Il delirio di Macron si aggrava: François Bayrou nominato primo ministro. Che maggioranza potrà mettere insieme? Appare impossibile che possa disporne di una senza tutti i voti del NFP che non potrà avere perché i leader di La France insoumise, Manuel Bompard e Mathilde Panot, hanno già annunciato di voler presentare una mozione di censura contro il nuovo capo dell’esecutivo… a meno che Macron pretenda far governare un esecutivo senza maggioranza parlamentare! Oppure, come è stato con Barnier, punta a un’intesa col partito di Le Pen-Bardella che in teoria pretende escludere? Si torna quindi punto e a capo! Ma nulla esclude che Macron miri a qualche accordo con Le Pen-Bardella che però non potrà che essere palese! E questo darebbe ancora più forza al Nuovo Fronte Popolare se riesce a ritrovare la sua unità e a prepararsi bene per le prossime legislative[nota di Turi Palidda]
Nonostante la censura di Michel Barnier, Macron non intende cambiare rotta né alleanze politiche. Dopo molte esitazioni, ha incaricato François Bayrou di formare un governo che possa durare fino all’estate, sperando nella buona volontà di una parte della sinistra.
Dopo tutto, perché cambiare? Nove giorni dopo la censura del governo Barnier, Macron ha affidato a Bayrou il compito di formare un nuovo governo.
La “nuova era” promessa dal presidente della Repubblica inizia così con la nomina a Matignon di uno dei suoi principali sostenitori, alla fine di un 2024 segnato da una doppia sconfitta elettorale del campo presidenziale e della sua minoranza parlamentare. Il presidente del Movimento Democratico (MoDem) avrà la missione prioritaria di negoziare con le diverse forze politiche il diritto di governare senza essere rovesciato. Il compito si preannuncia arduo; è la storia di un cuoco che, dopo una bouillabaisse fallita (zuppa di pesce), torna in cucina con gli stessi ingredienti, gli stessi utensili, ma un nuovo assistente. Per rassicurarsi, gli strateghi dell’Eliseo descrivono il “senso del dialogo” di Bayrou e il suo atteggiamento da vecchio saggio politico, mentre il microcosmo si vanta dei suoi rapporti ritenuti cordiali con il Raggruppamento Nazionale (RN) e il Partito Socialista (PS). Argomenti già sentiti al momento della nomina di Barnier, “l’uomo della Brexit”, artefice del compromesso, che finì per rompersi i denti sul muro della minoranza parlamentare.
È difficile individuare, in questa fase, cosa potrà salvare Bayrou dalla stessa fine poiché è la continuità che dovrebbe segnare il resto degli eventi.
Al governo, la maggior parte dei ministri più importanti sperano di rimanere in carica, da Bruno Retailleau (interno) a Rachida Dati (cultura) passando per Jean-Noël Barrot (affari esteri), Sébastien Lecornu (difesa) e Catherine Vautrin (territori e decentramento).
Che il partito di destra Les Républicains (LR) si prepari a negoziare a caro prezzo la sua partecipazione, non ci sono dubbi al riguardo, così come quelli di Renaissance e Horizons (correnti dell’area Macron).
La rottura non sarà evidente nemmeno alla guida del governo, dove un 73enne che inneggerà il “compromesso” e “l’interesse generale” sostituirà un altro 73enne che inneggerà il “compromesso” e “l’interesse generale”.
C’è qualcosa di singolare, del resto, nel vedere Macron nominare in successione i due primi ministri più anziani della Quinta Repubblica, le emanazioni più classiche del gioco partigiano degli ultimi decenni. Dopo essere stato eletto con la promessa di reinventarsi e rinnovarsi, il capo dello Stato ha concluso il suo decennio al potere con entrambi i piedi nella Repubblica dei partiti che aveva insultato in tutti i suoi discorsi.
Per Bayrou è una vittoria logora, dopo aver messo gli occhi sull’hotel Matignon (la sede del governo) nel 2017, nel 2018, nel 2019 e ogni volta un rimpasto era imminente.
La sua assoluzione, a febbraio, nel processo contro gli assistenti MoDem, lo ha riportato risolutamente al centro del gioco, come aveva creduto negli ultimi mesi; peccato che il processo d’appello debba svolgersi nel 2025 (vedi dopo).
Il sindaco di Pau (Pirenei Atlantici) e alto commissario per la pianificazione, che non ha cancellato (neanche per lui) la scadenza delle presidenziali del 2027, vive la nuova, importante tappa di una carriera ricca di mandati e funzioni: ministro dell’Istruzione nazionale dal 1993 al 1997 poi ministro della Giustizia di breve durata nel 2017, deputato per diciannove anni, deputato europeo per tre anni, presidente del consiglio generale per nove anni, presidente del partito per trent’anni.
Obiettivo principale: la non censura del PS A Matignon, dove i due uomini si incontreranno a fine giornata per il passaggio dei poteri, i nuovi e vecchi capi di governo ricorderanno forse i bei tempi dei “Rinnovatori”, questo gruppo di giovani deputati di destra che volevano rinnovare il software e i metodi della loro famiglia politica. Erano entrambi presenti, insieme a Philippe Séguin, François Fillon e Philippe de Villiers. Era il 1986. Quattro decenni dopo, Bayrou e Barnier evocheranno certamente anche questi costumi politici così cambiati, questo tripartitismo, questo emiciclo ribollente, questo Presidente della Repubblica così difficile da seguire; insomma, tutti questi parametri che rendono l’azienda l’ennesimo remake di Mission impossible.
