«In Bolivia lo sfruttamento sessuale è praticamente endemico». Così come la violenza «che sia sessuale o dopo una partita di calcio», a parlare è don Riccardo Giavarini, Direttore generale della Fundacion Munacim Kullakita [dall’aymara: ti voglio bene, sorellina], nel lavoro quotidiano si occupa di sfruttamento ai danni di ragazze minori e adolescenti, di tratta e traffico. Bergamasco di Telgate, ordinato sacerdote a seguito della ripresa degli studi per il sacerdozio dopo la prematura scomparsa della moglie Berta (tra le fondatrice del Mas-Ipsp, impegnata nella tematica della liberazione della donna, poi uscitane per divergenze con la dirigenza), è a La Paz dal 1977. La Bolivia la conosce piuttosto bene. Raggiunto da Pressenza, ci risponde dalla sua abitazione alla periferia di El Alto.
Alla periferia della periferia del mondo.

don Riccardo Giavarini

In queste settimane la stampa boliviana, internazionale e anche italiana (sebbene nel nostro paese la notizia non abbia avuto una grande eco), sta dando conto di uno scandalo che avrebbe coinvolto l’ex presidente boliviano Evo Morales, attualmente figura di spicco del Mas-Ipsp di cui ne è presidente e ufficiosamente candidato alle prossime elezioni presidenziali. Morales sarebbe accusato di stupro di una ragazza adolescente: un’accusa su cui una giudice di Tarija sta lavorando e per cui ci sarebbe stato il caso di un figlio nato da una unione con Morales. Le prove ci sarebbero e per questo questo è stato emesso un ordine di cattura nei confronti dell’ex presidente il quale non si è presentato all’udienza al tribunale di un pugno di giorni fa, preferendo un aureo isolamento nella regione del Chapare.

I casi di violenze sessuali, domestiche e di genere sono tuttavia in costante aumento in tutta la Bolivia: «Nel carcere minorile di Qalauma [nella città di Viacha] i delitti riconducibili alla violenza sessuale sono tra i più commessi». Ci sono varie motivazioni, secondo Giavarini: «la prima è che manca una vera educazione sessuale, alla reciprocità. Né in famiglia, né a scuola e né da parte istituzionale vengono veicolati messaggi ed esempi positivi» quindi «i ragazzi prendono alla leggera il rapporto uomo/donna e lo interpretano solo come occasione di ‘divertimento’». La relazione non è basata sul rispetto quanto, piuttosto, sulla volontà di dimostrare che esiste una disparità tra sessi. Una condizione così pervasiva tale da essere presente anche negli altri istituti penitenziari non minorili, ad esempio in quello di San Pedro (La Paz). «La seconda motivazione – continua il sacerdote – è quella legata al fattore culturale». In altre parole: «machismo e cultura dello stupro». Già quando nasce una bambina «si sente spesso dire da parte dei genitori “è solo una femmina”», come a voler sottintendere una sconfitta sociale.
Nella parte di mondo che abita Giavarini: «si sono naturalizzati dei comportamenti che vedono la figura femminile come strumento di piacere maschile», si ragiona per «stereotipi diffusi» da più parti. La donna non è vista come portatrice di soggettività, partecipazione, dignità, uguaglianza: «qui a El Alto le ragazzine popolano locali notturni: è una cosa naturale che loro siano lì disponibili a fornire prestazioni sessuali». Nei colloqui informali che conduce don Giavarini, nel contesto carcerario e nel settore di competenza della Fundacion Munacim Kullakita, è ravvedibile una pervasività della violenza domestica perpetrata dai mariti nei confronti delle mogli, più in generale da parte degli uomini.

Quella di Evo Morales sembra essere – purtroppo – solo la punta di un proverbiale iceberg di violenze e soprusi nei confronti delle persone e delle donne in particolare. «Le notizie di questi giorni parlano delle accuse rivolte a Morales ma – precisa Giavarini – qui in Bolivia stanno uscendo dati secondo cui non sarebbe accaduto solo un caso ascrivibile a questa tipologia di reato, anzi: più d’uno». Alcune deputate boliviane hanno accusato pubblicamente Evo Morales nel Palazzo rincarando sui suoi possibili rapporti con delle minorenni «addirittura facendo illazioni su contropartite sessuali in cambio di progetti e realizzazioni di opere presso comunità rurali o montane», da sempre più vicine all’ex Presidente dello Stato Plurinazionale di Bolivia.

Ma il silenzio assordante è quello delle Bartolinas, l’organizzazione femminile del Mas-Ipsp: «le donne del partito sono spaccate tanto quanto lo è l’organizzazione, che, per la verità, lo è da due anni a questa parte: le strenue sostenitrici di Morales continuano a incoraggiarlo mentre quelle pro Luis Arce lo accusano».
Una situazione piuttosto delirante.
Tanto più che Morales ora starebbe accusando la giustizia boliviana di persecuzione contro la sua persona e non si è mosso dal Chapare, la regione in cui si sente politicamente (e psicologicamente) più forte, sicuro e tutelato dalla federazione dei coltivatori di coca (i cocaleros, riuniti nella Seis federaciones del Tropico de Cochabamba) di cui è tutt’ora presidente. Sindrome dell’accerchiamento più volte manifestata da Morales nel corso degli ultimi 24 mesi.
Certo è che finché presidenti (o ex) o figure pubbliche di spicco nella società (siano esse di appartenenti a organizzazioni politiche di maggioranza o di opposizione), si mostrino come esponenti del più bieco machismo, significa che il problema è molto più imponente di quel che è emerso nel corso di questi giorni.
Il rischio di impunità per questi fatti, secondo Giavarini, è altissimo: «c’è da sviluppare un lavoro di rete che sia il più articolato possibile a tutti i livelli sociali, così come di interlocuzione con lo Stato» per far sì che si giunga «ad una seria consapevolezza riguardo i temi della tratta e dello sfruttamento sessuale non soltanto a seguito dell’onda mediatica di uno scandalo come questo ma tutti i giorni».