Presentato a Palermo, nello spazio polifunzionale del circolo Arci Tavola Tonda ai Cantieri Culturali alla Zisa, il libro di Mario Capanna e Luciano Neri edito da Mimesis Palestina Israele con due sottotitoli, Il lungo inganno e La soluzione imprescindibile, che ne anticipano il contenuto, frutto della lunga esperienza diretta degli autori in Medioriente, e introducono i temi che verranno trattati insieme all’intervento dell’arcivescovo della città, Mons. Corrado Lorefice.
Nel presentare il primo ospite, Gaspare Nuccio, che modera il dialogo, ricorda al numeroso pubblico che avere a che fare con un libro, in un tempo di informazione veloce, dà il senso dell’impegno che ancora rimane ad accostarsi alla lettura.
Luciano Neri inizia il suo intervento con l’invito a costruire speranza nonostante tutto sembri andare in senso opposto. Di fronte alla banalità del male – dice, citando Hannah Arendt e con un rapido riferimento al film La zona di interesse diretto da Jonathan Glazer – rischiamo di essere pervasi dal male e di non riconoscerlo, perdendo così la nostra umanità.
Cita poi i numeri del genocidio palestinese, dai 45 mila morti ufficiali ai non meno di 180 mila ipotizzati da Lancet, e il suo invito alla riflessione non usa mezzi termini che possano mediare la verità: noi euroamericani siamo responsabili di queste morti.
Israele è solo un fazzoletto di terra e non potrebbe sfidare il mondo se non fosse protetto e finanziato da Stati Uniti ed Europa. Rincara la dose Neri: noi siamo i mandanti mafiosi e Israele è l’esecutore di strada. Stiamo già pagando per la nostra economia di guerra e continueremo a farlo, con il 2% di spesa pubblica per armamenti non possiamo nemmeno immaginare uno stato sociale che funzioni!
Smonta i miti che nel tempo giornalisti asserviti al sistema hanno inculcato nel nostro immaginario collettivo. Ci hanno fatto credere che l’Europa abbia consentito l’occupazione perché c’era un popolo senza terra, quello Israeliano, e una terra senza popolo, la Palestina.
Ma la Palestina degli anni ‘20 era una società dinamica, ricca di scambi economici, commerciali e di cultura, con il 55% di scolarizzati contro l’appena 27% dell’Italia, dove convivevano in pace etnie e comunità religiose diverse. È un falso storico che fosse una terra vuota! Le parole sono supportate dalle immagini di aeroporti, ferrovie, palazzi pubblici di pregio ingegneristico.
E Neri ci racconta la storia di un milione di Palestinesi cancellati durante la prima Nakba, dei campi profughi per tutto il Medioriente, della frammentazione senza fine del territorio dal ‘48 ad oggi. Il carattere coloniale di Israele è già nella sua origine, insieme a quello teologico, e la repressione dei Palestinesi diventa poi anche quella della comunità cristiano-cattolica che vede profanati i suoi cimiteri, distrutte le sue chiese come quella della Moltiplicazione sul lago di Tiberiade. Ma Israele e il sionismo non hanno niente a che vedere con la cultura ebraica, come già diceva Prima Levi.
Parla di criminali, Neri, e fermarli è un obbligo per ogni persona. Gaza è simbolo epifenomenico della perdita dell’umanità e della responsabilità dell’intera comunità umana occidentale rispetto ai crimini di Israele. La storia degli accordi è una finzione che ha sfruttato la reale intenzione dei Palestinesi di negoziare per uno stato autonomo mentre nessuna potenza occidentale, come ha detto lo stesso capo negoziatore israeliano a Oslo, aveva intenzione di avviare tale trattativa.
Eppure Arafat continuava a portarla avanti, nonostante fosse consapevole della complessità della situazione, specie dopo la nascita di Hamas e di tutti gli altri gruppi islamisti. Ed era proprio Israele che riteneva vantaggiosa la presenza di Hamas perché, in quanto organizzazione terroristica, non trovava sostegno nel mondo occidentale e si configurava come il nemico per eccellenza.
Nonostante lo sgomento attuale, Neri conclude il suo intervento con un invito alla speranza, quella dei tanti manifestanti in tutto il mondo, quella di Vittorio Arrigoni che ci chiede di restare umani e costruire la pace.
La parola passa all’Arcivescovo Corrado Lorefice che si fa accompagnare dalle citazioni di Dossetti, di Lercaro, di Giovanni XXIII e ricorda come la Chiesa Conciliare legga nella numerosa presenza dei poveri un segno dei tempi.
