Andy Rocchelli è un giornalista fotoreporter italiano del collettivo fotografico Cesura ucciso in Ucraina il 24 maggio 2014 a Slov’jans’k.

La sua storia si è un po’ persa perché potremmo dire è difficile da raccontare: è stato ucciso dal governo amico. Questa è la verità giudiziaria che mette in crisi l’ordine narrativo, se fosse stato assassinato dai russi tutto filava liscio: buoni/cattivi, amici/nemici, noi/loro.

A 10 anni dalla sua morte il Premio Morrione ha voluto ricordare e raccontare la sua figura e l’epilogo della sua vita insieme ai genitori Elisa Signori e Rino Rocchelli e poi con Carlo Bartoli, Presidente Consiglio Ordine nazionale dei Giornalisti, Arianna Arcara del collettivo Cesura, Belle Giulietti di Articolo 21, Riccardo Noury di Amnesty International, all’avvocata Alessandra Ballerini e alla giornalista Lucia Sgueglia.

L’accusa nei confronti di Andy Rocchelli e del suo accompagnatore Andrej Mironov è «se la sono andata a cercare», spiega la mamma Elisa Signori «sprovveduti che si erano andati a mettere sotto il tiro dei mortai». Tuttavia, la giustizia ha fatto il suo corso, si è arrivati (caso raro) al processo dove si è dimostrato che non è stato un incidente, «una memoria della macchina fotografica di Andrea dimostra che l’attacco fu prolungato, continuo, ed è stato possibile risalire alla catena di comando dell’attacco».

In primo grado si è arrivati alla condanna di un comandante, ma poi in appello «la sentenza è stata annullata per un’omissione procedurale (i testimoni non sono stati informati che rispondendo potevano diventare correi ovvero essere accusati).

Noi abbiamo ben chiaro cosa è successo in quel pomeriggio di quel 24 maggio, ed è scritto nelle motivazioni della sentenza, ma ci manca la giustizia». L’avvocata Alessandra Ballerini spiega che i testimoni invitati a sostenere l’imputato «hanno mentito in modo così grossolano che ogni volta uscivano dei pezzi di verità che hanno contribuito a ricostruire i fatti. Essendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità tra i responsabili c’è anche lo Stato ucraino. E i giornalisti sono da considerare persone civili. Non erano nel posto sbagliato facevano il loro lavoro. Penso chi abbiamo perso? Un crimine che ha privato tutti noi del talento e della passione di Andy».

William Roguelon giornalista che ha testimoniato ed è stato ritenuto attendibile, sia per ciò che ha detto che per quel che ha documentato, ha raccontato «siamo arrivati vicino alla fabbrica Zeus in taxi siamo rimasti all’aperto per circa 10 minuti, i proiettili arrivavano da lontano erano raffiche precise, siamo saltati nel fossato, eravamo presi come bersaglio, poi sono arrivati i colpi di mortaio uno ogni sei secondi, precisi diretti esattamente nel fossato, colpi che strappavano il cielo. Non ci sono stati spari di avvertimento, ma volontà di uccidere». Il caporale ucraino intercettato in carcere avrebbe affermato «perché non si può sparare sulle macchine dei cittadini? Se uno va dove non deve andare».

Riccardo Noury, ha spiegato, che il sistema dei diritti umani è profondamente in pericolo: la regola «i civili non si toccano» è continuamente violata. Il giornalista sta nel posto dove stanno le prove, questo è il posto giusto, non sbagliato e «la condotta di uno stato amico non può essere insindacabile» perché continua ad essere ancora vero quello che sosteneva Orwell «se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente (e ai poteri costituiti) ciò che non vuol sentirsi dire». Andy e Andrej sono stati uccisi dall’esercito ucraino. E forse, alla fine, non è nemmeno questo l’aspetto più importante, ma come ha detto il Papa «l’ignobile guerra».

Fabrizio Floris