Quale bilancio si può trarre della sequenza che va dalle elezioni legislative anticipate di giugno alla caduta del governo Barnier? Per il politologo Thomas Ehrhard, la sfiducia non riflette una “crisi” delle istituzioni democratiche, ma un difetto nel processo di nomina del Primo Ministro e nel metodo di costruzione di una coalizione di maggioranza. Intervista.
Come dobbiamo interpretare la sequenza che va dalle elezioni legislative anticipate alla caduta del governo Barnier? È il sintomo di una crisi istituzionale o democratica?
Thomas Ehrhard: La sfiducia al governo di Michel Barnier può essere spiegata da due fattori principali: un processo di formazione del governo mal concepito e ragioni strategiche legate alle elezioni legislative anticipate, quando il Raggruppamento Nazionale voleva evitare che la sinistra monopolizzasse l’incarnazione dell’opposizione.
Spesso si è detto che il Raggruppamento Nazionale non era all’opposizione e che sosteneva Michel Barnier: non è vero. All’Assemblea Nazionale, il gruppo si è chiaramente dichiarato all’opposizione e non ha mai fatto alcun accordo ufficiale: era scontato che l’avrebbero sfiduciato, l’unica domanda era quando. Quindi, la caduta è molto logica.
Non condivido l’idea che la caduta rifletta una “crisi istituzionale”. Le istituzioni funzionano, a differenza, ad esempio, della Terza Repubblica, che ha avuto 104 governi tra il 1871 e il 1940.
Le commissioni paritarie miste che hanno concluso la legge finanziaria sulla previdenza sociale e la legge di attuazione del bilancio 2024 sono state il risultato di un accordo tra senatori e deputati di diversi gruppi: il sistema parlamentare ha funzionato bene.
Il vero problema è che i gruppi, tutti in minoranza, sono già orientati alle prossime elezioni: le probabili elezioni legislative di luglio 2025, le elezioni comunali del 2026 e le elezioni presidenziali del 2027, che segneranno la fine dell’era Macron.
Ha parlato di “un processo di formazione sbagliato del governo”. Cosa intende dire? Quali sono i meccanismi a cui i governanti dovrebbero ispirarsi per il prossimo governo?
T.E.: Guardiamo a ciò che sta accadendo in Germania, Spagna, Paesi Bassi e Belgio. Questi esempi evidenziano un problema di metodo, che è diventato particolarmente evidente dopo le elezioni di luglio 2024 in Francia, e ci aiutano a capire il motivo della sfiducia.
In primo luogo, il Capo di Stato non avrebbe dovuto decidere la scelta di Michel Barnier e non deve scegliere un nuovo Primo Ministro dopo le dimissioni di quest’ultimo. Il Primo Ministro deve provenire dall’Assemblea Nazionale.
In altri sistemi parlamentari, il Capo di Stato nomina il leader del partito che si è classificato primo alle elezioni legislative per formare un governo. Questo governo deve poi dimostrare di essere in grado di ottenere una maggioranza. Ma questo non avviene nel contesto delle dichiarazioni mediatiche o delle presunte intenzioni, a differenza di quanto è successo in Francia. Deve essere fatto nell’ambito di un “contratto di coalizione”, che consiste in un accordo sulla formazione del governo (che identifica i partiti partecipanti e la distribuzione delle responsabilità ministeriali) e sul programma di governo (che elenca i disegni di legge, le misure specifiche, le possibili esclusioni, il calendario, ecc.) L’obiettivo è quello di ottenere un accordo il più preciso possibile per ridurre le incertezze politiche e produrre così stabilità di governo.
In Francia non è stato fatto nulla del genere e questo spiega la fragilità del governo di Michel Barnier. Il governo non aveva dunque le basi necessarie per reggere. Non c’era nemmeno un accordo tra i partiti che lo sostenevano, ma solo una “base comune”, di cui si conoscevano solo le discrepanze visibili.
Perché Michel Barnier non è riuscito a costruire una coalizione di maggioranza?
T.E.: Questa è la seconda lezione da imparare dagli esempi stranieri: formare un governo richiede tempo. Non è un’opzione ma un requisito, vista la complessità di ottenere un “contratto di coalizione”.
