Riceviamo e diffondiamo, con invito a firmare, questo “Appello per una presa di posizione su criticità medico-sanitarie e rischi di salute per le persone migranti inerenti l’accordo Italia-Albania”
In qualità di realtà sanitarie che si occupano di soccorso civile nel Mediterraneo centrale e di supporto e diritto alla salute delle persone in movimento, denunciamo con forza alcuni degli aspetti problematici del Protocollo Italia-Albania dal punto di vista medico-sanitario e le ripercussioni che questo ha direttamente sulla salute fisica e mentale delle persone coinvolte.
Le modalità operative, le procedure di screening e i criteri utilizzati per esaminare la vulnerabilità delle persone presentano elementi estremamente gravi e concorrono a determinare un sistema di selezione e deportazione che contraddice i valori deontologici della nostra professione e viola i diritti garantiti non solo dalla Costituzione italiana ma anche da convenzioni internazionali.
Nel Protocollo non sono specificati in alcun modo il setting e le modalità di valutazione delle condizioni di salute e delle vulnerabilità delle persone soccorse. È stato solo con l’attuazione stessa del Protocollo che si sono resi noti.
In particolare, le persone soccorse in acque internazionali da assetti navali italiani (guardia costiera e guardia di finanza) vanno incontro a tre screening di vulnerabilità. Il primo a bordo delle motovedette italiane effettuato dalle operatrici e operatori sanitari del CISOM (Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta). Le persone ritenute “vulnerabili” vengono sbarcate a Lampedusa, mentre le restanti vengono trasbordate sulla nave militare Libra, che funge da nave hub in mezzo al mare, immediatamente fuori dalle acque territoriali italiane, dove avviene il secondo screening ad opera di medico/a e infermiere/a di OIM.
Solo le persone ritenute “non vulnerabili”, ovvero uomini adulti valutati come “sani” e provenienti da cosiddetti “paesi sicuri”, restano a bordo della nave Libra e vengono portate in Albania, le altre persone vengono trasferite a Lampedusa mediante le motovedette italiane. Dopo un viaggio di due giorni a bordo della nave militare, allo sbarco nel porto albanese di Shëngjin, il terzo screening viene attuato da personale sanitario USMAF.
Nel caso in cui, come già successo, il team medico-sanitario ritenesse vulnerabili persone precedentemente non ritenute tali, queste vengono ricondotte in Italia a bordo della stessa nave militare. Le persone confermate come “non vulnerabili” vengono trasferite invece nel centro di Gjader, suddiviso in tre forme diverse di detenzione: un centro di trattenimento per i richiedenti asilo; un CPR per le persone in attesa di rimpatrio forzato; un carcere.
Tutti i centri previsti dall’accordo Italia-Albania sono gestiti dalla Cooperativa Medihospes, che ha vinto il bando relativo e si occupa dell’assunzione diretta di personale sanitario interno ai centri.
Per quanto riguarda il concetto di vulnerabilità, la legge di ratifica del Protocollo[…] identifica come persone vulnerabili “i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali femminili”.
Sappiamo, per testimonianza diretta e tangibile delle persone che soccorriamo e visitiamo a bordo delle nostre navi, che la maggior parte di queste ha subito violenze fisiche, abusi, torture, violenza sessuale e che la totalità di esse, per il contesto del paese di origine, per il viaggio attraverso il deserto, la permanenza e la detenzione in Libia o Tunisia, per il viaggio in mare e per tutto ciò che hanno vissuto come dirette vittime o come testimoni, è da considerarsi a rischio di problematiche di salute fisica e mentale anche gravi, incluso il disturbo post-traumatico da stress. […]
In mezzo al mare, a bordo della nave militare Libra come a bordo delle motovedette italiane, non sussistono le condizioni perché possa essere effettuata una valutazione adeguata dello stato di salute di una persona. Non è presente, infatti, un ambulatorio medico né stanze adibite a tale scopo che garantiscano una adeguata privacy e una opportuna percezione di luogo sicuro, come non sono presenti strumenti in grado di diagnosticare determinate condizioni cliniche e patologie, acute o croniche. Questo forte limite si rende ancora più evidente in presenza di un numero elevato di persone da valutare in poco tempo. […]
Le procedure di screening a bordo degli assetti italiani, il viaggio per raggiungere l’Albania ed eventualmente, in caso di riconoscimento di vulnerabilità a Shëngjin, il viaggio di ritorno verso l’Italia, determinano una esposizione a ulteriori giorni di navigazione ingiustificati, a bordo di assetti militarizzati.
