In attesa di incontrarle per il preannunciato ciclo di incontri che da MilanoBookCity24 le porterà fino a Napoli, passando per Torino, Firenze e Roma tra il 15 e il 20 novembre,  abbiamo realizzato una videointervista di cui presentiamo la  trascrizione. Senz’altro vediamoci in tutti i luoghi segnalati in locandina e per chi non potrà essere presente seguiteci sulla Pagina Facebook Combattenti per la Pace Italia.

 

Ilaria Per coloro che non hanno seguito la precedente intervista, vorrei innanzitutto chiedere in cosa consiste il lavoro della loro organizzazione, e cosa rappresenta per loro, per la loro esperienza personale.

Rana In estrema sintesi Combatants for Peace è un movimento di base, che vede insieme israeliani e palestinesi accomunati dallo stesso desiderio di mettere fine all’occupazione e a ogni forma di oppressione, per ristabilire un quadro di vera giustizia come condizione preliminare per arrivare alla pace.

Il movimento è stato fondato nel 2005 da un piccolo gruppo di ex soldati israeliani che avevano prestato servizio nei ranghi più alti dell’esercito, e da ex freedom fighters che avevano partecipato alla resistenza armata scontando molti anni in prigione. Entrambe le parti avevano compiuto un percorso di consapevolezza che li aveva portati a concludere che con la violenza non sarebbero arrivati a nessun risultato. Dopo una serie di incontri abbastanza clandestini, riuscirono a costruire una situazione di tale e reciproca fiducia che portò alla fondazione e alla struttura organizzativa dei Combattenti per la Pace.

Eszter Per me Combatants for Peace è un luogo in cui le persone possono incontrarsi senza rinunciare alla speranza e rinnovando la convinzione che un cambiamento della realtà è possibile: che dobbiamo mettere fine all’occupazione e che è possibile rinnovare piena fiducia in ciò che affermiamo, e questo è ciò che ci da la forza di continuare.

Ilaria Vorrei soffermarmi su due parole che avete usato, la prima è ‘percorso di trasformazione’ e Eszter tu hai parlato di speranza nel co-resistere all’occupazione. La pace è dunque un percorso di trasformazione e la mia prima domanda riguarda la sfida che la stessa parola ‘pace’ ci pone, nel mezzo di questa crescente violenza. In che modo possiamo continuare a credere nella ‘pace’, e nutrire questa aspirazione, e restare fermi in questa convinzione di fronte alla violenza, al dolore, ai lutto che vediamo prevalere intorno a noi? Come vi ponete voi, di fronte a questa situazione, e come riuscite a spiegare alla gente che vi circonda che la pace non è solo una parola naive, o nel peggiore dei casi illusoria, rispetto a ciò che vediamo succedere…

Eszter Viviamo in una realtà in cui i politici o chi per loro cercano di convincerci che la pace è uno stato innaturale per gli essere umani e che dobbiamo essere per sempre in guerra perché così è sempre stato e in un certo senso può essere vero se pensiamo ai nostri antenati che a un certo punto sono emersi dalla giungla dopo essere sopravvissuti a ogni genere di pericoli. Ma se guardiamo alla storia del mondo e a ciò che ha permesso ogni avanzamento e progresso, vediamo che ci sono state fasi di guerra seguite da periodi di pace che hanno permesso di consolidare quelle conquiste e condividere livelli di benessere per tutti. Per concludere non credo sia giusto rinunciare a perseguire la pace. Particolarmente quando si è in guerra, dobbiamo mantenere viva nella nostra testa l’immaginazione della pace come possibilità, e siccome sappiamo che a un certo punto ci sarà la pace, noi siamo qui per contribuire a costruire una pace nell’interesse di tutti, per entrambe le nazioni, per i palestinesi come per gli israeliani e non qualcosa che possa escludere una parte a favore dell’altra.

