Anche quest’anno l’Acri (Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio Spa) ha presentato un’indagine, realizzata in collaborazione con Ipsos, che restituisce una fotografia relativa al modo in cui gli italiani gestiscono e vivono il risparmio, che nel tempo ha subito una trasformazione significativa.
Le generazioni precedenti consideravano il risparmio come un pilastro fondamentale della gestione finanziaria personale, associato a virtù come la prudenza e la saggezza, ed era visto come una garanzia per la sicurezza finanziaria della famiglia contro le incertezze della vita.
Oggi, il risparmio è considerato principalmente come una necessità per garantire tranquillità e stabilità economica (per il 38% degli italiani), specie dai Boomers (i nati tra il 1946 e il 1964; la generazione Z dei nati tra il 1995 e il 2010 è così definita invece perché viene dopo la X, dei nati tra gli anni ‘60 e ‘70, e la Y, cioè i millennial, nati tra gli anni ‘80 e ‘90) presso i quali il dato raggiunge il 46%. In seconda battuta è un’opportunità per raggiungere specifici obiettivi.
I giovani sono consapevoli di avere priorità e obiettivi di risparmio differenti da quelli dei loro genitori e seguono le loro priorità (lo dichiarano rispettivamente il 63% dei GenZ e il 64% dei Millennials vs il 56% del totale).
Il 33% degli italiani percepisce, inoltre, di avere una capacità di risparmio minore rispetto alle generazioni precedenti a causa delle condizioni macroeconomiche attuali, in particolare l’aumento del costo della vita (70%) e le condizioni lavorative contemporanee (60%), e per i cambiamenti negli stili di vita (60%).
In particolare, l’aumento del costo della vita è sentito dalla GenZ (76%) e dai Boomers (77%), mentre le differenti condizioni lavorative sono menzionate dalla GenX (65%). Trasversalmente alle generazioni rimane alta l’attenzione al risparmio, quando possibile.
Le priorità di risparmio riflettono anche uno cambiamento nei bisogni e nei desideri. I più maturi tendono a risparmiare principalmente per far fronte a un futuro incerto, concentrandosi su spese impreviste, al rischio di spese mediche (rispettivamente 61% e 50%) e per raggiungere la sicurezza finanziaria. Al contrario, i giovani sembrano più orientati al presente, risparmiano per permettersi viaggi e svaghi (Gen Z pari all’28%; Millennials pari al 29%), indice di un desiderio di esperienze piuttosto che di accumulo di beni materiali, che è una delle cifre delle nuove generazioni.
Sono anche le prospettive economiche dell’Europa e soprattutto dell’Italia ad impensierire gli italiani e ad incidere sul risparmio. Essi pensano infatti che la situazione economica rimarrà stabilmente negativa. Nel complesso, è venuta meno la ripresa di fiducia del periodo post-pandemico.
A intaccare la fiducia hanno probabilmente contribuito diversi fattori: le tensioni politiche interne all’UE emerse con più forza all’indomani delle elezioni europee, comprese le questioni relative alla migrazione e alla gestione delle frontiere; i profondi cambiamenti nel panorama geopolitico e le tensioni per i conflitti in atto che hanno influenzato la percezione della capacità dell’UE di mantenere una posizione forte e unitaria sulla scena internazionale; un’Europa che appare ancora come il luogo della libertà di scambio e movimento (29%), ma ingessata da troppa burocrazia (33%), e da una mancanza di omogeneità delle regole nei diversi Paesi, non riuscendo a far sì che tutti gli stati membri operino in modo trasparente e democratico; minore soddisfazione verso l’Euro rispetto al picco del 2021 (40% vs 49% nel 2021), anche se la maggior parte degli italiani continua a ritenere che nel lungo periodo l’Euro offrirà un vantaggio (50%). Ciò nonostante, la maggioranza degli italiani continua a ritenere che l’uscita dall’UE sarebbe un grave errore (61%).
Il Rapporto evidenzia anche che il numero di famiglie in difficoltà lavorative è in leggero aumento, passando dal 15% nel 2023 al 17% nel 2024. Sono persone che in parte non trovano il lavoro auspicato, o che hanno avuto un peggioramento nelle proprie condizioni lavorative.
E non va dimenticato che il numero di individui in povertà si assesta ormai da diversi anni a 5,7 milioni (poco meno di 1 italiano su 10) e che la povertà sale tra chi lavora, un effetto forse legato all’inflazione, che ha colpito maggiormente chi non aveva possibilità di rivedere il proprio paniere di acquisto, e alle condizioni contrattuali.
Qui l’indagine integrale: