In un recente articolo, lo scrittore russo Gilbert Doctorow si pone una domanda riguardo a Israele e il Medio Oriente:

https://gilbertdoctorow.com/2024/10/06/more-on-tails-wagging-dogs-and-vice-versa/

Chi tra gli Stati Uniti e Israele usa l’altro per la sua politica estera? Israele è il rappresentante della politica estera USA in Medio Oriente? Oppure è Israele a determinare la politica estera statunitense, sia per mezzo che a causa della lobby sionista e dei neoconservatori e liberali presenti nell’amministrazione USA? È « il mondo alla rovescia » delle « code che agitano i cani »? La questione è molto antica: chi manipola chi in questa relazione tra Stati Uniti e Israele?

Una cosa è certa. Gli Stati Uniti sono irrimediabilmente legati a Israele. È un fatto incontestabile, che probabilmente sparirà solo dopo enormi sconvolgimenti negli Stati Uniti. Partendo da questo presupposto, però, alcuni ritengono che il legame possa essere spiegato soltanto con l’esistenza di una lobby filoisrealiana. Questa è la tesi sviluppata in particolare da John Mearsheimer e Stephen Walt nel libro del 1995 dal titolo The Israel Lobby (tradotto in italiano con il titolo La lobby israeliana e la politica estera degli USA). Sarebbe l’influenza di questa lobby a spiegare la solidarietà organica che lega gli Stati Uniti a Israele. Per rendere giustizia a quest’idea, va sottolineato che Mearsheimer e Walt parlano di una lobby filoisraeliana e non di una lobby filoebraica. Diverse persone di diverse fedi religiose fanno parte di questa lobby e va da sé che molti ebrei si oppongono al sostegno incondizionato a Israele da parte di Washington.

Ampliare la prospettiva

Al centro di questa lobby filoisrealiana, c’è l’AIPAC (Comitato americano per gli affari pubblici di Israele) che finanzia abbondantemente le campagne elettorali dei candidati senatori o dei rappresentanti di uno o dell’altro partito, a condizione che sostengano il consolidamento degli interessi di Israele. Tuttavia, non agiscono in modo isolato. Per comprendere bene la natura della loro influenza sul regime, è necessario ampliare la propria prospettiva, e fare un passo indietro.

I grandi plutocrati americani sono imperialisti, aggressivi, espansionisti e determinati a usare la forza. Il ramo sionista di questa plutocrazia è senza dubbio il più guerrafondaio di tutti e mette in pratica un colonialismo di un’altra epoca, con l’approvazione di coloro che lo ritengono utile per l’imperialismo USA. Sono tutti d’accordo. È lo stesso gruppo. Finora non sono stati riscontrati casi di divergenze tra questi gruppi.

I sionisti sono all’origine del neoconservatorismo, la politica degli Stati Uniti. Le politiche neoconservatrici americane e israeliane si assomigliano perché provengono da un’unica matrice che mette in prima linea l’uso della forza per praticare l’espansione. Man mano che gli Stati Uniti diventavano neoconservatori dopo il 1990, si israelizzavano. Stesso comportamento, stesso discorso. I tentativi di far credere al «distanziamento» nei confronti di Israele hanno semplicemente lo scopo di risparmiare gli Stati Uniti mettendo Israele in prima linea.

Senatori e rappresentanti sono burattini?

Tuttavia, non bisogna pensare che senatori e rappresentanti siano dei burattini servili privi di volontà. Se si sottomettono volentieri alle varie lobby, è perché ritengono utile promuovere i loro settori industriali all’avanguardia: Big Tech, Big Pharma e, naturalmente, anche il campo militare e industriale. Bisogna sostenere queste industrie perché sono quelle che hanno maggiori probabilità di attirare l’avidità dei paesi stranieri. Tuttavia, sostenendo le esportazioni provenienti da questi settori di punta, si tende a ridurre il deficit della bilancia commerciale, che raggiunge mille miliardi di dollari all’anno.

Che cosa c’entra tutto questo con il nostro tema? In primo luogo, le donazioni ufficiali annuali di 3,8 miliardi di dollari a Israele servono in gran parte ad alimentare il complesso militare-industriale degli ordini israeliani. Tuttavia, esiste un bene ancora più importante delle industrie militari, farmaceutiche, informatiche, petrolifere e del gas, che deve essere oggetto di particolare attenzione: il dollaro statunitense.