Rana -Anch’io continuo a credere nella possibilità della pace, nonostante il deteriorarsi della situazione che abbiamo visto nell’ultimo anno. Ma è importante sottolineare che per un certo periodo abbiamo smesso di utilizzare la parola ‘pace’, optando per la formula ‘elaborazione collettiva’ come pre-requisito alla pace per entrambe le parti. Il che significa elaborazione delle nostre paure, dei nostri traumi, perché siamo tutti cresciuti con questa idea dell’altro come nemico che ci ha impedito di vederlo nella sua umanità e anche perché i nostri canali, i nostri media e l’ambiente in cui viviamo continua a rafforzare l’idea che non c’è alternativa, che nessuna pace è possibile, che la sola strada possibile è continuare in questa violenza, distruzione, guerra, ma sappiamo che questo non è vero. Ecco perché continuiamo a sfidare questo status quo, questa realtà per cui la gente pensa che non c’è altra strada, e ciò che facciamo come Combattenti per la Pace è mostrare che esiste un’altra strada e questo è ciò che sostiene il nostro impegno di nonviolenza e coraggio nel pensare che sia possibile cambiare la realtà che ci circonda.

Ilaria Cambiare lo status quo: prima Eszter parlava di co-resistenza all’occupazione e tu Rana ci parli di liberazione collettiva. A me sembra che il significato del lavoro dei Combattenti per la Pace è lavorare su entrambi i fronti: quello della disumanizzazione in una prospettiva di riconciliazione e sulla necessità di mettere fine all’occupazione e all’apartheid, come affermazione di giustizia. Credo che questa sia la chiave per far fronte alle critiche che vi vengono rivolte quando vi presentate come un movimento congiunto israelo-palestinese e mi chiedo come reagite alle critiche di coloro che vi accusano di voler ’normalizzare’ le relazioni tra palestinesi e israeliani condonando qualsiasi ingiustizia, e mi riferisco alla parola araba ‘tatbya’… E anche dall’altra parte c’è l’accusa di essere dei traditori… Come rispondete a queste critiche da entrambe le parti e anche nei confronti dell’opinione pubblica internazionale divisa tra ‘pro-palestinesi’ vs ‘pro-israeliani’.

Rana  E’ una delle sfide che ci troviamo ad affrontare come movimento congiunto, ma queste accuse di tatbya o di tradimento derivano da una fondamentale incomprensione rispetto a ciò che facciamo nel concreto. A queste accuse rispondiamo con i nostri valori fondamentali di coraggio, nonviolenza e impegno verso la costruzione della pace. Normalizzazione in effetti significa legittimare o accettare le condizioni imposte dallo status quo senza cercare di cambiarle, ma noi come Combattenti per la Pace non accettiamo affatto l’attuale situazione politica e militare e anzi siamo contro l’occupazione, contro l’apartheid e la militarizzazione e cerchiamo di mettere fine al ciclo della violenza e dell’odio, e di mantenere fermo il nostro impegno per un futuro di pace, giustizia e dignità per tutti coloro che vivono tra il fiume e il mare. Siamo consapevoli della polarizzazione che sta crescendo in tutto il mondo, perché la guerra che si sta intensificando in questa regione non riguarda solo noi, ma ha effetti anche sul resto del mondo. Abbiamo visto l’avanzata della violenza sotto forma di antisemitismo o islamofobia e riteniamo che questo non aiuti coloro che stanno subendo il conflitto ogni giorno qui, da oltre un anno: dichiararsi pro-palestinesi o pro-israeliani, o postare cose tipo ‘I stand for’ questo o quello, non aiuta, perché non contribuisce in alcun modo alla soluzione politica del conflitto. La gente non deve sentirsi in dovere di scegliere un fronte in opposizione all’altro perché in questo modo si moltiplicano gli avversari e si finisce per disumanizzarli tutti mentre il problema è precisamente riaffermare l’umanità di tutti, in termini di vera giustizia e lavorare per il futuro di entrambe le parti perché sia i palestinesi che gli israeliani non andranno da nessuna parte fino a che non troveranno un modo di convivere insieme, in cui tutti abbiano la garanzia di pari diritti e che i diritti umani saranno rispettati e che tutti vivranno in condizione di libertà e giustizia e uguaglianza… questo è ciò che vogliamo.