Per fare qualche esempio, il Belgio ha impiegato diciotto mesi nel 2010, i Paesi Bassi sette mesi nel 2017 e nove mesi prima di raggiungere un accordo di governo nel 2021. Anche in Germania Angela Merkel ha impiegato sei mesi nel settembre 2017 e Olaf Scholz quattro mesi nel 2021.
In Spagna, ci sono voluti otto mesi nel 2016 e quattro mesi nel 2023, dopo le elezioni di luglio 2023, quando Pedro Sanchez, leader del Partito socialista operaio spagnolo, arrivato secondo, è subentrato dove il leader del partito conservatore, arrivato primo, non era riuscito a formare un governo.
Possiamo quindi notare che il tempo che intercorre tra le elezioni legislative e la formazione di un governo è lungo. Questo lasso di tempo è inevitabile nel caso di un’assemblea nazionale frammentata e polarizzata, con estremi forti ma minoritari e partiti di governo indeboliti.
Emmanuel Macron starebbe già cercando un Primo Ministro. Secondo lei, questo approccio del Presidente della Repubblica ha interferito con il processo di costruzione di una maggioranza. Se lo farà di nuovo, le stesse cause produrranno gli stessi effetti?
T.E.: Se il Presidente della Repubblica correrà di nuovo il rischio di scegliere un Primo Ministro, e se lo farà in fretta, questo doppio errore produrrà inevitabilmente le stesse conseguenze.
Le dimissioni di Emmanuel Macron, come richiesto da Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, sono una soluzione valida o legittima?
T.E.: Gli appelli alle dimissioni non sono una soluzione all’attuale situazione politica e non impediranno la caduta di un futuro governo se il processo di costruzione di una coalizione di maggioranza non verrà rispettato.
Questi appelli alle dimissioni sono indicativi del modo in cui gli attori politici stanno affrontando i problemi. In un momento – quasi senza precedenti dal 1958 – in cui il Presidente della Repubblica ha perso ogni influenza, anche all’interno del suo stesso partito (Rinascimento), e in cui il potere esecutivo è subordinato al Parlamento, gli attori politici e i commentatori si concentrano sul Presidente della Repubblica.
Questo dimostra che l’interpretazione presidenzialista delle istituzioni parlamentari continua a influenzare il comportamento degli attori politici. La scadenza elettorale su cui si concentrano i principali leader dei partiti è l’elezione presidenziale, non le prossime elezioni legislative. Il loro obiettivo non è quello di diventare Primo Ministro. Se così fosse, non si parlerebbe di Lucie Castets, Michel Barnier o altri.
Dopo le elezioni legislative, alcuni commentatori avevano riposto grandi speranze nella rinascita del parlamentarismo e di una cultura del consenso di fronte al potere verticale del Presidente. Questa speranza si è spenta definitivamente?
T.E.: Non c’è stata alcuna rinascita del sistema parlamentare dallo scorso luglio, tranne forse nel modo in cui il governo si è affidato al Senato e alle commissioni miste per emanare le leggi.
Più in generale, il parlamentarismo è ancora poco compreso in Francia da molti attori politici e dalla maggior parte dei commentatori. Spesso viene ridotto a un’opposizione tra il potere esecutivo e il Parlamento, il che è sbagliato. Certo, la collaborazione tra i poteri è un prerequisito, con uno sbilanciamento a favore dell’esecutivo per governare, come avviene in tutti i sistemi parlamentari contemporanei. Ma l’essenza del sistema parlamentare sta nel fatto che il governo nasce dall’Assemblea Nazionale.
Non si tratta quindi di una “cultura del consenso” che manca in Francia, una cultura che non si trova più naturalmente in altri paesi. Il vero problema è la predominanza dell’interpretazione presidenzialista delle nostre istituzioni, che si è manifestata fin dalla formazione del governo Barnier.
Thomas Ehrhard, Docente, Università di Parigi-Panthéon-Assas
Traduzione dal francese di Alessandro Leoni. Revisione di Thomas Schmid.