(DIRE) Roma, 9 dic. – “E’ stato un incontro amichevole, perché questi sono ragazzi di Aleppo, non stranieri; li conosco da tempo, da quando ero parroco a Idlib”: monsignor Hanna Jallouf,72 anni, francescano della custodia di Terra Santa, è vicario apostolico nella seconda città della Siria.
Con l’agenzia Dire parla dopo un colloquio con i capi di Hayat Tahrir al-Sham.Il gruppo ribelle, erede di Al-Nusra e associato almeno in un primo tempo anche all’esperienza di Al-Qaeda, ha assunto il
controllo di Damasco e di gran parte del Paese insieme con altre milizie alleate.
Dopo la fuga all’estero del presidente Bashar al-Assad, ad Aleppo i capi di Hayat Tahrir al-Sham hanno
incontrato i rappresentanti delle Chiese cristiane.
Tra loro monsignor Jallouf: “Ci hanno assicurato che non toccheranno nulla dei nostri beni, né locali né terreni, e che tutto andrà come sempre”.
Durante l’incontro, con rappresentanti di rito latino,ortodosso, protestante e armeno, si è discusso delle necessità della popolazione. “Hanno offerto garanzie sulla sicurezza della città”, riferisce il vicario apostolico, “impegnandosi perché gli impiegati possano tornare al lavoro e le fabbriche riaprire; più in generale la loro volontà è stata di tranquillizzare”.
Parte dell’incontro è stata dedicata al ruolo e alle attività della Chiesa. “Hanno sottolineato”, dice monsignor Jallouf, “che le nostre scuole potranno continuare a lavorare come sempre, che non interferiranno in alcun modo nelle funzioni liturgiche e che per noi cristiani sabato e domenica resteranno giorni festivi”.
Il vicario apostolico ha esperienza di ciò che è accaduto nel governatorato di Idlib, una regione del nord-ovest della Siria al confine con la Turchia divenuta dopo l’inizio del conflitto civile nel 2011 roccaforte di Hayat Tahrir al-Sham e di altri gruppi ribelli.
“Li conosco da tempo”, dice monsignor Jallouf, rispondendo a una domanda sulla matrice islamista delle formazioni che hanno spodestato Al-Assad, erede di una dinastia politica al potere a Damasco per oltre mezzo secolo, sempre ritenuta attenta alla tutela della minoranza cristiana.
“Credo che le cose andranno per il meglio”, dice il vicario apostolico: “Sono rivoluzionari e il loro scopo è solo dar vita a uno Stato libero e indipendente dove siano assicurati la pace e tutti i diritti delle persone”.
Monsignor Jallouf, che nella regione di Idlib è stato parroco a Knaye, uno dei tre villaggi cristiani della valle dell’Oronte,invita alla speranza: “Speriamo che in Siria risorga una nuova luce”.
(Dire)
–SIRIA. FRANCESCA DALL’OGLIO: ITALIA RADDOPPI SFORZI PER PAOLO. SORELLA MISSIONARIO: ACCEDERE A PROVE E DATI FINORA IMPENETRABILI
(DIRE) 9 dic. – “Viviamo con molta attenzione e aspettative questo momento storico importante per la Siria, e ovviamente anche rispetto alla sorte di mio fratello, padre Paolo Dall’Oglio, sulla cui sorte da 11 anni cerchiamo la verità.
Sappiamo che le autorità italiane seguono il caso: chiediamo che raddoppino gli sforzi”. Parla con l’agenzia Dire Francesca Dall’Oglio, sorella del sacerdote gesuita e missionario italiano della comunità di mar Mousa, sequestrato il 29 luglio 2013 a Raqqa.
Questa città, tra le roccaforti dei ribelli all’indomani della sollevazione popolare partita nel marzo 2011, attraversava in quel momento mesi di oppressione da parte di gruppi filo-governativi e, dopo meno di un anno dal rapimento del gesuita che si era fatto voce della necessità di pace e giustizia per tutti i siriani, fu conquistata dal nascente gruppo Statoislamico (Isis), che la rese sua capitale.
