Domenica 17 novembre, si è svolto a Firenze, presso la Casa del Popolo 25 Aprile, l’incontro con l’israeliana Eszter Koranyi e la palestinese Rana Salman, co-direttrici dell’organizzazione pacifista nonviolenta Combatants for Peace dove abbiamo potuto conoscere questa importante esperienza di attivismo pacifista di cui ovviamente non abbiamo traccia sui nostri media e mainstream cristallizzati sulla difesa della “giusta guerra” e delle “giuste reazioni” a quelli che si limitano ad essere solo riprovevoli attacchi terroristici senza una contestualizzazione generale della problematica, degli avvenimenti e della storia.

Combatants for Peace è nata vent’anni fa a partire dalla coraggiosa obiezione di coscienza di ex militari israeliani ed ex militanti palestinesi intenti, con difficoltà e anche tormento personale, a trovare un’alternativa alla spirale della violenza crescente, distruttiva e inutile. Da qui è nato un movimento di uomini e donne, con la partecipazione sempre più attiva di giovani e lo sviluppo di sempre maggiori iniziative e percorsi di supporto attivo e promozione verso la pubblica opinione. Abbiamo così potuto conoscere i numerosi e difficili interventi di interposizione nelle aree della Cisgiordania assediate dai coloni, seme di una soluzione pacifica di coesistenza e accettazione della reciproca esistenza dei due popoli israeliano e palestinese.

Ha introdotto l’incontro Gianna Maestrelli di Assopace Palestina rimarcando questo “prototipo” di convivenza e di attivismo, che assieme ad altre realtà simili, soprattutto in Cisgiordania promuovono e supportano la scelta del “noi con gli altri” vs il “noi contro gli altri”.

Olivier Turquet di Multimage edizioni e Pressenza ha ricordato le importanti testimonianze contenute nel recente e interessante libro curato da Daniela Bezzi intitolato giustappunto “Combattenti per la pace”: “Cosa possiamo fare? Lo stai già facendo. Se non ti stai attivando per la pace, ti sei rassegnato alla guerra”. Una citazione che ci spinge a riflettere sulla ipocrisia e pochezza delle scelte dei governi occidentali e la ancor insufficiente consapevolezza e presa di posizione da parte delle persone. Olivier ha terminato con la riflessione che la violenza, la corsa agli armamenti e “le conseguenti guerre” non sono la soluzione, ma al contrario lo è la pace, una necessità del mondo e della umanità.

Molto toccante e ricco di spunti è stato l’intervento da remoto di Lucia Capuzzi, inviata della redazione esteri de L’Avvenire, la quale ha rimarcato la vitalità delle società civili, nonostante la tragedia che tocca, in modo ancora più acuto le due popolazioni dopo il 7 ottobre. Questo nonostante la limitazione, in tutto il mondo, ma in particolare in Israele, derivata dal blocco dei mainstream fermi sulla narrazione del 7 ottobre, senza una analisi del prima e di tutto quello che è accaduto dopo. Al contempo i media arabi si soffermano sull’orrore della distruzione di Gaza, l’ampliarsi dei soprusi in Cisgiordania (dove da mesi i permessi di lavoro sono bloccati per oltre 300.000 persone), gli attacchi in Libano, ma non parlano del 7 ottobre. Coerentemente con questo i media occidentali non danno spazio alla cronaca della verità e nemmeno a queste realtà come i “Combattenti per la pace”, trattati come marginali, difendendo così l’inevitabilità della guerra.

Nonostante “questo sistema” spinga e promuova la rabbia e l’odio, ci sono molte persone che continuano a parlarsi, non perché appiattite su una sterile utopia, ma perché convinte che aggiungere nuova violenza non serva. In attesa che anche la politica, staccandosi dagli interessi dell’industria per la corsa agli armamenti, faccia in modo che il conflitto trovi una giusta soluzione, è nostro diritto-dovere di uomini e cittadini premere sui nostri leader e governi affinché si vada in questa direzione.

Rana e Eszter, nell’interessante racconto dell’evoluzione del movimento, hanno sottolineato come sia importante la nuova spinta promossa dalle donne, dopo la prima fase supportata principalmente da uomini ex combattenti e che ha portato a far diventare loro le rispettive direttrici.

Alla fine è stato dato ampio spazio alle domande dei presenti, nel quale sono stati affrontati i temi su “cosa possiamo fare noi” cittadini, “la necessità che il cambiamento parta anzitutto da noi, dalla liberazione dai muri e la paura dell’altro”, l’idea che la vera soluzione non può essere quella militare: questi movimenti sono a tutt’oggi ancora una piccola minoranza, ma forse l’unico vero seme della futura soluzione.

 

foto di Gianna Maestrelli e Paolo Mazzinghi