Eszter Aggiungerei solo che ci vuole tempo, perché è una conversazione davvero difficile, non tutti sono pronti per questo genere di confronto, si limitano a guardare ciò che facciamo sia in Palestina che in Israele che nel resto del mondo e sono immediatamente critici circa il nostro operato anche se magari non sanno chiaramente dire con che cosa sono o non sono d’accordo. E quindi sta a noi trovare il modo di entrare nei loro cuori più che nello loro teste, perché è da lì che partirà il cambiamento a livello di percezione. E io credo che lo ’strumento’ che utilizziamo, di partire dalle nostre esperienze personali di trasformazione, è il solo che possa operare questo cambiamento. Non sempre funziona, ma in tutti i nostri incontri c’è sempre qualcuno che inizialmente aveva optato fermamente per una certa posizione e sembrava determinato ad affermarla a qualunque costo… e grazie a quel ‘qualcosa che è successo dentro di lui’ alla fine sceglie la co-resistenza il che dimostra che un cambiamento è possibile per tutti.

Ilaria A partire da ciò che hai appena detto vorrei passare in rassegna questi strumenti, queste pratiche che mettete in campo come Combattenti per la Pace. Eszter tu hai sottolineato il valore della condivisione di esperienze personali di trasformazione e vorrei sapere quali sono le attività di co-resistenza che avete messo in atto quest’anno che è stato particolarmente duro, per esempio in Cisgiordania: dateci un quadro delle vostre attività di co-resistenza per contrastare l’ingiustizia e l’occupazione.

Rana Durante tutti gli scorsi mesi, nonostante la difficoltà di essere presenti sul terreno, i nostri attivisti hanno continuato nelle loro manifestazioni ogni giorno, ogni settimana, nelle strade, per domandare il cessate il fuoco e la fine della guerra e il rilascio di tutti i prigionieri nella prospettiva di una soluzione politica. Abbiamo manifestato in modi sempre nonviolenti ovunque abbiamo potuto e abbiamo assicurato la nostra presenza di protezione ovunque fosse necessario per le comunità palestinesi che vivono nell’Area C soprattutto nella valle del Giordano e in questo periodo siamo quasi ogni giorno accanto agli agricoltori palestinesi per la raccolta delle olive, la nostra presenza rappresenta un baluardo concreto nei confronti dell’esercito e dei coloni che sono sempre più aggressivi man mano che si va avanti nel conflitto. Siamo inoltre impegnati in eventi di sensibilizzazione o di condivisione della solidarietà e della speranza; molto importanti sono i programmi educativi, così fondamentali nel progetto di proporre una narrazione diversa rispetto al cosiddetto ‘altro’. Sia in area palestinese che israeliana, abbiamo un programma specialmente concepito per giovani tra i 18 e il 26 anni che si chiama ‘Freedom School’ in cui insegniamo la storia e le pratiche della resistenza nonviolenta, mettendo a confronto le varie esperienze in varie parti del mondo, soprattutto laddove la nonviolenza si è rivelata un successo. E poi ci sono i social media, come usarli al meglio per promuovere delle campagne, come condividere le proprie storie personali in una prospettiva di trasformazione: tutto questo crea le condizioni per un modo radicalmente diverso di confrontarsi collaborando insieme, anche quando il confronto sarebbe difficile, ma non impossibile. Ed ecco che alla fine ci si trova tutti attivisti per la pace avendo imparato a praticare relazioni di pace all’interno del movimento. E un altro successo è stato riuscire a organizzare, nonostante le particolari difficoltà di quest’anno, le annuali cerimonie in memoria dei caduti (12 maggio) e in memoria della Nakba (15 maggio) perché nonostante la guerra in corso abbiamo avvertito la responsabilità di condividere il nostro messaggio e di ampliare la nostra audience condividendo la nostra storia di movimento congiunto, con l’obiettivo di amplificare la consapevolezza, per cambiare la narrazione dominante, per fermare lo spargimento di sangue, per fermare la guerra e per spingere verso una soluzione politica nella nostra regione.