Ma padre Dall’Oglio,per i suoi appelli al dialogo interreligioso e per la denuncia delle violazioni sistematiche dei diritti umani, si attirò le inimicizie del presidente Bashar Al-Assad, che dopo le
sollevazioni popolari del 2011 lo colpì con un decreto di espulsione.
Il missionario lasciò la Siria nel giugno 2012, per farvi ritorno nel luglio 2013. Il 29 di quel mese scomparve senza lasciare tracce.
Nel fine-settimana, dopo oltre mezzo secolo al potere, il governo della famiglia Assad è caduto per mano dei ribelli rivoluzionari e questo ha permesso a migliaia di detenuti politici di lasciare le carceri.
“Sulla sorte di mio fratello sono state fatte varie ipotesi” ricorda Francesca, secondo cui due sono rilevanti. La prima: “Da fonti curde ho saputo che Paolo potrebbe essere stato portato prigioniero da Hurras El-Din, milizia che sarebbe stata poi assorbita dal movimento Hayat Tahrir Al-Sham, nella zona tra Idlib e Aleppo, dove poi fu ucciso anche Al-Baghdadi”, il leader dell’Isis.
La seconda tesi invece, “che ho appreso da fonti locali, lo vedrebbe prigioniero delle carceri del regime di Assad,probabilmente in una nei pressi dell’aeroporto di Damasco. Questa peraltro è l’ipotesi più accreditata”.
Pertanto, osserva ancora Francesca, “è decisamente positivo che i ribelli stiano prima di tutto liberando i prigionieri politici”.
Inoltre, la caduta del regime “sta permettendo di accedere a luoghi e informazioni che prima erano impenetrabili: potrebbe finalmente emergere qualcosa anche su mio fratello”, che va ora “cercata”.
Ma padre Dall’Oglio non è il solo a essere scomparso: 136.614 i prigionieri politici secondo la rete Syrian Network for Human Rights.
I resoconti di chi sta uscendo confermano le denunce di questi anni: persone torturate – anche fino a perdere la vita-celle buie e strette, sovraffollate, senza luce e con pochissimo cibo, nomi personali sostituiti da numeri.
E poi c’è l’emergenza al carcere di Saydnaya, il “mattatoio” secondo l’ong Amnesty International: non si riescono ad aprire i bracci sotterranei perché le guardie, prima di darsi alla fuga, hanno bloccato i meccanismi di apertura. Ignoto il numero dei prigionieri all’interno.
“Dal 2011- osserva Francesca- a migliaia sono finiti nel baratro. Ma c’è chi ne sta riemergendo, come Muammar Al-Ali, cittadino libanese arrestato 40 anni anni fa e da allora dichiarato scomparso: è uscito vivo dal carcere di Hama”, dopo la liberazione della città venerdì scorso da parte dei ribelli.
Al-Ali è stato arrestato a un checkpoint quando aveva 18 anni,nel 1984, mentre con la famiglia fuggiva dalla guerra civile libanese.
Oltre alla “forte emozione” quindi per gli eventi in corso, Francesca sente anche “la speranza” di poter riabbracciare il fratello: “Sappiamo che le autorità italiane hanno grande attenzione sul caso di Paolo, perciò in un momento come questo è fondamentale che tale attenzione aumenti”.
Pertanto Francesca si unisce all’appello lanciato in queste ore dall’associazione The Syria Campaign: “Proteggere dati, prove, informazioni nelle carceri affinché si possano ricostruire le storie di chi è stato detenuto”.
L’appello è anche a trovare un canale di dialogo con le nuove forze che si stanno imponendo in Siria: “Trovo fuorviante considerare tutti jihadisti, perché se da un lato ci sono i miliziani di Hayat Tahrir Al-Sham, le fonti sul terreno mi dicono che oltre la metà dei combattenti proviene invece da quelle forze rivoluzionarie del 2011 o da uomini che furono i giovani sfuggiti dai bombardamenti di Assad e cresciuti a Idlib”, altra importante roccaforte anti-governativa.
