Ai sindacati conflittuali, ai movimenti sociali, ai gruppi e alle associazioni, a chi non vuole arrendersi di fronte all’offensiva senza precedenti del Governo e delle destre, alla tragedia della guerra e della barbarie: un invito a discutere le forme di un’iniziativa di sciopero e di lotta unitari.

Si dice che il mondo sia ormai mosso da un “multipolarismo centrifugo”. È un’immagine del caos sistemico nel quale siamo immersi, segnato da crisi economiche senza fine, guerre senza fine, torsioni autoritarie senza fine, razzismo senza fine, violenza di genere senza fine, ecc. Nel tentativo di non cedere allo sconforto, ci si abbandona con facilità a stratagemmi consolatori: “peggio di così non può andare, toccheremo il fondo, un fondo deve pur esserci”; “magari non me ne accorgo, ma è pieno di segnali che indicano un’inversione di tendenza imminente”; “la società impoverita è una pentola a pressione, ci vuole solo una giusta trovata, per farla esplodere”.

Forti degli stratagemmi, a volte ci si convince di avere la ricetta in tasca, e che non servono buone combinazioni, alleanze pazienti, sperimentazioni audaci, mescolanze, per fare il salto di qualità.

Ed è così che in Italia, mentre la destra al Governo si appresta ad approvare, in Parlamento, la Legge di Bilancio che colpisce i Ministeri tutti, Sanità e Istruzione in particolare, il Ddl n. 1532-bis che precarizza ulteriormente il lavoro, già maltrattato senza pause, il Ddl 1660 che criminalizza il conflitto sociale e punisce gli ultimi perché tali, si preannuncia un autunno centrifugo. Alla convergenza si è inesorabilmente sostituita una divergenza costante e competitiva.

Ogni categoria fa il suo sciopero, ogni organizzazione sindacale il suo sciopero generale, ogni aggregazione sociale si occupa della sua issue, ogni forza politica di opposizione fa i suoi calcoli. Di più: ogni identità, piccola o grande, radicale o attendista, innovativa o tradizionale, si protegge, si conferma, si ripete. Un fenomeno che ha i tratti di un rituale, utile a contarsi e a farsi contare, a mostrarsi, ad amministrare il “tesoretto” (presunto). Un carnevale, certo, ma dell’irrilevanza: politica e sociale.

Tutto ciò sarebbe male, in un periodo di austerità governata da grosse coalizioni o governi tecnici. In una congiuntura dominata dalla guerra, mondiale a pezzi (dall’Ucraina a Gaza) e mondiale in arrivo (dall’Iran all’Indo-Pacifico), da forze politiche e governi apertamente illiberali e razzisti, il male si trasforma in ferocia autodistruttiva.

Ci siamo dunque convinti che occorre tentare, tentare di rompere silenzi cortesi e rituali consolatori. Tentare, perché siamo consapevoli che non basterà un tentativo. Terremo a mente le parole – le uniche importanti per chi desidera trasformare radicalmente le cose – di Samuel Beckett: “Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better” (Ho sempre provato. Ho sempre fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio).

La proposta è semplice: costruire, per venerdì 29 novembre, uno sciopero generale unitario, sindacale e sociale, precario e migrante, femminista e ostile alla guerra. Uno sciopero di tutte e tutti, come quelli che si fanno in Francia da qualche anno, che hanno modificato la composizione politica e l’immaginario di milioni di donne e di uomini, gli stessi che hanno impedito al partito di Marine Le Pen di vincere le ultime elezioni.

Sì, sciopero. E non perché siamo organizzazioni sindacali, insistiamo sullo sciopero. Anzi, riteniamo che fare scioperi generali che non siano ambiziosi, che non fermino davvero il Paese, si stia rivelando controproducente. Siamo inoltre convinti che, se lo sciopero non è sociale, capace cioè di far saltare il confine tra lavoro e non lavoro, produzione e riproduzione, giustizia sociale e ambientale, come d’altronde hanno insegnato al mondo il movimento femminista e transfemminista e quello ecologista, lo sciopero abbia perso la sua efficacia.

Al contempo, restiamo convinti che sia la riappropriazione di massa dello sciopero, con ma anche oltre le organizzazioni sindacali, che possa far emergere l’atteso imprevisto di cui andiamo alla ricerca. Il mondo sta colando a picco, il caos è la nuova normalità, chi comanda non cerca equilibrio, colpisce invece duro, senza pietà. Ma soprattutto, senza lotte efficaci, e non solo lotte testimoniali, il fondo non lo toccheremo mai, benché sempre meno ci saranno risalite.

Possibile mettere da parte gli interessi di parte e sfidare il Governo Meloni tutte e tutti insieme? Farlo con l’obiettivo di fermare la Legge di Bilancio e i Disegni di legge prima citati, ma guardando anche alle riforme con le quali il Governo vuole modificare la costituzione formale (premierato, autonomia differenziata, giustizia) oltre che quella materiale del Paese?

Possibile ritrovare la fiducia, scegliere la tessitura paziente, la mescolanza, il desiderio di lottare e di assemblare le lotte? Anche perché sono i dispositivi normativi del Governo, con l’economia di guerra che impazza nel mondo, a definire un progetto organico, e per nulla casuale, di demolizione della vita comune, di una vita degna e giusta.

Noi pensiamo di sì, che sia possibile. Da soli, come tutti d’altronde, non faremo la differenza. Ma siamo certi che in tante e tanti si stanno facendo domande simili alle nostre.

Parteciperemo attivamente alla settimana di mobilitazioni che inizierà con gli studenti il 15 novembre, passando per la street parade ecologista del 16 novembre e per la giornata di festa (o di rabbia) promossa da GKN per il 17 novembre, fino alla grande manifestazione nazionale di Non Una Di Meno, del 23 novembre. Ci adopereremo però da subito, città per città, perché uno sciopero unitario, il 29 novembre, ci sia, perché sia uno sciopero generale, generalizzato e sociale.

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