È a loro che si rivolge la buona novella del Cristo, è l’istanza del cristianesimo riscattare la storia da ogni forma di male esercitata da chi opprime altri uomini. Purtroppo gli uomini, anche i migliori, non sanno vedere altro mezzo che la guerra per risolvere i conflitti, ma questa è solo una nefanda superstizione, dice.
Rivoluzionaria allora appare l’enciclica Pacem in terris di Papa Roncalli che elimina il fondamento teologico della guerra giusta fondata razionalmente: “Alienum est a ratione”, detto in parole povere “È da imbecilli” pensare che la guerra possa risolvere i conflitti tra le nazioni. «Oggi, che la guerra è tornata ad essere razionale, e ne conosciamo il suo potenziale di morte, io voglio essere tra quelli che gridano l’irrazionalità della pace», conclude Lorefice.
Il microfono passa quindi a Mario Capanna, dichiaratamente commosso nel rivolgersi alla platea in quella che definisce una “dies signanda lapillo” poiché considera l’incontro con Lorefice un segno dei tempi. Parla del libro, resoconto di cinquanta anni a fianco di pacifisti israeliani e palestinesi, ma non tralascia di commentare che, di fronte all’oppressione di fratelli nei confronti di altri fratelli, è sempre dalla parte delle vittime che bisogna stare.
Così ci dice quello che l’Occidente non vuole sentire: Israele può permettersi di violare le risoluzioni dell’Onu senza prendersi nemmeno un buffetto. È l’unico Stato al mondo che non ha fissato i confini perché continua a sognare di dominare dal fiume al mare. E se la stessa cosa la pretende Hamas non c’è spazio se non per la guerra.
Eppure Arafat riconobbe lo stato di Israele – continua Capanna – smentendo lo stesso Primo Ministro israeliano Ben Gurion che aveva detto che gli arabi, non avendo nulla a che vedere con l’Olocausto, non avrebbero mai ammesso l’esistenza di uno Stato ebraico.
Allora perché a questo Stato, minuscolo per quanto armatissimo, viene consentito qualunque misfatto? L’unica spiegazione è che è funzionale all’Occidente per tenere a bada centinaia di milioni di arabi e proseguire lo sfruttamento delle risorse energetiche e gli scambi commerciali nell’area.
Perché anche noi – insiste – da sempre sensibili alla condizione dei palestinesi, oggi ci schieriamo con Israele, fino ad assumerne la bandiera dopo il 7 ottobre?
C’è la solidarietà planetaria dei popoli, l’isolamento planetario nei confronti di Israele, poiché 170 stati dell’Onu hanno votato a favore del riconoscimento dello stato della Palestina tranne 7, ma è bastato il veto degli Stati Uniti per bloccare tutto. La soluzione imprescindibile è solo una: due Stati due popoli. E l’Occidente che fa? Nulla, manda armi e protegge.
Rispetto al problema sollevato da Lorefice sull’imbecillità dei guerrafondai, Capanna ci dice che l’imbecille ha perennemente bisogno di un bastone per stare in piedi ma, proprio per la sua imbecillità, non lo trova.
Così gli Israeliani non hanno paura della guerra perché la conoscono, la pace invece non la conoscono, perciò la temono. Il nostro compito è aiutarli a non avere paura della pace. Occorre fare della guerra un tabù come del cannibalismo e dell’incesto, di fronte ai quali arretrare inorriditi.
Interviene Adham Darawsha dell’Associazione palestinese Voci nel Silenzio. Parla da palestinese della generazione dell’inganno, che ha messo nel cassetto il sogno di una pace che si basi sugli accordi di Oslo.
Rivendica il diritto del suo popolo a discutere e aggiunge che i Palestinesi credevano nella democrazia già nel 1920, prima che le potenze occidentali immaginassero lo Stato di Israele. Per lui “2 popoli 2 stati” è il prolungamento del vecchio inganno.
Infine ad una domanda sul 7 ottobre risponde Mario Capanna, facendo sue le parole del Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres: di fronte all’apartheid, il terrorismo dall’alto dello Stato Israeliano ha alimentato il terrorismo dal basso di un popolo che utilizza le forme di lotta di cui può disporre per contrastare i soprusi subiti. Il 7 ottobre ha fatto sì che la questione palestinese tornasse all’attenzione dell’umanità.
La pace in Palestina è condizione necessaria per la pace in tutto il mondo. È questo l’impegno richiesto a ognuno di noi. Dobbiamo onorarlo, è la conclusione.