Insomma, “abbiamo davanti una coalizione di ribelli contro il regime siriano. E poi, anche rispetto ai cristiani- aggiunge Francesca- i miei contatti mi dicono che c’è dialogo e rispetto”.
Lo stesso che invocava padre Dall’Oglio. Per questo la sorella del missionario chiede di citare le parole dell’ultima intervista che il fratello rilasciò alla tv nazionale siriana il 28 luglio 2013: “La Siria è il nostro Paese e dobbiamo rimetterlo in piedi insieme, col pluralismo, necessario per aprire la via verso la libertà. I siriani non sono un popolo ingenuo o un bambino da dover tenere sotto tutela: sono persone consapevoli in grado di capire.
Dategli delle responsabilità, lavorate a una Costituzione condivisa e pluralista, e costruite un Paese federale. Dategli una democrazia. Ogni particolarità geografica, inoltre, va rispettata. Qui ci sono delle tribù, qui i curdi, qui gli alawiti, qui grandi città… ma il popolo deve poter creare unità
attraverso la propria condivisione e non tramite qualcosa da fuori che gli viene imposta dall’alto. Dobbiamo fare qualcosa per riappacificarci e non solo ritrovare la libertà per tutti, ma far sì che sia conservata”.
(Dire)
SIRIA. IN CERCA DELLE CELLE SOTTERRANEE NEL CARCERE DI SAYDNAYA ORGANIZZAZIONE ‘CASCHI BIANCHI’ INVIA 5 SQUADRE SPECIALIZZATE
(DIRE) Roma, 9 dic. – Cinque “squadre di emergenza specializzate” sono al lavoro per accertare la presenza di celle sotterranee nascoste nel dedalo di Saydnaya, prigione siriana dove nel tempo sono stati incarcerati ribelli e oppositori del governo di Bashar al-Assad rovesciato nel fine-settimana.
L’intervento è stato annunciato dagli White Helmets, i “caschi bianchi”, un’organizzazione nata nel 2014 con l’intento di soccorrere persone ferite nei bombardamenti dell’aviazione militare nelle aree sotto il controllo dei gruppi armati.
In un messaggio diffuso sulla rete sociale X, gli White Helmets hanno aggiunto che le squadre sono assistite da una guida esperta, che conosce la prigione, situata circa 30 chilometri a nord di Damasco. Gli interventi sarebbero stati decisi a partire dalle testimonianze e dalle segnalazioni di altri detenuti. “Le squadre”, hanno riferito gli White Helmets, “sono composte da unità di ricerca e salvataggio, specialisti nello sfondamento di muri, team per l’apertura di porte di ferro, gruppi con cani addestrati e soccorritori medici”.
Nel frattempo, l’amministrazione provinciale della capitale ha diffuso un appello alle guardie e a chiunque altro abbia lavorato nel penitenziario perché fornisca i codici necessari per aprire
le porte elettroniche del carcere.
Video di prigionieri liberati, tra i quali anche un bambino con la madre, sono stati diffusi dall’Associazione dei detenuti e degli scomparsi nella prigione di Saydnaya, una rete che ha base
in Turchia.
Secondo le sue stime, solo tra il 2011 e il 2018 in Siria sarebbero state assassinati o sarebbero comunque morti a seguito di abusi oltre 30mila detenuti.
Le esecuzioni, stando a questa e ad altre ricostruzioni, sono aumentate in coincidenza con l’inizio del conflitto civile deflagrato in Siria al tempo delle “primavere arabe”.
Amnesty International, ong con base a Londra, ha definito Saydnaya “un mattatoio umano”.
Le accuse sono state respinte dal governo di Al-Assad come “prive di verità” e “infondate”. Hayat Tahrir al-Sham, il gruppo ribelle che ha costretto il presidente alla fuga e ha assunto il potere insieme con altre milizie alleate, ha già annunciato la liberazione di migliaia di prigionieri.
Oltre 3.500 solo quelli detenuti nel carcere militare di Homs, già in libertà.
(Dire)