Ma Bayrou non è Tom Cruise e le leve a sua disposizione sono meno impressionanti dell’arsenale di Ethan Hunt.
Ai suoi vicini e al capo dello Stato, a lungo dubbiosi e perfino francamente riluttanti, Bayrou ha lasciato intendere che saprà come fare. Questo è il parametro chiave, quello che occupa la mente di Macron e di chi gli sta vicino: come convincere i socialisti a non votare la censura? A suo avviso, l’ex candidato alla presidenza può ottenere la benevolenza del gruppo PS, o anche quella del gruppo comunista, in cambio di alcuni gesti sostanziali o metodici (l’abbandono del 49-3, per esempio). Per riuscire nella missione, il presidente della Repubblica si è impegnato a nominare una personalità meno distante dal PS di Barnier. Offre il posto a Jean-Yves Le Drian, uno dei suoi più cari amici, unico ministro di François Hollande che mantiene al governo dopo la sua elezione. “Mi è stato offerto ma ho rifiutato”, ha confermato l’ex socialista venerdì a Saint-Brieuc (Côtes-d’Armor). Tra due anni e mezzo compirò ottant’anni. Non sarebbe grave.»
Altre figure classificate come centrosinistra all’interno del campo presidenziale sono state menzionate, spinte o addirittura sondate dal Presidente della Repubblica. È il caso di Roland Lescure, ex ministro dell’Industria, che fu anche per breve tempo un favorito nel fruscio del microcosmo. Al punto da provocare lo sbarramento del Raggruppamento Nazionale (RN), del MoDem e dell’entourage di Bruno Retailleau, che lo vedevano come un “casus belli”. Una nomina strappata via col forcipe? Nella corsa dei piccoli cavalli, il purosangue centrista Bayrou è primo, secondo, terzo, fuori corsa… Il suo arrivo all’Eliseo, venerdì mattina alle 8,30, è stato visto come il segno che era fatta. Allora, in realtà, non era così: secondo Le Monde, il presidente della Repubblica lo avrebbe chiamato all’alba per dirgli che non avrebbe avuto Matignon. È stato nel corso della mattinata, durante una riunione nella quale Bayrou ha espresso tutta la sua rabbia, che la decisione presidenziale è cambiata nuovamente. Al di là del carattere aneddotico e sempre fantasioso delle nomine presidenziali, l’episodio racconta anche il potere di fastidio di cui gode il nuovo Primo Ministro con Macron. Da quando è entrato all’Eliseo nel 2017, Macron ha fatto anche le sue specialità, attacchi di pressione e uscite rumorose: quando la distribuzione dei collegi elettorali o le posizioni ministeriali non gli si addicono, quando vuole aumentare la pensione a 65 anni con un semplice emendamento, quando ha scelto Élisabeth Borne piuttosto che lui a Matignon… Questo è anche il motivo per cui Bayrou non è mai stato nominato a Matignon e perché il rapporto che manterrà con l’Eliseo sarà attentamente esaminato dagli osservatori. Sul piano delle politiche, invece, sembra improbabile che la linea Bayrou si allontani dalla linea Macron, anche se il presidente del MoDem ha espresso più volte una voce dissonante sulla tassazione dei superprofitti, sull’abolizione della ricchezza fiscale (ISF) o lo “scontro dei saperi” a scuola. Come conciliare ora le sue forti opinioni, quelle del Capo dello Stato e la necessità di fare concessioni al gruppo di destra Les Républicains (LR), che vuole vedere mantenuto (NT: il fascista) Retailleau e approvata presto una legge (NT: contro) l’immigrazione, nonché la sinistra socialista, che forse chiederà un cambiamento della riforma delle pensioni o sul salario minimo? Anche la questione della rappresentanza proporzionale, da sempre favorita dal nuovo primo ministro, dovrebbe essere al centro delle discussioni che avrà nelle prossime settimane con i diversi partiti politici.
In agosto, quando già circolava il suo nome per Matignon, Bayrou rivelava a Le Figaro come avrebbe composto il suo governo. Una squadra “disinteressata, pluralista e coerente”, fatta di personalità di carattere” e “esperte”, che vanno dalla sinistra socialista alla destra repubblicana. Prima di aggiungere, un punto “molto importante”, che dovrebbero anche “capire cosa significano i voti di estrema destra e di estrema sinistra”. Bayrou nel testo, non sempre di facile comprensione. L’ex professore di lettere ama prendersi il suo tempo; parlare e agire. Alla pubblica istruzione, negli anni ’90, si oppose al desiderio riformista di Jacques Chirac con la sua cultura del lungo compromesso, sinonimo di inerzia agli occhi dei suoi detrattori. Un po’ di tempo è proprio ciò che cerca disperatamente Macron, privato del suo potere di scioglimento fino a luglio.
Il Partito socialista avrebbe fatto sapere che “rimarrà all’opposizione in Parlamento”. E, in una lettera indirizzata al nuovo primo ministro, chiede la rinuncia al 49,3 in cambio della non censura.