Eszter Una cosa interessante da notare è che ci sono sempre più persone che si uniscono a noi. Ci saremmo aspettati la defezione di parecchi e infatti alcuni hanno lasciato i nostri programmi: dopo il 7 ottobre e durante la guerra che purtroppo continua ad infuriare nella nostra regione, molti hanno deciso che non era la loro storia… ma molti di più si sono aggiunti come attivisti, impegnandosi in un lavoro di solidarietà nei territori occupati che è davvero difficile, che mette a rischio la loro vita, la loro sicurezza e dunque siamo più numerosi di prima.

Ilaria Vorrei a questo punto chiedervi degli altri movimenti di base che lavorano in modo analogo al vostro, e come vi relazionate tra di voi. E se potete raccontarci del Peace Camp che c’è stato a Tel Aviv il primo luglio scorso… diteci qualcosa di questo mosaico di movimenti che come il vostro stanno lavorando per la pace, o animati da un progetto di trasformazione e vera e propria liberazione collettiva.

Rana Verissimo. Ci sono moltissimi movimenti di base che lavorano insieme sia in Palestina che in Israele e con cui lavoriamo in partnership per dei programmi congiunti. E’ molto importante questa coalizione di movimenti perché significa che possiamo tutti crescere e rafforzarci, e raggiungere degli obiettivi ancor più significativi. Tutto questo si è reso visibile in quel grande evento di pace del 1 luglio scorso a Tel Aviv che ha visto circa 5000 persone tra cui molti attivisti riuniti insieme, nonostante la guerra in corso, per manifestare il loro dissenso per ciò che sta succedendo e per chiedere la fine della guerra. E’ stato davvero entusiasmante e ci ha dato molta speranza vedere salire sul palco così tanti testimonial, importanti e non, che chiedevano la stessa cosa, quanto mai necessaria in questi tempi – per dire che non eravamo, che non siamo soli, ma che anzi siamo un ‘campo largo’ e che possiamo esserlo ancor di più. Quel giorno abbiamo ricevuto molte testimonianze da coloro che erano sul palco, particolarmente da coloro che hanno perso i loro cari il 7 di ottobre e anche dopo, per tutti questi mesi. Abbiamo potuto sentire anche degli attivisti palestinesi ma solo da remoto: a causa della restrizione di movimento non hanno potuto essere presenti in persona per l’evento in Tel Aviv, ma è stato importante includere la loro voce in quell’occasione. E ci sono tantissime situazioni in cui collaboriamo insieme ad altre organizzazioni, senza alcuna competizione perché sappiamo di lavorare per uno stesso obiettivo e animati dalla stessa speranza e visione.

Eszter Rana ha già detto tutto molto bene, ed è vero: c’è molta cooperazione fra i tanti gruppi impegnati nello nostro stesso lavoro, sarebbe assurdo se non fosse così. Proprio recentemente abbiamo programmato di lavorare insieme ad altre organizzazioni per dei corsi di comunicazione non violenta, con l’idea di condividere le metodologie che usiamo con altre situazioni e aumentare il livello di capacità dei nostri affiliati, secondo un processo di ‘impara e metti in pratica’ che funziona molto bene, sia per le nostre esigenze di lavoro che come condivisione con chi ci segue, e tutto questo contribuisce alla percezione di un ‘luogo’ in cui è possibile ricaricare le energie – che credo sia molto importante.