Questo comporta, oltre ad un ritardo nell’accesso ai servizi assistenziali e pertanto un possibile peggioramento delle condizioni di salute non adeguatamente e tempestivamente riconosciute e trattate, anche un elevatissimo rischio di ritraumatizzazione e riapertura di esperienze traumatiche in assenza di uno/a psicologo/a a bordo che possa occuparsene, e che può pertanto comportare danni irreversibili (come ad esempio tentativi di suicidio).
È stato il Governo italiano stesso a renderci massimi esperti in questo: in passato a causa dei lunghi stand off in attesa di un porto sicuro di sbarco (POS – place of safety) e ora con l’assegnazione di porti lontani, ci troviamo a prenderci cura delle persone soccorse per giorni e giorni e ad assistere direttamente alle conseguenze che la permanenza ingiustificata in mare comporta sulla salute di queste persone.
Il passaggio successivo alla valutazione di “non vulnerabilità” è poi la reclusione all’interno di centri detentivi sul territorio albanese. […]i luoghi di detenzione amministrativa rappresentano, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), un fattore di rischio per la salute mentale e fisica, in particolare per la possibile diffusione di malattie infettive e per i bassi standard di presa in carico e cura anche delle malattie non trasmissibili.
Numerosi report di attori coinvolti nonché del Garante Nazionale dei diritti delle persone private di libertà hanno evidenziato le condizioni igienico-sanitarie degradate e degradanti in cui versano i CPR, e il loro effetto “patogeno” sulla salute fisica e mentale sulle persone.
Pertanto, in considerazione delle ragioni esposte, che evidenziano come il sistema previsto dal Protocollo Italia-Albania sia patogeno per le persone coinvolte, unite alle criticità strutturali che rendono di fatto impossibile una valutazione adeguata delle vulnerabilità e, soprattutto, considerando che le persone soccorse in mare devono essere ritenute tutte vulnerabili per i motivi sopracitati, riteniamo inaccettabile la pratica di “selezione” medico-sanitaria come criterio per la deportazione in Albania. Inoltre, sottolineiamo l’ambiguità del ruolo svolto dalle istituzioni di garanzia coinvolte in questo sistema.
Operatori e operatrici della salute non dovrebbero essere coinvolte in tale sistema discriminante e degradante per l’essere umano. La nostra professione deve essere esercitata nel rispetto del Codice Deontologico e dei diritti umani. All’inizio del nostro esercizio, prestiamo giuramento di tutelare sempre la vita e la salute psico-fisica di ogni persona, senza discriminazione alcuna. […]
Per concludere, denunciamo con fermezza le istituzioni italiane, a partire dal Ministero della Salute, che hanno sostenuto e reso possibile la realizzazione e l’attuazione di questo Protocollo, e critichiamo duramente CISOM, USMAF e OIM, le realtà sanitarie che si stanno rendendo complici di questa prassi in totale violazione dei diritti umani e del Codice di Deontologia Medica.
Chiediamo dunque alle realtà coinvolte una formale e pubblica presa di distanza e di porre fine alla collaborazione con le istituzioni italiane in questo sistema di repressione e deportazione, contrario al dettato della Costituzione italiana e al quadro normativo internazionale di tutela delle persone in movimento.
Chiediamo alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), alla Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), agli Ordini degli psicologi, alle società scientifiche di ambito medico e a tutte le realtà medico-sanitarie interessate di prendere formalmente e pubblicamente le distanze da tali pratiche, ritenendole incompatibili con i principi etici e professionali alla base del nostro operato.
Esortiamo inoltre tutti i professionisti e le professioniste della sanità a non prestarsi a tali misure discriminatorie e degradanti e a sottoscrivere questo documento.
Organizzazioni firmatarie
MEDITERRANEA Saving Humans – Medical Team, EMERGENCY, Medici Senza Frontiere (MSF), SOS Humanity e.V. – Medical and Care Team, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM), Rete Mai più lager – No ai CPR, SARAH Seenotrettung – Medical Team, CompassCollective – Medical Department, Sea Punks e.V. – Medical Department, Sea-Watch e.V. – Medical Department, Resqship – Medical Team, Sea-Eye e.V. – Medical Team, SOS Mediterranee – Medical Team, Mission Lifeline – Medical Department, Louise Michel – Medical Team
A questo link il testo integrale dell’appello e il form per la sottoscrizione, che è aperta a tutti e tutte, non solo al personale sanitario: