(Riceviamo e pubblichiamo dalla agenzia stampa Interris.it)
Oggi 2 dicembre si celebra la Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù.
In questo giorno, nel 1949, le Nazioni Unite approvarono la Convenzione per la repressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui.
La schiavitù ha caratterizzato, in forme diverse, la gran parte delle società umane.
Le strutture economiche dei grandi imperi dell’antichità erano basate sullo sfruttamento del lavoro servile.
La tratta atlantica degli schiavi rappresenta un caso a sé.
Durante la tratta atlantica gli schiavi africani erano catturati, venduti, trasportati e sfruttati nelle Americhe.
Per quattro secoli milioni di persone furono strappate dalle loro terre e fatte schiave.
Soltanto pochissimi territori, i più interni, dell’Africa furono risparmiati da questa immensa tragedia che ancora oggi determina la condizione di un intero continente.
Dopo anni di dibattiti, di libri – come non ricordare “La capanna dello zio Tom”, il più famoso romanzo abolizionista della storia -, dopo una sanguinosa e fratricida guerra civile si arrivò all’epilogo.
Il 18 dicembre 1865 entrò in vigore il XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che aboliva la schiavitù.
Successivamente nel mondo iniziarono i primi incontri internazionali sul tema della tratta di persone.
Nel 1877 a Ginevra si tenne il primo Congresso della Federazione Internazionale Abolizionista, nel 1899 a Londra si tenne il primo congresso internazionale che si opponeva alla tratta degli schiavi.
Fintanto che il 18 maggio 1904, a Parigi, il Congresso Internazionale approvò l’Accordo Internazionale per l’abolizione della tratta degli schiavi bianchi.
Infine, nel 1949, a pochi anni dalla loro fondazione, le Nazioni Unite si fecero carico della questione ed approvarono la Convenzione per l’abolizione della tratta di persone e dello sfruttamento della prostituzione.
Sebbene sia stata abolita, ancora oggi esistono varie forma di schiavitù.
Da un quarto di secolo c’è una piccola donna che cammina in mezzo ai migranti resi schiavi tra le frontiere nel nord Africa. E’ doctor Alganesh.
Alganesh Fessaha è una donna minuta e coraggiosa, italo-eritrea, che attraverso la Ong “Gandhi Charity”, composta da donne africane e italiane, si prende cura di bimbi orfani, migranti e rifugiati politici provenienti principalmente dal Corno d’Africa.
Da anni è un punto di riferimento per i viaggiatori della speranza nel nord-Africa e nel Sinai. Per le sue attività ha ricevuto l’Ambrogino d’Oro milanese ed è stata insignita del titolo di Grande Ufficiale dal Capo dello Stato.
Tra le sue attività ha contribuito a realizzare i corridoi umanitari da Etiopia e Niger in collaborazione con la Conferenza episcopale italiana, la Caritas e la Comunità di Sant’Egidio. Interris.it l’ha intervistata.
Quando è stata l’ultima volta in Africa?
“Sono stata in Etiopia due mesi fa. Dopo la guerra del Tigrai hanno spostato cinque campi profughi nella regione di Gondar. Prima erano differenziati tra bambini, donne e anziani. Ora invece stanno tutti insieme in un unico grande campo. Più difficile gestirlo in sicurezza per le persone. Inoltre non troviamo più 250 bambini soli. Erano orfani ma non sappiamo se sono scappati all’estero, se si sono uniti ad altre famiglie oppure se sono finiti in mano ai trafficanti. Non sappiamo che fine abbiano fatto”.
Lei è di origine Eritrea, un paese che è considerato la “Corea del Nord africana” per la feroce dittatura. Da quando non torna nel suo Paese Natale?
“Mio padre durante la guerra di indipendenza combatté perché gli italiani non fossero cacciati dall’Eritrea. Io sono 28 anni che non torno a casa mia. Non posso tornare dopo le mie denunce. Rischio come minimo il carcere. D’altro canto al potere c’è un governo che dopo l’indipendenza ha messo in carcere tutti i ministri. In Eritrea non si può parlare. Le scuole educano i figli a fare la spia ai genitori. Le prigioni sono piene di dissidenti politici. I ragazzi a 16 anni iniziano il servizio militare e vengono mandati sul fronte non appena inizia di nuovo la guerra con il nemico di sempre l’Etiopia”.
Cosa dice ai ragazzi che vogliono partire per il viaggio per l’Europa?
“Gli spiego i rischi che corrono, ma i ragazzi lo sanno. I ragazzi mi chiamano ‘mamma Alga’. ‘Io non ho possibilità. – mi dicono – O passo il Mediterraneo, oppure sarò un pasto per i pesci’”.
Lei è stata tra i primi a denunciare il traffico di organi lungo la rotta del Sinai. Qual è oggi la situazione?
“Oggi quella rotta è chiusa. Dopo le denunce delle asportazioni di organi che subivano i migranti, in particolare sudanesi ed eritrei, al-Sisi (il Presidente egiziano, ndr) ha bombardato il Sinai. Inoltre Israele ha costruito un muro lungo la frontiera con l’Egitto per impedire l’immigrazione clandestina. Ma il traffico di organi rischia di proseguire perché i trafficanti si sono spostati dal Sinai alla Libia”.
E’ stata in Libia?
“Si e sono anche stata picchiata. Le torture continuano ancora oggi. Ad alcuni migranti tagliano i capelli e poi gli danno le scosse elettriche. Tutto per far pagare i parenti. Tante ragazze vengono stuprate. Molte, prima di patire per il viaggio si fanno iniezioni per non rimanere incinta. Altre abortiscono”.
Come è possibile che esista questa forma di schiavitù?
“Molte popolazioni, anche in nord-Africa, sono educate ad una forma di razzismo: per loro un nero è inferiore e quindi possono essere trattati come vogliono”.
Come si può porre fine a questo orrore?
“Non dobbiamo costruire muri. Gli accordi che l’Europa fa con la Turchia e la Tunisia sono dei muri. Dobbiamo combattere l’indifferenza dell’uomo e del mondo occidentale, il luogo dove vogliono arrivare i migranti. Un disperato non si ferma, cerca sempre la luce”.