Con il dollaro statunitense come moneta di riserva mondiale de facto, gli Stati Uniti godono di un enorme vantaggio sui loro concorrenti economici. In primo luogo, si assicurano il finanziamento del loro enorme debito (34.000 miliardi di dollari). Inoltre, un dollaro forte permette di evitare un’inflazione significativa sui prezzi dei prodotti importati. Lo stato americano può quindi minacciare di imporre « sanzioni » a qualsiasi Stato che non rispetti le politiche statunitensi. Circa quaranta paesi, che rappresentano un terzo della popolazione mondiale, sono soggetti a tali « sanzioni ». Queste possono comportare l’indebolimento delle valute dei paesi con i quali gli Stati Uniti vietano il commercio. Ciò può anche tradursi nel congelamento dei dollari statunitensi posseduti dai vari paesi sanzionati.

Tuttavia, per mantenere il dollaro come moneta di riserva mondiale, è imperativo neutralizzare gli stati economicamente forti, così come quelli che potrebbero essere tentati di promuovere la propria moneta o che vorrebbero, più in generale, commerciare tra loro utilizzando le rispettive valute nazionali. Come vedremo ora, questi fatti spiegano perché gli Stati Uniti vogliono esercitare il controllo in Medio Oriente.

Un’estensione degli Stati Uniti

Le interconnessioni tra le élite statunitensi e israeliane (che appartengono allo stesso Establishment) e la somiglianza di interessi e politiche permettono di comprendere il rapporto simbiotico tra gli Stati Uniti e Israele. Le distanze prese dai leader americani nei confronti di Israele sono fittizie e poco credibili. Si tratta di una semplice divisione dei ruoli. Vogliono far credere di essere favorevoli a un cessate il fuoco, di lavorarci giorno e notte, di sostenere il trasporto di cibo tramite la costruzione di una zona portuale a Gaza e di essere contrari alla regionalizzazione del « conflitto », ma finanziano ampiamente lo stato sionista affinché porti a termine il lavoro sporco auspicato da Washington: attaccare l’Iran. Biden consiglia gentilmente a Israele di limitare (non di fermare) le perdite civili, mentre lo scopo della campagna contro Gaza e il Libano è di ucciderne il più possibile!

Tuttavia, dobbiamo ricordare che in un rapporto confidenziale divulgato dall’ex-generale Wesley Clark, gli Stati Uniti hanno preso in considerazione l’intervento in sette paesi: Iraq, Libano, Sudan, Siria, Libia, Somalia e Iran. (https://www.youtube.com/watch?v=fAnNJW9_KYA) Finora soltanto l’Iran è stato risparmiato. Adesso è questo l’obiettivo di Israele.

Essere l’estensione di una grande potenza implica esserne un rappresentante. Servirsi di un rappresentante non è una novità. Gli Stati Uniti si sono serviti dei Mujaheddin contro l’URSS in Afghanistan, dei Contras contro i Sandinisti in Nicaragua, di Al Qaeda per tentare un cambio di regime in Siria, dell’ISIS per controllare l’est della Siria e il nord dell’Iraq, dei Curdi per combattere l’ISIS. Si servono dell’Ucraina per indebolire la Russia e presto si serviranno di Taiwan, della Corea del Sud, delle Filippine, del Giappone e dell’Australia per combattere la Cina. È in questo contesto che Israele ha il ruolo designato di combattere l’Iran.

Scontro di civiltà

Affinché i popoli occidentali vengano mobilitati in questa impresa mortifera, lo Stato americano si adopera per alimentare i sentimenti di russofobia, sinofobia e islamofobia. Il cosiddetto scontro di civiltà è una teoria falsa, ma può diventare reale nel momento in cui tutti ci credono.

Ma perché voler dominare il Medio Oriente? Per il petrolio?  Perché gli Stati Uniti vorrebbero impadronirsi delle risorse petrolifere e del gas del Medio Oriente se ora sono autosufficienti? Si tratta, a dire il vero, di assicurarsi che il petrolio venga venduto in dollari statunitensi e che gli Stati Uniti mantengano il controllo del rubinetto che rifornisce il resto del mondo. Si tratta di un progetto per controllare e assoggettare gli altri, rendendoli dipendenti. Se gli Stati Uniti risparmiano l’Arabia Saudita è perché quest’ultima ha, fino a tempi recenti, sostenuto il sistema dei petrodollari. Non è un caso che vogliano estendere gli “Accordi di Abramo”  per includere i sauditi.

