Care professoresse e professori e per conoscenza anche caro ministro Valditara,
qualcuno la deve pur raccontare questa brutta storia.

C’è stato un tempo, senza andare troppo indietro all’epoca pionieristica montessoriana, in cui venivano in viaggio-studio un po’ da tutto il mondo per toccare con mano il cosiddetto modello pedagogico italiano.

Oggi invece, complice la ricerca spasmodica di un posto fisso alternativo alla precarietà dilagante, constatiamo che non tutti, tra le nuove leve, hanno un percorso accademico di cui andare fieri.

Normalmente per lavorare nella scuola ci vuole una laurea e il superamento di un concorso ordinario, dopo il quale, nel corso degli anni, si sono aggiunti molti altri ostacoli per ottenere l’agognata abilitazione, che consente poi l’accesso al ruolo di insegnante “stabile”.

Si aggiunga, di recente, l’introduzione dei cosiddetti crediti formativi di ispirazione universitaria (riforma Berlinguer-Martinotti), applicati in questo caso al sistema di reclutamento, per chi se lo può permettere, seguendo costosissimi (fino a 3mila euro) percorsi abilitanti.

Sembra quasi che tutte le innumerevoli riforme nei sistemi di reclutamento da parte di tutti i governi politici senza distinzione di colore abbiano puntato a una precarietà dei docenti, che fosse funzionale alla creazione di futuri soggetti a loro volta precari, cioè gli studenti: ogni 10 insegnanti passati di ruolo con posto stabile in una determinata scuola ce n’è almeno uno/a che si barcamena nella girandola delle supplenze, nell’ambito del proprio Comune fino a viaggiare anche nell’intera provincia, ogni anno in una scuola diversa. Questi insegnanti, abilitati e non, sono circa 250.000 e tra questi quelli più precari dei precari sono gli appartenenti alla graduatoria per le supplenze (GPS) nel purgatorio della seconda fascia. Ma oltre alla laurea, ai master, ai dottorati, agli assegni di ricerca e quant’altro, come si possono ottenere i punteggi per potersi svincolare da territori dove la selezione è altissima, perché i punteggi che danno speranza per l’insegnante sono particolarmente elevati (ad esempio Napoli, Palermo, o aree fortemente depresse delle province del Sud)?

Negli ultimi anni per aumentare il proprio punteggio in queste graduatorie sono fioriti i corsi a pagamento: informatica, lingue e una selva di corsi e corsetti di ogni genere, proposti da improbabili centri di formazione accreditati presso il Ministero.

Vogliamo a questo punto immaginare  un percorso privilegiato ancora più “alternativo”: laurea facile online, in una delle tante università telematiche, dirette spesso da personaggi pittoreschi come il sindaco di Terni Bandecchi (Unicusano), ma soprattutto un punteggio acquisito in alcune scuole paritarie compiacenti: sono sufficienti 166 giorni di insegnamento ufficialmente retribuiti sotto contratto, anche per una sola ora o due di lezione a settimana (ad esempio educazione fisica, musica, ecc. equivalenti a compenso regolare di circa €200/300 al mese) per ottenere ben 12 punti, cioè molto più di qualsiasi altro titolo come una seconda laurea o un dottorato. Da un certo punto di vista pedagogico e professionale, trattandosi di attività sul campo, a livello teorico si tratterebbe di 12 punti che effettivamente valgono di più di una conoscenza o competenza maturata solo sui libri, ma il punto dirimente è che, ottenuti in questo modo fraudolento, non offriamo  ai giovani allievi un esempio di onestà e di duro lavoro! Infatti si arriva al paradosso che i mille o duemila euro guadagnati tramite questi “contrattini” vengano poi restituiti in contanti allo stesso istituto paritario dove si è insegnato,  compresa anche la ritenuta d’acconto!

Salvaguardando tutte le persone che studiano seriamente, purtroppo esistono anche quelli che scelgono questa “corsia preferenziale”, pagando discrete somme ancora prima di quelle che poi dovranno sborsare per i 60 crediti necessari per ottenere l’abilitazione e assicurarsi così l’agognato “posto fisso”.

A questo punto la domanda al ministro Valditara e ai suoi accoliti sorge spontanea: voi, che avete ribattezzato il glorioso Ministero dell’Istruzione con la nuova dicitura Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM), avete un’idea di quale merito possano vantare questi docenti? Con quale spinta pedagogica potranno prendere a cuore la propria materia da insegnare, e soprattutto, con quale carica di sincerità e passione riusciranno a insegnare e sviluppare il senso critico e la capacità di lettura della società ai propri studenti?

Stefano Bertoldi e Rayman