Nei giorni scorsi sono stati pubblicati alcuni articoli su “Il Tempo”, “Il Giornale” e “Libero”, che provano a dimostrare come nella mia attività di sindaco avrei perpetrato delle condotte illecite emettendo delle carte d’identità a cittadini migranti, i quali, in ossequio alle norme, non ne avrebbero avuto diritto.

Questi articoli riportano anche stralci d’intercettazioni in cui affermo ad alta voce di essere un fuorilegge, di volere disattendere delle leggi balorde in nome di un principio superiore di giustizia e di odiare lo Stato.

Per una volta non riesco a dare completamente torto ai redattori dei suddetti giornali:  come faccio ad amare lo Stato dei decreti sicurezza di Salvini e del decreto Cutro?

Come amare lo Stato della criminalizzazione delle ONG che salvano vite nel Mediterraneo – vite che le istituzioni italiane ed europee osservano affogare con compiaciuta indifferenza?

Come riesco a volere bene allo Stato degli accordi con la sedicente Guardia Costiera libica, dei lager gestiti da quest’ultima, dei CPR e delle deportazioni in Albania?

Come si fa ad amare uno Stato che pone il campo (con la sua sospensione arbitraria dei diritti) e non la piazza, a paradigma dei rapporti politici, sociali e civili?

Come amare uno Stato che odia gli esseri umani per il solo fatto di aspirare alla vita, di fuggire da una morte per fame, guerre, persecuzioni, nefasti effetti ambientali dei cambiamenti climatici – prodotti, diretti e indiretti, delle politiche coloniali e neoliberiste dell’insaziabile Occidente?

Non posso, non voglio e non devo amare uno Stato che permette e mantiene le baraccopoli, come quella di San Ferdinando, sulle cui tende e baracche campeggia, con beffardo orgoglio burocratico, la scritta “MINISTERO DELL’INTERNO”.

Proprio in questa tendopoli (ai cui cancelli si apre un inferno di degrado, sporcizia, abbandono e disperazione) si consuma ogni tanto una morte: una morte di Stato, appunto.

Negli articoli menzionati all’inizio si parla della mia volontà di produrre, in qualità di sindaco e di responsabile dell’ufficio anagrafe, una carta d’identità a una donna nigeriana che non poteva averne diritto, in quanto non più titolare di asilo o protezione internazionale.

Questi pezzi, per quanto scrupolosi, risultano tuttavia un po’ omissivi: non riportano come io avessi firmato anche la carta d’identità di un’altra ragazza nigeriana, il cui nome e le cui ceneri riposano nel cimitero di Riace – l’unico disposto ad accoglierli: Becky Moses.

Questa donna è morta carbonizzata da un incendio – probabilmente provocato da un fuoco acceso per scaldarsi, dato che lì non esistono impianti di riscaldamento – nella baraccopoli di San Ferdinando nel gennaio del 2018. Accanto a ciò che restava del suo corpo bruciato è stato trovato il prodotto di una delle azioni più nobili che abbia mai compiuto in qualità di sindaco di Riace: la sua carta d’identità firmata da me.

Quella firma rappresentava per lei l’unica traccia di un’esistenza legale che una piccola parte dello Stato italiano le riconosceva (lo stesso Stato che la respingeva verso il mondo di povertà, schiavitù e prostituzione da cui proveniva), l’unica prova per dimostrare allo sguardo duro della legge di essere una persona.

Perché gli organi dello Stato preposti non mi hanno mai contestato il rilascio del documento di Becky?

Forse perché hanno sentito di essere moralmente corresponsabili di quella morte? Forse perché nessuna pubblica autorità – Ministero degli interni e Prefettura di Reggio Calabria in testa – ha mai impedito il sorgere delle baraccopoli e lo sfruttamento disumano dei lavoratori che vi vivono?

Come pensate che io possa amare questo Stato?

Lo Stato che amo è quello della nostra Costituzione, sbocciata dal sangue dei nostri partigiani; amo il suo articolo 2, che pone la solidarietà come principio cardine della convivenza tra i popoli, i suoi articoli 3, 10 e 11.

Amo lo Stato di Peppino Lavorato, di Peppe Valarioti e di Rocco Gatto, rispettivamente un politico, un giornalista e un semplice cittadino, che hanno interpretato la Costituzione con passione e  ferma rettitudine.

Nello svolgimento della mia missione da sindaco – e adesso anche da europarlamentare – ho provato a onorare e applicare la nostra Costituzione senza tentennamenti o compromessi, collocando al di sopra di tutto i diritti delle persone, la dignità umana e la giustizia.