Nella mattina del 20 settembre ICS e ResQ – People Saving People hanno presentato, al Circolo della Stampa di Trieste, il Rapporto su un anno (in realtà di più, sono ormai 15 mesi) di collaborazione a Trieste. E hanno annunciato che l’attività comune proseguirà anche nel 2025.

“Restare umani a Trieste” riporta i dati, i luoghi, le modalità di questo lavoro in sinergia, ma soprattutto fa il punto sulla grave situazione di abbandono istituzionale in cui si trovano i migranti in arrivo dalla rotta balcanica al loro ingresso in città e sulla preziosa opera di accoglienza e cura che ICS, la rete delle organizzazioni triestine e ora anche i volontari di ResQ realizzano ogni giorno.

“Prendersi cura di queste persone”, spiega Gianfranco Schiavone, presidente di ICS, “specie per una città medio/grande, ricca e capoluogo di regione, dovrebbe essere un compito alquanto agevole. Sarebbe pienamente sufficiente prevedere un sistema di accoglienza notturna e servizi a bassa soglia con una capienza di 100 posti letto giornaliero rivolto a qualunque persona si trovi in condizioni di bisogno, senza distinzioni relative alle motivazioni della fuga dal Paese di origine, all’intenzione di proseguire il viaggio o alla volontà di presentare in Italia domanda di asilo. Eppure, questo modesto intervento pubblico non è mai partito”.

In questo quadro tanto più importante diventa il quotidiano impegno degli operatori e dei volontari, come prima assistenza, come orientamento informativo e legale, come punto di riferimento medico-sanitario, ma anche semplicemente per ascoltare e condividere.

L’attività dei volontari di ResQ si concentra soprattutto nell’aiuto presso il “Centro Diurno” di via Udine, vicino alla stazione ferroviaria di Trieste Centrale. Si tratta di una struttura gestita dalla Comunità di S. Martino al Campo, storico ente che a Trieste si occupa di chi è senza fissa dimora, in collaborazione con ICS e altre realtà triestine che si occupano di tutelare i migranti in strada.

Quindici mesi di presenza, da parte di ResQ. Oltre cento volontari, che si sono alternati in modo che non un solo giorno rimanesse sguarnito. Una presenza che, come racconta il Rapporto, ha inciso profondamente nella coscienza e nella consapevolezza, prima di tutto, di chi ha donato una o due settimane di presenza nel capoluogo giuliano.

“Cosa fanno i nostri volontari? Semplicemente aiutano a prendersi cura delle persone”, spiega Luciano Scalettari, presidente di ResQ. “L’attenzione. L’incrociare lo sguardo. Lo stringere una mano o dare un abbraccio. Il sedersi intorno a un tavolo per insegnare le prime parole di italiano. L’allungare una tazza di tè caldo. Scambiare parole, saluti, auguri. Soprattutto ascoltare, ascoltare, ascoltare. I volontari fanno questo. La quotidianità a Trieste è fatta perlopiù di queste (apparentemente) piccole cose. Ma l’insieme di questi gesti è avere a cuore i diritti delle persone. Il senso profondo di ogni più piccolo gesto è difendere i diritti fondamentali delle persone in strada, migranti, stranieri o italiani che siano”.

Lo esprime bene, nel Rapporto, le parole di una delle volontarie, Elena: “Quando sono stata a Trieste, alcuni ragazzi afghani mi hanno detto che l’Italia era il primo posto dove si erano sentiti liberi e accolti, dove avevano potuto tirare il fiato: ho pensato che il ruolo di un volontario è un po’ questo, essere l’abbraccio, il sorriso, l’orecchio teso ad ascoltare, che per molto tempo, nel corso di un viaggio estenuante, non ci sono stati”.

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