Nei media italiani ieri è stata data notizia di una presa di posizione del Papa sulla situazione a Gaza.
Il quotidiano La Stampa ieri in edicola anticipava alcuni brani del libro che Papa Francesco pubblica per il Giubileo 2025.
Il volume “La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore”, a cura di Hernán Reyes Alcaide (Edizioni Piemme), uscirà martedì in Italia, Spagna e America Latina, e poi in vari altri Paesi.
Il Pontefice riflette su famiglia, educazione, situazione sociopolitica ed economica del pianeta, migrazioni, crisi climatica, nuove tecnologie e pace.
Vi proponiamo una nostra sintesi ma più ampia di quanto diffusa dai media,in particolare sul centrale problema delle migrazioni. La fonte è vaticannews.va .
Papa Francesco
“Riaffermo qui che «è assolutamente necessario affrontare nei Paesi d’origine le cause che provocano le migrazioni» (Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2017).
È necessario che i programmi attuati a questo scopo garantiscano che, nelle aree colpite dall’instabilità e dalle ingiustizie più gravi, si dia spazio a uno sviluppo autentico che promuova il bene di tutte le popolazioni, in particolare dei bambini e delle bambine, speranza dell’umanità.
Se vogliamo risolvere un problema che tocca tutti noi, dobbiamo farlo attraverso l’integrazione dei Paesi di origine, di transito, di destinazione e di ritorno dei migranti.
Di fronte a questa sfida, nessun Paese può essere lasciato solo e nessuno può pensare di affrontare la questione isolatamente attraverso leggi più restrittive e repressive, talvolta approvate sotto la pressione della paura o in cerca di vantaggi elettorali.
Al contrario, così come vediamo che c’è una globalizzazione dell’indifferenza, dobbiamo rispondere con la globalizzazione della carità e della cooperazione, affinché le condizioni degli emigranti siano umanizzate.
Pensiamo agli esempi recenti che abbiamo visto in Europa.
La ferita ancora aperta della guerra in Ucraina ha portato migliaia di persone ad abbandonare le proprie case, soprattutto durante i primi mesi del conflitto. Ma abbiamo anche assistito all’accoglienza senza restrizioni di molti Paesi di confine, come nel caso della Polonia.
Qualcosa di simile è accaduto in Medio Oriente, dove le porte aperte di nazioni come la Giordania o il Libano continuano a essere la salvezza per milioni di persone in fuga dai conflitti della zona: penso soprattutto a chi lascia Gaza nel pieno della carestia che ha colpito i fratelli palestinesi a fronte della difficoltà di far arrivare cibo e aiuti nel loro territorio.
A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio.
Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali.
Dobbiamo coinvolgere i Paesi d’origine dei maggiori flussi migratori in un nuovo ciclo virtuoso di crescita economica e di pace che includa l’intero pianeta.
Affinché la migrazione sia una decisione veramente libera, è necessario prodigarsi per garantire a tutti una partecipazione equitativa al bene comune, il rispetto dei diritti fondamentali e l’accesso allo sviluppo umano integrale.
Solo se questa piattaforma basilare verrà garantita in tutte le nazioni del mondo potremo dire che chi migra lo fa liberamente e potremo pensare a una soluzione davvero globale del problema.
Penso soprattutto ai giovani, che emigrando provocano spesso una doppia frattura nelle comunità di origine: una perché esse perdono gli elementi più prosperi e propositivi e un’altra perché le famiglie si disgregano.
Per raggiungere questo scenario, tuttavia, dobbiamo compiere il passo preliminare fondamentale che consiste nel porre fine alle ineguali condizioni di scambio tra i diversi Paesi del mondo.
Nei legami tra molti di essi si è instaurata una certa finzione che mostra la parvenza di un presunto scambio commerciale, ma in effetti consiste solo in una transazione tra filiali che saccheggiano i territori dei Paesi poveri e inviano i loro prodotti e i loro ricavi alle società madri nei Paesi sviluppati. Mi vengono in mente, per esempio, i settori legati allo sfruttamento delle risorse naturali del sottosuolo. Sono le vene aperte di quei territori (Eduardo Galeano, “Le vene aperte dell’America Latina”, Sur, 2021).
Quando sentiamo questo o quel leader lamentarsi dei flussi migratori provenienti dall’Africa verso l’Europa, quanti di quegli stessi dirigenti si interrogano sul neocolonialismo che esiste ancora oggi in molte nazioni africane?
Ricordo che nel mio viaggio nella Repubblica Democratica del Congo, nel 2023, affrontai il problema del saccheggio odierno di alcune nazioni: «C’è quel motto che esce dall’inconscio di tante culture e tanta gente: “L’Africa va sfruttata”, questo è terribile! Dopo quello politico, si è scatenato infatti un “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante.
Così questo Paese, ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono “straniero” ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati» (incontro con le autorità a Kinshasa, 31 gennaio 2023).
Sappiamo già che la «teoria della ricaduta favorevole» (discorso al II incontro mondiale dei Movimenti popolari, 9 luglio 2015) non funziona né all’interno dell’economia di un singolo Paese né nel concerto delle nazioni. Dobbiamo sostenere i Paesi periferici, in molti casi quelli di origine delle migrazioni, per neutralizzare le pratiche neocolonizzatrici che cercano di perpetuare le asimmetrie.