Come si ricava dalla legge di ratifica del Protocollo Italia-Albania, dai suoi allegati, e dalle gare di appalto andate deserte, il disegno originario del governo prevedeva attività di pre-screening (pre-identificazione) a bordo delle navi traghetto che sarebbero state noleggiate per trasportare il “carico residuale” di persone di sesso maschile ritenute “non vulnerabili” e adulte, in Albania, con un importante impegno finanziario. Queste attività sono state invece svolte, nei confronti dei primi naufraghi soccorsi a sud di Lampedusa, in acque internazionali ma nella zona SAR italiana, da motovedette della Guardia costiera e della Giardia di finanza, a bordo della nave militare Libra, impegnata finora con esito fallimentare, e non solo per le decisioni dei giudici, nelle operazioni di trasferimento verso il porto albanese di Shengjin.
Secondo quanto si legge in un documento-appello di EMERGENCY , SOS Humanity, MSF, Mediterranea, sottoscritto da numerose associazioni, ma passato con scarso rilievo sui media, mentre infuriavano gli attacchi più violenti ai magistrati che applicando la legge in senso conforme alla Costituzione ed alle normative europee, hanno di fatto bloccato l’applicazione del Protocollo Italia-Albania,“le modalità operative, le procedure di screening e i criteri utilizzati per esaminare la vulnerabilità delle persone presentano elementi estremamente gravi e concorrono a determinare un sistema di selezione e deportazione che contraddice i valori deontologici della nostra professione e viola i diritti garantiti non solo dalla Costituzione italiana ma anche da convenzioni internazionali”.
Appare evidente come a bordo della nave Libra, ed ancora di più sulle motovedette che effettuano i primi soccorsi in acque internazionali, non si possono attuare quelle procedure previste dalla legge n.47 del 2017 (legge Zampa) per la identificazione dei minori stranieri non accompagnati e delle persone vulnerabili. Secondo l’appello, “Nei documenti pubblicati dal Ministero dell’Interno stesso (D. Lgs. 142/2015 art. 17 e nel Vademecum per l’identificazione della vulnerabilità ) si sottolinea inoltre come l’emersione di alcuni elementi di vulnerabilità possa non essere evidente in fase iniziale, pertanto la valutazione delle persone soccorse deve essere intesa come un processo continuativo nel tempo, che inizia con il soccorso in mare e prosegue nelle varie fasi dell’accoglienza, con particolare attenzione alla disponibilità di tempo, di un ambiente percepibile come sicuro e riservato dove la persona vulnerabile possa sentirsi accolta e con il necessario supporto di mediatori culturali e operatori specializzati“. Si richiamano in proposito “Le Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale” (22 Marzo 2017) del Ministero della Salute riportano, a tal proposito, che “Tutti i rifugiati sono da considerarsi come soggetti potenzialmente vulnerabili, poiché l’esilio è di per sé un’esperienza di tipo traumatico”. Una selezione di persone non vulnerabili significa pertanto non considerare in alcun modo il background da cui le persone soccorse in mare provengono”.
Alla fine del documento le associazioni firmatarie, denunciano “con fermezza le istituzioni italiane, a partire dal Ministero della Salute, che hanno sostenuto e reso possibile la realizzazione e l’attuazione di questo Protocollo, e critichiamo duramente CISOM, USMAF e OIM, le realtà sanitarie che si stanno rendendo complici di questa prassi in totale violazione dei diritti umani e del Codice di Deontologia Medica. Chiediamo dunque alle realtà coinvolte una formale e pubblica presa di distanza e di porre fine alla collaborazione con le istituzioni italiane a questo sistema di repressione e deportazione, contrario al dettato della Costituzione italiana e al quadro normativo internazionale di tutela delle persone in movimento. Chiediamo alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), alla Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), agli Ordini degli psicologi, alle società scientifiche di ambito medico e a tutte le realtà medico-sanitarie interessate di prendere formalmente e pubblicamente le distanze da tali pratiche, ritenendole incompatibili con i principi etici e professionali alla base del nostro operato. Esortiamo inoltre tutti i professionisti e le professioniste della sanità a non prestarsi a tali misure discriminatorie e degradanti e a sottoscrivere questo documento”.
Nel mondo al contrario della informazione di destra che in questi giorni di trumpismo dilagante condiziona l’opinione pubblica nel nostro paese, è questa parte finale dell’appello a destare una reazione che sfrutta persino un documento riservato della SIMM (Società italiana di medicina delle migrazioni) di cui si sarebbe entrati in possesso, secondo cui, prendendo lo spunto dall’assenza di ambulatori specifici sulle navi, per i possibili traumi psicologici dei migranti, “si chiede alla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi, alla Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche, agli Ordini degli psicologi, alle società scientifiche di ambito medico e a tutte le realtà medico sanitarie interessate di prendere formalmente e pubblicamente le distanza da tali pratiche”. Secondo quanto riferito dal Giornale, nel documento della SIMM si osserva (giustamente) che “tutte le persone soccorse in mare sono da ritenersi vulnerabili” e dunque le prassi di pre-indentificazione attuate nei loro confronti risulterebbero in violazione dei diritti umani. Secondo il Giornale invece, sarebbe soltanto “l’ennesima dimostrazione del tentativo di boicottare il protocollo a tutti i costi: oggi gli stessi migranti sono tutti vulnerabili, a tutti i costi. L’ennesima contraddizione che dalle toghe arriva ai medici e che ha il sapore ormai di un atto solo politico”. Si vede che il Protocollo Italia-Albania fa veramente perdere il lume della ragione a tutti i suoi numerosi fautori che adesso sono costretti a prendere atto di un fallimento epocale, che sta avendo ripercussioni anche a livello internazionale e che sta influendo anche sul riconoscimento delle richieste italiane sulla composizione della nuova Commissione europea. Ma come si è detto altre volte, le violazioni che deriverebbero dall’attuazione del Protocollo vanno ben oltre la questione della lista dei paesi di origine sicuri, adesso stabilita per legge, che si vorrebbe imporre ai giudici, in contrasto con quei poteri doveri di accertamento che si riconoscono alla giurisdizione, secondo le vigenti Direttive europee, dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
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Ancora violazioni dei diritti umani nel pre-screening a bordo di nave Libra