Quest’anno la marea transfemminista attraversa le strade di Palermo nella manifestazione nazionale di Non Una Di Meno, che, insieme a quella di Roma, anticipa al 23 novembre la ricorrenza della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne al grido di “Disarmiamo il patriarcato”.

Quello che parte da Piazza Indipendenza, quando già comincia a fare buio, è un corteo ordinato, anzi, per meglio dire accurato. Infatti non c’è il servizio d’ordine ma quello di cura ad accompagnarlo, nel rispetto di regole ben precise che lo vogliono agibile a tutti e tutte grazie alla collaborazione col Disability Pride.

I toni scuri degli abiti si colorano nei fazzoletti fucsia di NUDM e nella bandiera della Palestina che sventola e ritorna anche nello striscione di apertura. Si alzano le voci nei cori e negli interventi che parlano di diritti civili e sociali. Molti i temi: Sanità e Autonomia Differenziata, scuola e militarizzazione, aborto e obiettori.

Si chiede una medicina non solo più umana ma anche transfemminista e interrazziale che non discrimini e permetta alle persone trans l’accesso ai servizi con il proprio nome e la propria identità.
Si ribadisce che per disarmare il patriarcato si deve smilitarizzare la scuola e avviare progetti di educazione all’affettività e alla sessualità.

Le diverse voci che si susseguono al microfono interpellano istituzioni e coscienze senza sconti per nessuno. Così è contro il discorso del ministro Valditara, alla presentazione della fondazione intitolata a Giulia Cecchettin, che non ha perso occasione per portare acqua al mulino delle politiche migratorie.

Con le parole della sorella di Giulia, qui si grida forte che gli uomini violenti sono quasi sempre “i vostri bravi ragazzi”, quasi sempre uomini bianchi, quasi sempre familiari delle loro vittime.

Diversi i cartelloni tenuti alti sul corteo che scende lungo il Cassaro dove incontra, a piazza Bologni, le magliette stese dei centri antiviolenza di Palermo e Catania con le frasi delle donne che hanno avuto il coraggio di denunciare.

E poi i temi legati all’ambiente e alla sua cura, al Sud, terra di guerra in un tempo di guerra che ne vuole disciplinare la società.

Disarmare il patriarcato in un tempo in cui si incentiva l’uso delle armi, in cui si permette per legge agli uomini delle forze dell’ordine di camminare armati anche fuori servizio, sebbene si sappia quanto la disponibilità alle armi abbia inciso e incida nelle statistiche delle morti di femminicidio.

Disarmare il patriarcato è non permettere più a nessuno di disporre dei corpi e dei territori in modo autoritario e padrone. È educare alla cultura del consenso perché un no è un no anche se prima si era detto sì.

E la memoria viva del lungo elenco di mortɘ degli ultimi undici mesi risuona ancora forte dalla testa del corteo e lo attraversa nel “grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”.

Perché la lingua può essere lotta e nessuno dovrà mai più poter dire a nessuna persona di stare zitta e nessun popolo dovrà mai più essere annientato dall’arroganza del potere patriarcale.

E quindi, anche da qui, nell’alzare la voce contro tutte le oppressioni, si leva il grido di “Palestina libera”!