Dal 2017 al 2023, Poste Italiane ha assunto circa 90mila lavoratrici e lavoratori con contratto di lavoro a tempo determinato (i cosiddetti “Ctd”), per attività di portalettere e addetto allo smistamento della posta. Si tratta soprattutto di giovani. Nello stesso periodo, in relazione alle 30mila nuove assunzioni a tempo indeterminato dichiarate dall’azienda e spalmate sull’intera pianta organica di 120mila dipendenti, solo 12.500 derivano dalla graduatoria degli idonei alla stabilizzazione formatasi.
Attualmente tale graduatoria conta quasi 20mila ex dipendenti precari e, in riferimento ad accordi sindacali, cesserà di esistere alla data inderogabile del 31 dicembre 2026. Ciò significa che per migliaia di precari il “posto fisso” è un’illusione: dati alla mano, solo 1 su 7 riesce a raggiungere una posizione lavorativa stabile. Questa situazione tenderà a peggiorare, perché Poste Italiane continua a generare precarietà, cercando sistematicamente nuovi lavoratori temporanei invece di svuotare la graduatoria esistente.
«Il capitale umano è un pilastro del Piano di Poste», ha affermato negli scorsi giorni il direttore generale Giuseppe Lasco in un’intervista al Corriere della Sera. Contrariamente a quanto sostenuto dal manager, le dimensioni del precariato postale sono in realtà molto più drammatiche di quanto appaiono. Esso, infatti, si concentra su un solo segmento produttivo, quello del Recapito, che si avvale di circa 37mila dipendenti e viene poi sapientemente “diluito” in rapporto all’intero organico aziendale. Un vero e proprio disastro occupazionale, frutto di anni di scelte politiche che hanno anteposto gli interessi economici privati al benessere delle lavoratrici e dei lavoratori.
Servono interventi normativi immediati e concreti, che favoriscano la stabilizzazione dei precari e permettano di contrastare efficacemente la precarietà nel lavoro.
Carmine Pascale
Movimento Lottiamo Insieme