Gli americani e l’Arabia Saudita si sono impegnati nel tentativo di rovesciare il presidente siriano Bashar Al Assad quando quest’ultimo ha approvato il progetto dell’oledotto iraniano invece di quello saudita. Quindi è necessario rendere inutilizzabili le risorse petrolifere dell’Iran, poiché queste potrebbero essere eventualmente vendute senza utilizzare il dollaro statunitense.

Gli americani sono riusciti a porre fine alla vendita di petrolio e gas russi in Europa, che avrebbero potuto essere venduti in rubli, e occupano un terzo della Siria e una parte dell’Iraq. Non devono far altro che distruggere le strutture petrolifere iraniane. Gli Stati Uniti sarebbero lieti di vedere la loro estensione israeliana bombardare l’Iran, soprattutto alla luce del fatto che uno dei principali importatori di petrolio iraniano è la Cina.

Il potere del denaro

Ma perché si vuole a tutti i costi mantenere la vendita delle risorse petrolifere in dollari americani? Per garantire che il dollaro rimanga la valuta di riserva mondiale. Se non manterrà questo vantaggio, perderà il suo valore. L’inflazione sarà galoppante. Sarà necessario aumentare i tassi d’interesse per attirare gli investitori verso i buoni del tesoro americani. Ciò rallenterà l’economia e aumenterà la percentuale del debito rispetto al PIL.

Il Congressional Budget Office (CBO) prevede quindi che, entro il 2052, il debito del paese sarà pari al 185% del PIL e quasi un terzo delle entrate pubbliche sarà destinato al servizio del debito.

https://www.crfb.org/papers/analysis-cbos-july-2022-long-term-budget-outlook

Ciò metterà gli Stati Uniti in una situazione che si avvicina all’insolvenza.

Gli investitori saranno allarmati e il dollaro statunitense continuerà a crollare, il che farà aumentare l’inflazione, al punto che gli investitori vorranno liberarsi dei loro buoni del tesoro, facendo ulteriormente indebolire il dollaro e portando gli USA verso l’iperinflazione.

La paura della dedollarizzazione tormenta quindi gli Stati Uniti, i quali per questo motivo cercano di mantenere l’egemonia economica con la forza contro la Russia, la Cina e l’Iran. L’Europa è già stata messa in ginocchio.

Questo timore non è privo di fondamento. L’incontro dei BRICS+ a Kazan nel mese di ottobre 2024 è la testimonianza concreta del gruppo di paesi che non tollerano più l’egemonismo statunitense, il suo disprezzo per le leggi, la sua violenza e la sua demagogia.

Conclusione

La riflessione dei media mainstream non approfondisce molto la spiegazione dei «conflitti» in Medio Oriente. Si parla di una «catastrofe umanitaria» causata da una guerra tra Israele e Hamas, mentre Israele bombarda principalmente civili palestinesi e libanesi in una follia omicida senza precedenti. Anche l’uso della parola ‘genocidio’ per descrivere i massacri è ufficialmente considerato un tabù. La direzione del New York Times arriva al punto di vietare ai propri giornalisti di utilizzare quel termine. In generale, in Occidente, la stragrande maggioranza delle personalità pubbliche non ha il coraggio di avventurarsi su questo terreno. Siamo forse influenzati da un divieto proveniente da lobby che sostengono la propaganda americana?

Fatta eccezione per alcune voci oneste nei media alternativi, la comunità internazionale mantiene il massimo riserbo mentre il tandem Biden/Harris finanzia il genocidio, fornisce bombe letali e consente il proseguimento della carestia imposta dallo Stato di Israele su tutta la striscia di Gaza. Sebbene Biden e Harris (sarebbe probabilmente peggio con Trump) sostengano di buon grado il genocidio di Netanyahu, i leader occidentali si rifugiano nel totale mutismo o in dichiarazioni evasive per nascondere l’orrore. Eppure si tratta del primo genocidio a essere trasmesso in diretta in tutto il mondo. Come fa la comunità internazionale a restare in silenzio di fronte a questa impresa criminale?

Tuttavia, se si vuole porre fine a questa situazione, non bastano l’indignazione e la condanna morale. Bisogna capire cosa c’è in ballo. Ci troviamo di fronte a una potenza imperialista terrorizzata dalla prospettiva del suo declassamento, pronta a tutto pur di preservare la sua posizione dominante. Spiegare il genocidio attualmente in corso a Gaza limitandosi a invocare l’esistenza di un lobby filoisraeliana rischia di farci perdere di vista un giudizio geopolitico informato che va al cuore della questione: il tandem Stati Uniti-Israele costituisce un’unica entità.

Traduzione dal francese di Simona Trapani. Revisione di Thomas Schmid.