Il libro autobiografico della scrittrice e giornalista palestinese Asmma Alghoul racconta le vicende di una donna nata e vissuta tra l’incudine e il martello. L’occupazione e i crimini di Israele e l’oppressione fondamentalista di Hamas.
Un testo coinvolgente, dalla narrazione diretta ed efficace
Il 14 novembre il “Comitato speciale Onu” incaricato sin dal 1968 di indagare sulla condotta israeliana sui Territori palestinesi occupati, ha definito ciò che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania “compatibile con le caratteristiche del genocidio”.
La conferma di quanto affermato da più parti in questi mesi.
La rabbia e l’indignazione di fronte alla mattanza perpetrata dallo Stato ebraico dal dopo 7 ottobre dello scorso anno, inevitabilmente ha fatto mettere da parte quello che era il regime instaurato da Hamas in questi anni.
Bollata come al solito con l’etichetta di “terrorista”, non ci sono dubbi che l’organizzazione politica palestinese fondamentalista sull’onda dell’imprevista vittoria elettorale del 2006, abbia goduto di un vasto consenso iniziale a Gaza e non solo.
Ma con il passare del tempo l’opprimente cappa islamista calata sugli abitanti di quel territorio, ha svelato il vero volto di Hamas.
Recentemente è uscito un gran bel libro che attraverso il racconto autobiografico, dimostra sia cosa significa nascere e crescere tra le bombe e i crimini dell’Idf, sia fare i conti con un regime islamista.
Lo propone Asmaa Alghoul, giornalista e scrittrice palestinese, nonché femminista e attivista, insieme a Selim Nassib, anche lui giornalista e scrittore, nato e cresciuto a Beirun in una famiglia ebrea di origine siriana.
Stiamo parlando de “La ribelle di Gaza”, (E/O 280 p. 16.50 euro), in realtà uscito nel 2016, ma pubblicato da noi quest’anno.
Con efficacia, restituendoci i drammi e le tensioni che ha vissuto, l’autrice ci accompagna dentro l’incubo dell’occupazione israeliana, in un contesto dove si è costretti a vivere, anzi a sopravvivere, tra l’incudine e il martello, tra i bombardamenti e le incursioni distruttive di “Tshal” e l’oppressione di Hamas.
Asmaa si definisce “musulmana, credente, laica”, ma al di là delle appartenenze e delle varie identità che formano la sua persona, è fondamentalmente, come recita il titolo del testo, una ribelle.
Cresciuta nel campo profughi di Rafah fa presto i conti con il luogo dove l’è capitato vivere. Nata in una famiglia non fondamentalista, vede gradualmente l’ascesa di Hamas, conseguenza della corruzione e dell’affarismo di Al fatah, criticata molto aspramente dalla Alghoul, e di conseguenza deve fare i conti anche nella sua cerchia famigliare, cioè gli zii di Hamas, con le politiche islamiste.
Ciò accade a 16 anni quanto ritorna dagli Emirati Arabi deve si era trasferita otto anni prima con il resto della famiglia, per raggiungere il padre ingegnere che lì lavorava.
Dunque quando adolescente ritorna a Gaza verifica il grande cambiamento avvenuto durante la sua assenza.
Il ricordo di una comunità dove l’egemonia fondamentalista non era così diffusa, ha lasciato il posto ad una realtà in cui il controllo sulle persone, soprattutto le donne, è capillare e opprimente; girare a testa scoperta significa essere subito additate: “è quella che viene dall’estero e si veste in maniera indecente”.
Alcuni episodi raccontati sono emblematici: dal recarsi in spiaggia con i fratelli, ad andare in bicicletta (e in moto), cosa severamente vietata per le donne perché denota una “particolare connotazione sessuale”.
Si potrebbe anche sorridere, ma c’è poco da ridere visto che per chi sfida questi divieti ci sono minacce, fino alle botte.
Ma Asmaa Alghoul non abbassa mai la testa, sfida le costrizioni, e quando inizia le prime collaborazioni giornalistiche inizia a denunciare l’oppressione islamista.
Le vicende personali, ha due figli frutto di due matrimoni finiti presto per motivi facilmente intuibili, si intrecciano con la storia del conflitto israelo-palestinese.
Ai tempi della prima Intifada, 1987, l’autrice era una bambina di 5 anni, ma quando ritorna nel 1998 vive tutte le pagine drammatiche della guerra e conosce in prima persona i crimini dello Stato israeliano che colpiscono anche i suoi parenti più stretti.
La seconda parte del libro si sofferma sui tre maggiori eventi bellici provocati dall’Idf , 2008, 2012 e 2014, la descrizione dei massacri, dei corpi mutilati e smembrati dalle bombe, corpi di donne e bambini, ci riportano alla stretta attualità, dimostrazione, per le anime belle che hanno dimenticato, cosa abbiano comportato per i palestinesi quelle operazioni militari durate mesi.
In mezzo le elezioni vinte sorprendentemente da Hamas, il regolamento di conti con Al Fatah, che spegne le speranze di tanti palestinesi di un governo di unità nazionale, e le primavere arabe, il cui fuoco innovatore, purtroppo si è spento molto presto.
Ma per un po’ la fiamma ribelle si accende anche a Gaza e vede Asmaa in prima fila: il 15 marzo del 2011 si tiene una grande manifestazione indetta da vari gruppi che auspicano ancora “l’unità nazionale”, seppure ci sia chi, il “Gaza Youth Breaks Out”, collettivo di giovani militanti, fa un manifesto dove si legge : Merda a Hamas, merda a Israele, merda a Al Fatah, noi giovani di Gaza ne abbiamo abbastanza…”.
La manifestazione viene repressa duramente dalle squadre speciali di Hamas e Alghoul picchiata duramente e arrestata, successivamente rilasciata.
Alla fine del suo racconto Asmaa nel descrivere le reazioni verso Hamas della gente palestinese dopo la guerra del 2014, “ora basta, vogliamo vivere…”, sottolinea con speranza che si sta assistendo alla fine della dittatura islamista, come in precedenza è accaduto con Al fatah (previsione purtroppo errata).
E si chiede desolata se hanno perso tutti, ma sottolinea anche come Gaza sia sempre “stata ribelle, da Sansone in poi…è una città folle, cocciuta, che dà dipendenza. Io ne sono figlia e sono fatta come lei. L’ho vinta io questa guerra, l’hanno vinta i miei figli e i figli di Gaza perché siamo ancora vivi…”.
Una speranza anche di fronte al disastro attuale.