Il Museo di Storia di Sarajevo prova a spiegare la resistenza al nazismo in Europa e in area jugoslava attraverso una nuova mostra permanente che porta il nome di Walter, famoso partigiano jugoslavo.
La leggenda di Walter e la mostra che porta il suo nome
Dopo due anni di conferenze itineranti, all’inizio di luglio il Museo di Storia di Sarajevo ha inaugurato una nuova mostra permanente dal titolo Wer ist Walter? Topografia della resistenza antifascista in Bosnia ed Erzegovina 1941-1945. Il nome prende le mosse dal celeberrimo partigiano jugoslavo Walter (Valter in bosniaco), le cui vicende hanno influenzato in maniera indelebile la cultura di massa nella ex-Jugoslavia (con dischi, locali e film cult dedicati all’eroe partigiano), rendendolo un simbolo della Resistenza collettiva a Sarajevo durante la Seconda guerra mondiale.
Valter, nome di battaglia di Vladimir Perić, fu leader indiscusso della resistenza antifascista clandestina nella Sarajevo occupata, dove fornì aiuto concreto alle unità partigiane che operavano vicino alla città organizzando anche una rete di intelligence partigiana molto efficiente. Venne ucciso nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1945, poco prima che le unità partigiane arrivassero a Sarajevo, ma entrò subito nella leggenda dei resoconti sulla liberazione della città con la frase ormai mitica: “Sarajevo è liberata, ma Valter è morto”.
La mostra a lui dedicata è il frutto di due anni di lavoro e cooperazione tra il Museo di Storia di Sarajevo, la tedesca Crossborder Factory, il francese CIFE (Centre international de formation européenne) e il croato Memoriale di Jasenovac, con il sostegno della fondazione “Memoria, Responsabilità e Futuro”. Wer ist Walter? intende proporre una narrazione aggiornata della Seconda Guerra Mondiale che sia accessibile ai fruitori locali e internazionali, abbattendo il tentacolare revisionismo storico che ottenebra gran parte del dibattito politico e mediatico nei Balcani occidentali. La mostra è infatti la prima esposizione permanente sulla Resistenza partigiana da 30 anni a questa parte in una delle capitali degli stati membri della ex-Jugoslavia.
L’esposizione è accompagnata da una pubblicazione scientifica e da una piattaforma digitale educativa che comprende cento storie di resistenza in Europa, consultabili sul sito dedicato e a disposizione delle scuole.
Resistenza jugoslava: la prima in Europa
I partigiani di Tito furono infatti il primo e il più efficiente movimento di Resistenza creatosi in Europa; storicamente, infatti, già durante il Comintern di Zagabria del maggio 1941 il maresciallo Tito aveva comunicato in un report che la lotta armata era l’unica via di uscita dalla “terribile catastrofe che aveva colpito i popoli di Jugoslavia” .
Ad ogni modo, pur essendo stato il primo e più efficace movimento di Resistenza del Vecchio continente, in Europa si parla ancora troppo poco dello scempio perpetrato nei Balcani da nazisti e fascisti italiani, e ancora meno della storia della Resistenza in questa porzione di continente.
Alla luce di questa lacuna, la mostra si pone l’obiettivo di sviluppare una visione transnazionale e transeuropea della resistenza al nazifascismo in Europa e su come essa è stata trattata dal 1945 in poi.
Il Museo di Storia della Bosnia Erzegovina si evolve
Se da un lato la conoscenza dell’operato della Resistenza nei Balcani occidentali è lacunosa e divisiva (oscillando tra la glorificazione e la demonizzazione), dall’altro capita che essa sia anche molto selettiva, e quindi facile preda della strumentalizzazione e della distorsione della memoria (spesso legate alle diverse etnie della regione) operata dai nazionalismi di quest’area.
Le mostre e le manifestazioni che intendono unire i paesi dei Balcani occidentali si sono recentemente moltiplicate, sfidando la classe politica che tende invece a soffiare sul pericoloso vento dei nazionalismi. Tra di esse ricordiamo la mostra itinerante “Lavirint 90ih“, aperta a Belgrado, e poi spostatasi a Zagabria, Sarajevo, Skopje e Pristina per diventare un museo e un centro regionale per la riconciliazione. O il festival Miredita, dobar dan! per riavvicinare Serbia e Kosovo attraverso la promozione dell’arte e della cultura.
Ci sono storie da non dimenticare e c’è una memoria collettiva europea da ricostruire.
Rendere i popoli consapevoli della propria storia e della propria identità è la prima tappa per poter scrivere un futuro di pace condiviso e consapevole.