudita, Iran e Usa, il numero degli stati che ancora eseguono condanne a morte rappresenta una piccola e isolata minoranza”, ha proseguito Sangiorgio.
“Sollecitati anche da questa risoluzione, gli stati che ancora mantengono la pena di morte devono fare immediati passi avanti verso l’abolizione e tutti gli stati membri delle Nazioni Unite devono chiedere assunzioni di responsabilità per la flagrante violazione del diritto alla vita cui assistiamo quotidianamente attraverso la pena di morte”, ha concluso Sangiorgio.
La risoluzione, la decima nella storia dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, promossa quest’anno da Argentina e Italia a nome di una Task force inter-regionale di stati membri e co-sponsorizzata da 70 stati, ha ottenuto 130 voti a favore – oltre due terzi degli stati membri – 32 voti contrari e 22 astensioni.
Rispetto al precedente voto del 2022, il sostegno alla risoluzione è cresciuto grazie al mutato orientamento di alcuni stati: Antigua e Barbuda dal voto contrario è passato al voto a favore; Gabon, Kenya, Marocco e Zambia hanno votato a favore mentre due anni fa si erano astenuti. Bahamas, Bangladesh e la Repubblica Democratica del Congo sono passata dal voto contrario all’astensione. Sao Tome e Principe, Seychelles, Somalia e Vanuatu hanno votato a favore mentre nel 2022 non avevano preso parte alla votazione.
Altri stati hanno cambiato posizione, ma in negativo: Gabon e Uganda avevano votato a favore nel 2022 e si sono astenuti quest’anno; Mauritania e Papua Nuova Guinea si erano astenuti due anni fa e questa volta hanno votato contro.
Non hanno preso parte alla votazione Dominica, Grenada e Siria che nel 2022 avevano votato contro né Repubblica Centrafricana e isole Marshall che due anni fa avevano votato a favore. Le isole Comore, che non erano presenti al voto del 2022, si sono astenute.
Secondo i dati di Amnesty International, il numero degli stati abolizionisti per tutti i reati è salito da 90 nel 2007 agli attuali 113.