Nella giornata del 30 Ottobre 2024 la Terza Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza è arrivata a Lahore, Pakistan. Quattro gli incontri in diversi dipartimenti delle numerose università locali (Institute of Education Research e facoltà di Scienze Politiche – Punjab Univeristy, University of Management and Technology, Minhaj University).

Il tema della nonviolenza è stato affrontato a tutto tondo, in un dialogo stimolante che ha coinvolto decine di studenti e studentesse, evidenziando una rilevante sensibilità sul punto. In un Paese afflitto da anni dalle tensioni interne dovute al terrorismo e al conflitto nella regione del Kashmir, parlare di nonviolenza è ormai diventata un’urgenza e una necessità sociale sentita in tutti gli strati della popolazione, in particolare quella più giovane, che in Pakistan sta studiando per costruirsi una prospettiva di futuro.

Molti gli spunti emersi sul ruolo della comunità internazionale rispetto alla necessità di porre l’essere umano come valore centrale, nonché sulla molteplicità delle discriminazioni e delle forme di violenza che, a livello sociale, affliggono l’umanità in modo strutturale e trasversale.
In un contesto delicato come quello pakistano, la sfida più grande nel dialogo sulla costruzione di processi di pace è quella di evitare una fisiologica polarizzazione del dibattito, estremamente sensibile alle dinamiche geo-politiche che impattano sulla popolazione dal punto di vista sociale ed economico.

Il riferimento alla violenza interna e alla resistenza da opporle per sfuggire ad un’escalation con effetti tangibili sul piano interpersonale e comunitario ha costituito il fil rouge degli interventi dei membri dell’équipe di base della Terza Marcia Mondiale. Questi ultimi hanno rimarcato in vario modo l’importanza di riconoscere la violenza non solo come qualcosa di altro da sé, ma in primo luogo come una tendenza radicata nella coscienza che può però essere destrutturata, trasformata e direzionata su una via evolutiva di cooperazione e solidarietà per la costituzione di un modello alternativo (o quantomeno complementare) alle proposte istituzionali, finalizzato al superamento dei conflitti.

Ciò non toglie evidentemente l’interdipendenza con alcuni dei principali aspetti sistemici della regolamentazione dei rapporti sociali, non da ultimo quello costituito dall’apparato legislativo, che può però rappresentare un valido spunto di riflessione anche dalla prospettiva umanista.

Studiare il fenomeno discriminatorio da una prospettiva giuridica, infatti, costituisce una modalità piuttosto immediata di individuazione della natura intersezionale della violenza, richiamata da varie fonti giuridiche di carattere internazionale. La stessa definizione di discriminazione come “diretta” e “indiretta”, coniata in primis dal diritto dell’Unione Europea, suggerisce come l’espletamento della violenza può fondarsi sia su un pregiudizio (che porta ad attuare una disparità o iniquità di trattamento basandosi su una caratteristica dell’individuo/del gruppo umano discriminato), ma anche sulla costruzione di prassi apparentemente neutre che però determinano, di fatto, esclusione o disparità di trattamento nei confronti di chi, proprio in quanto detentore di una determinata caratteristica, ne viene di fatto negativamente impattato.

Quale donna, ad esempio, non si è sentita direttamente pregiudicata dal proprio sesso di appartenenza subendo catcalling in strada, piuttosto che indirettamente e negativamente impattata nel proprio percorso di carriera a causa dell’intrinseca possibilità attribuibile (unicamente) al suo sesso di rimanere incinta e, conseguentemente, di ottenere meno offerte di lavoro o avanzamento di carriera?

Soltanto uno sguardo profondamente umanizzatore sull’Altro da noi potrà portare al superamento di queste più o meno esplicite esclusioni, basate su un concetto utilitaristico della vita e della relazione umana. Allora sì che il superamento della violenza potrà dirsi attuato, nel tentativo di abolizione di una regola non scritta di supremazia in ambito economico e sociale. Abolizione che non potrà che contribuire alla costruzione di una società non solo più giusta, ma anche più sviluppata, proprio in virtù dell’inclusione delle diversità e del conseguente incremento di una diversificazione che conduca alla (sana) produttività economica su scala mondiale.

Con la consapevolezza di fondo che la pace sarà davvero effettiva solo quando sarà tale per tutti e per tutte, oppure non sarà.

Federica De Luca
Équipe di base Terza Marcia Mondiale per la pace e la nonviolenza, Pakistan