Lo stop imposto dai giudici alle procedure accelerate in frontiera, e la più recente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europa, mettono in dubbio l’avvio effettivo delle prassi di trattenimento ed espulsione previste dal Protocollo Italia-Albania. Come altre volte in passato, occorreva trovare un modo per eludere quanto imposto dalla normativa europea e dal più banale rispetto dei diriti fondamentali della persona, in modo da riempire comunque i voli di rimpatrio che ogni settimana decollano da aeroporti italiani, in particolare da Palermo, per realizzare quelle che si possono definire come espulsioni collettive, ma sarebbe più appropriato il termine “deportazioni”. I naufraghi soccorsi in mare, o arrivati in autonomia a Lampedusa, subito dopo lo sbarco non hanno alcuna possibilità di formalizzare in frontiera la loro manifestazione di volontà diretta alla richiesta di protezione, e ricevono una informazione tardiva e parziale sui loro diritti, a differenza di quanto sarebbe imposto dalla legge e dalle Direttive europee. Dopo Lampedusa, Porto Empedocle diventa solo un centro di transito, e coloro che hanno maggiori possibilità di essere rimpatriati , come egiziani e tunisini, a differenza di quanto avveniva in passato, non rimangono a Porto Empedocle in una procedura accelerata in frontiera, in uno stato di trattenimento amministrativo che può essere “stoppato” per la mancata convalida da parte del Tribunale di Palermo, ma finiscono direttamente in un centro di detenzione come il CPR di Caltanissetta, dopo un fulmineo provvedimento di respingimento “differito” adottato dal questore di Agrigento, e sottoposto per la convalida ad un giudice di pace di Caltanissetta.

Quando la Commissione territoriale rigetta per “manifesta infondatezza” la richiesta di asilo, di una persona già trattenuta all’interno di un CPR, i margini, anche temporali, per fare valere un ricorso effettivo sono minimi. Anche quando, dopo la richiesta di asilo, la sezione specializzata del Tribunale di Caltanissetta convalida l’ulteriore trattenimento. Tutto avviene, nella maggior parte dei casi in due o tre giorni, con difensori di ufficio che non articolano alcun mezzo difensivo, né possono addurre documenti probatori per rafforzare la richiesta di protezione. In un solo giorno, nel CPR di Caltanissetta, si è arrivati ad adottare 30 provvedimenti di convalida del trattenimento, con lo stesso giudice di pace, con le stesse motivazioni, e con lo stesso difensore di ufficio.

Dopo la convalida del trattenimento, arriva in rapida sequenza il diniego sulla richiesta di asilo, da parte della Commissione territoriale. Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11399 pubblicata il 9 aprile 2024, hanno affermato il principio secondo cui «in caso di ricorso giurisdizionale avente ad oggetto il provvedimento di manifesta infondatezza emesso dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale nei confronti di soggetto proveniente da Paese sicuro vi è deroga al principio generale di sospensione automatica del provvedimento impugnato solo nel caso in cui la commissione territoriale abbia applicato una corretta procedura accelerata, utilizzabile quando ricorra ipotesi di manifesta infondatezza della richiesta protezione. In ipotesi contraria, quando la procedura accelerata non sia stata rispettata nelle sue articolazioni procedimentali, si determina il ripristino della procedura ordinaria ed il riespandersi del principio generale di sospensione automatica del provvedimento della Commissione Territoriale». Il respingimento differito adottato dal questore di Agrigento, e poi il tratenimento amministrativo nel CPR di Caltanissetta, aggirano le mancate convalide del trattenimento che, nel caso di richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, sono arrivate dai Tribunali di Palermo e di Catania quando i richiedenti asilo venivano trattenuti nel centro di transito di Porto Empedocle. Non viene neppure attribuito rilivo a quanto afferma adesso la Corte di giustizia dell’Unione europea sui limiti della categoria di paese di origine sicuro e sui poteri d’ufficio del giudice nello stabilire caso per caso se il richiedente asilo proveniente da questi paesi debba essere ritenuto comunque meritevole di protezione.

Tutto questo ad Agrigento, ed a Caltanissetta rimane lettera morta. In pochi giorni, dopo il diniego della Commissione territoriale sulla richiesta di asilo, poichè le convalide avvengono di fatto in modo automatico, in tempi ristrettissimi, e si nega anche effetto sospensivo ai ricorsi, si può procedere al rimpatrio con accompagnamento forzato verso paesi di origine come la Tunisia, e l’Egitto, che le più recenti decisioni dei giudici italiani, e della Corte di Giustizia UE, impediscono di ritenere come sicuri. Le modalità dei rimpatri forzati cancellano le garanzie di difesa ed il diritto di asilo.

In base all’art.47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, “ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare”. Non si vede come si possa parlare di ricorso effettivo nel caso dei richiedenti asilo denegati, trattenuti nel centro per i rimpatri di Pian del Lago a Caltanissetta, e poi rimpatriati in Tunisia ed in Egitto con procedure semplificate pochi giorni dopo il loro arrivo a Lampedusa.

In ogni caso il richiedente asilo rimane tale fino a quando non sia stata ancora adottata una decisione definitiva in merito alla sua istanza, e dunque non può essere considerato alla stessa stregua di un immigrato irregolare da espellere, per effetto della prima decisione negativa della Commissione territoriale che opera nella procedura accelerata in frontiera destinata alle persone che provengono da un paese di origine individuato per decreto ministeriale come “sicuro”, almeno fino a prova contraria. Che deve essere ammessa prima di mettere in esecuzione misure di allontanamento forzato, fermo restando che la preparazione di tali misure, ed i contatti per i documenti necessari al rimpatrio con le rappresentanze diplomatiche o consolari dei paesi di origine, espongono i richiedenti asilo, che tali rimangono fino alla pronuncia definitiva sul loro ricorso, ad un grave ulteriore pregiudizio che possono subire dopo l’esecuzione dell’accompagnamento fozato nel paese di origine contro il quale hanno chiesto protezione.

In questo contesto, il ritorno alle vecchie procedure di respingimento differito in frontiera, attuate dalle questure di Agrigento e Caltanissetta, con l’abbandono, se non con il travisamento, delle procedure accelerate in frontiera per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine definiti come “sicuri”,di cui all’articolo 28 bis comma 2, lettera b-bis del decreto legislativo n. 25/2008, va denunciato non solo per la grave lesione dei diritti fondamentali delle persone trattenute oggi nei centri di detenzione in Sicilia, ma anche per la elevata possibilità che le medesime pratiche di trattenimento amministrativo, di respingimento e di allontanamento forzato comportino la cancellazione sostanziale del diritto di asilo e dei diritti di difesa, se realizzate nei futuri centri di detenzione in Albania, dove le possibilità di difesa legale e di monitoraggio pubblico appaiono quasi nulle.

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