Lo sciopero dei 33.000 lavoratori della Boeing è giunto alla quinta settimana consecutiva. Organizzato dal Sindacato International Association of Machinists (IAM), è iniziato il 13 settembre quando il 95% degli operai aveva respinto con un referendum il rinnovo del contratto di lavoro siglato dalla dirigenza sindacale.

Come scrivevamo già su Pressenza, Boeing è un perno dell’economia statunitense, producendo aerei, armi e navicelle spaziali e le sue azioni sono possedute in maggioranza da fondi d’investimento.

In questi ultimi giorni, la vertenza ha visto un’ulteriore svolta negativa: mentre annunciava che le consegne dei suoi aerei di punta, i 777X, erano posticipate di un anno, l’azienda ha dichiarato che licenzierà 17.000 lavoratori, il 10% del personale. Le lettere di preavviso di licenziamento a 60 giorni dovrebbero essere inoltrate a metà novembre. Non saranno accettate dimissioni volontarie, che comportano l’esborso di una liquidazione. Ciò avviene dopo che l’ex Amministratore Delegato se ne era andato con un bonus di 33 milioni di dollari.

Il presidente del Sindacato IAM, Brian Bryant, ha definito il piano di taglio della forza lavoro “the corporate greed at its worst” (“il peggio dell’avidità aziendale”).

La vertenza non riguarda solamente l’aumento retributivo (i lavoratori chiedono il 40% in 4 anni, la trattativa s’era interrotta al 20%, poi l’offerta aziendale è arrivata al 30%, però con l’assorbimento dei bonus annuali esistenti) ma anche la parte pensionistica e soprattutto il futuro produttivo negli stabilimenti, oggi collocati nell’area di Seattle (nello Stato di Washington, sulla costa del Pacifico). Non per niente la società aveva già trasferito la sua sede ad Arlington, in Virginia, in quel Sud degli USA attrattore di imprese per i suoi immensi incentivi (che hanno però messo in grandi difficoltà i bilanci di quegli Stati) e per una normativa del lavoro antisindacale.

L’azienda ha ritirato la sua ultima proposta salariale e le trattative sono ora interrotte, malgrado la Ministra del Lavoro, Julie Su, sia accorsa a supportare i mediatori governativi e abbia premuto sulle Parti per arrivare ad un accordo. Ma esse si sono reciprocamente rinfacciate di inaffidabilità. Anzi, Boeing ha denunciato il Sindacato IAM all’Ente federale del Lavoro per azioni sleali.

Martedì scorso i lavoratori Boeing hanno tenuto una manifestazione nel sobborgo di South Park, a Seattle. Molti di loro stanno cercando dei lavori temporanei per pagare le spese quotidiane, anche perché l’indennità di sciopero, pagata dal Sindacato coi fondi raccolti dalle quote sindacali, come d’uso negli Stati Uniti, decorre dalla terza settimana di sciopero ed è solo di 250 dollari a settimana. Assolutamente insufficiente a vivere in una città cara come Seattle.

L’impresa non è messa niente bene: i risparmi sui controlli sui velivoli prodotti hanno già prodotto due incidenti aerei nel 2018 e nel 2019, per cui Boeing ha accettato di pagare una multa che i parenti delle 346 persone perite spingono perché sia molto più alta. La Federal Aviation Administration ha inoltre aumentato i controlli sugli aerei Boeing dopo che a gennaio una porta è esplosa durante un volo Alaska Airlines. L’azienda ha perso più di 25 miliardi di dollari dall’inizio del 2019 e le agenzie di rating, che s’impongono il ruolo di custodi dell’ortodossia dei bilanci, hanno cominciato a prefigurare le azioni Boeing come spazzatura, anche per l’interruzione in corso della produzione.

Boeing ha allora aperto una raccolta di fondi in Borsa, cercando investitori nelle sue azioni per 25 miliardi di dollari, da aggiungere ai 10 miliardi di prestiti che avrebbe già ottenuto dalle banche. La richiesta di finanziamenti per evitare il declassamento del debito, e incrementare la propria liquidità, è stata supportata dal previsto taglio del 10% della forza lavoro.

Gli operai in sciopero (che avevano già visto Boeing tagliare 40.000 posti di lavoro nel 2020, rinunciando anche a professionalità importanti per la qualità e la sicurezza dei prodotti) hanno dichiarato: “la cura aziendale è sempre la stessa: licenziare i lavoratori”.