Ilaria – Vorrei proporvi ora un minuto di silenzio, e di compassione, per la sofferenza di coloro che hanno perso i loro congiunti in questa guerra. Per ricordarci che è molto importante fare spazio per il dolore degli altri. Chiedo se è possibile essere visualizzate tutte insieme nel video (segue minuto di silenzio). Grazie. E importante per me ricordare che la speranza e la consapevolezza del dolore vengono insieme. E da questo spazio di consapevolezza del dolore, lutto e pena, vi chiedo se volete dare un messaggio alla comunità internazionale… prima abbiamo parlato di polarizzazione e ho molto apprezzato ciò che ha detto Rana circa l’inutilità di parteggiare per una parte o per l’altra ma per la pace, per l’umanizzazione. E quindi se volete aggiungere qualche parola alla comunità internazionale e per tutti noi, oltre la polarizzazione.

Eszter Il nostro messaggio è molto semplice: se scegli di stare dalla parte dell’umanità, sei già in una posizione di cura verso ogni essere umano, che vuol dire vivere in pace, senza distinzione di nazionalità, religione, colore della pelle, che può sembrare una cosa molto semplice ma in realtà non lo è, quando quasi tutti si sentono in un modo o nell’altro costretti a schierarsi da una parte o dall’altra o credere che una cosa sia giusta e l’altra sbagliata. Questo è il semplice messaggio che, però, richiede parecchio lavoro dentro di sé e anche azione e a chiunque voglia unirsi a noi dalla comunità internazionale vogliamo dire che ci siamo, che mettiamo in pratica questo messaggio lavorando insieme, cercando di mettere fine all’occupazione, collaborando insieme per la pace. Saremo felici di coinvolgere chiunque voglia unirsi a noi.

Rana Vorrei solo aggiungere che abbiamo sperimentato questa cosa che dici dopo il 7 di ottobre, non solo all’interno del nostro staff e tra i nostri attivisti che avevano bisogno di uno spazio sicuro per essere insieme, ma anche tra i nostri sostenitori regionali e internazionali, che erano alla ricerca di un luogo in cui esprimere i loro sentimenti di paura e di speranza. Un luogo sicuro in cui sentirsi insieme era una esigenza talmente condivisa che fin da subito, dopo il 7 di ottobre, abbiamo tenuto dei meeting internazionali su zoom precisamente per coinvolgere la comunità internazionale nel percorso che stavamo facendo come movimento. Riteniamo che sia necessario continuare in questo tipo di scambio e connessioni perché anche noi abbiamo bisogno della comunità internazionale, per amplificare le nostre voci. Perché noi siamo coloro che stiamo sperimentando questa violenza tutti i giorni e stiamo lavorando per cambiare la realtà attuale, ma sappiamo che la comunità internazionale può giocare un ruolo molto importante per cambiare la situazione lavorando a livello politico, e a livello diplomatico , amplificando le nostre voci e firmando petizioni e organizzando manifestazioni non violente e condividendo i nostri messaggi, e invitando i nostri attivisti a parlare alle loro comunità: è davvero necessario mettersi in ascolto, come state facendo voi, delle voci che da questa regione stanno lavorando verso un cambiamento della situazione di morte e distruzione e devastazione e infinito trauma.

Ilaria – Grazie, e sono molto felice di ricordare che presto sarete in Italia per portarci questo messaggio e che sarete parecchio in viaggio da nord a sud fino a raggiungere anche la mia città che è Napoli, dove anche tu Eszter hai vissuto. E dunque in breve potete dirci qualcosa del vostro programma in Italia e menzionare qualche città e data?

Eszter e Rana Sarà una cosa molto intensa, due incontri a Milano il 15 Novembre e poi il 16 dove saremo anche a Torino e da lì toccheremo Firenze il 17 e poi il 18 e 19 saremo a Roma e poi il 19, il 20 e fino alla mattina del 21 saremo a Napoli per il Festival del Cinema dei Diritti Umani e in tutti queste città ci saranno eventi aperti al pubblico dove presenteremo anche il libro Combattenti per la Pace curato da Daniela Bezzi che ci accompagnerà e dove potrete leggere le nostre interviste, le storie personali di alcuni membri della nostra organizzazione e le interviste con Chen Alon e Sulaiman Kathib co-fondatori.

Il programma completo e i dettagli sono qui.

trascrizione  e traduzione dell’intervista video a cura di Daniela Bezzi