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L’appello ai negoziatori africani: “alla COP29 fate pagare chi inquina”. Messaggio di Greenpeace Africa e altre organizzazioni: “nord globale tassi le emissioni e prenda i fondi da lì”

Mancano meno di due mesi alla Conferenza sul clima di Baku. Sarà decisiva in fatto di risorse finanziare. I paesi del Sud Globale hanno bisogno di fondi per affrontare la crisi climatica e ne hanno bisogno adesso. Le risorse necessarie a questo scopo ci sono già, e ad avercele sono le stesse aziende e gli stessi stati che più di tutti hanno contribuito a creare la crisi in questione

Parte da qui l’appello che Greenpeace Africa e altre organizzazioni ambientaliste del continente hanno lanciato ai negoziatori africani che prenderanno parte alla prossima COP29 in programma a novembre a Baku, in Azerbaigian. L’appello delle organizzazioni ambientaliste arriva mentre gli effetti dell’aumentare dei fenomeni climatici estremi si fa sentire in tutta il continente africano: un’ondata di inondazioni sferza da settimane diversi paesi dell’Africa occidentale e centrale. Secondo l’UNICEF, le forti piogge hanno distrutto 300mila abitazioni e colpito quattro milioni di persone in una fascia che va dalla Liberia e arriva a est fino al Ciad. Altre aree del continente sono nel frattempo interessate da una forte siccità. Indotta dal El Niño, ma peggiorata nei suoi effetti dalla crisi climatica, la mancanza di piogge ha spinto i governi di Zambia, Zimbabwe, Malawi e Namibia a dichiarare uno stato di emergenza nazionale mentre le persone colpite in Africa australe sono quasi 70 milioni. La Finance COPIn un contesto del genere, la Conferenza di Baku si presenta come la più decisiva degli ultimi anni. Ma a renderla tale non è solo l’evidente peggioramento della situazione globale, ma anche il fatto che nel Caucaso, finalmente, si parlerà soprattutto di soldi, al punto che il summit si è già guadagnato il soprannome di Finance COP, la COP finanziaria. In ballo c’è infatti la ridefinizione del New Collective Quantified Goal (NCQG), ovvero l’ammontare complessivo di fondi pubblici che i paesi più economicamente sviluppati si impegnano a mobilitare ogni anno per sostenere quelli a basso e medio reddito negli sforzi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Fino a oggi si è voluto mettere a disposizione 100 miliardi di dollari. Questa cifra è stata decisa nel 2009 ed è stata raggiunta per la prima volta nel 2022, con due anni di ritardo rispetto alla tabella di marcia stabilita 13 anni prima. Tassare gli inquinatori- Greenpeace nel suo appello propone inoltre di spingere affinché i paesi ricchi introducano una «tassa sui danni climatici che potrebbe generare 900 miliardi di dollari entro il 2030 (a partire dal 2024 con un’aliquota iniziale bassa di 5 dollari per tonnellata di CO2 e, che aumenta di 5 dollari per tonnellata ogni anno) per la finanza climatica». Si continuerà a “estrarre” dall’industria fossile insomma, ma stavolta per generare i fondi necessari per sostenere la transizione verso le rinnovabili, a oggi economicamente molto impegnativa per i paesi del sud globale, e per difendersi e fare i conti con gli eventi estremi che la crisi climatica sta già provocando. Nell’appello, si specifica inoltre che «i crediti e le compensazioni di carbonio non possono essere considerati come finanziamenti per il clima mobilitati dai paesi ricchi nell’ambito dell’NCQG». Un riferimento questo, a un modello che sta già provocando molte polemiche. Il meccanismo è ritenuto inefficace e dannoso. I progetti che mobilita il sistema delle compensazioni rischiano infatti di creare nuovi danni alle comunità  e agli ecosistemi del Sud globale, visto per l’ennesima volta come un territorio principalmente da sfruttare.

approfondisce su Nigrizia

 

Diritto alla Salute: cresce la migrazione sanitaria dal sud e più soldi nelle casse del nord. Ora con l’autonomia differenziata la spirale può avvitarsi definitivamente, vedi il “caso-nirsevimab”

L’AUMENTO DEL VALORE complessivo mostra che le disuguaglianze sanitarie aumentano a favore di chi stava già meglio. Il passivo della Calabria affonda da -273 a -294 milioni. Campania sotto di 285 milioni. Con l’autonomia differenziata la spirale può avvitarsi definitivamente. In Lombardia il saldo migratorio è più florido: nel 2023 tocca in valore i +579 milioni, 29 milioni più dell’anno precedente. La meta che cresce di più è l’Emilia Romagna, dove la sanità è quasi tutta pubblica: il valore delle prestazioni a cittadini di altre regioni è balzato da 654 a 722 milioni, per un saldo di +465 milioni. Segno positivo anche nei bilanci di Veneto, Toscana e del piccolo Molise, unica regione del mezzogiorno ad attrarre i pazienti. Per il resto, conti in pari o in rosso, soprattutto al Sud. Da Roma in giù tutte peggiorano il saldo migratorio sanitario

Nel 2023 un milione di italiani è andato a curarsi fuori dalla propria regione, quasi sempre spostandosi da sud a nord. Il valore economico delle prestazioni svolte fuori regione dunque aumenta dai 4,3 miliardi di euro del 2022 ai 4,6 dell’anno successivo. Sono i dati emersi dall’ultima riunione della Conferenza Stato Regioni, che ha approvato il riequilibrio dei finanziamenti a favore delle regioni che accolgono più pazienti. Per le cure fornite agli assistiti non residenti, infatti, è previsto un sistema di crediti e debiti tra i territori in modo che le regioni da cui partono i viaggi della speranza rimborsino quelle di destinazione. IL VALORE COMPLESSIVO della mobilità sanitaria è una misura indiretta delle disuguaglianze percepite dai pazienti. Prima della pandemia che ha frenato i trasferimenti, il fenomeno sembrava essersi stabilizzato e anzi aveva iniziato un timido riassorbimento: nel 2019 il valore della mobilità interregionale era sceso a 3,9 miliardi di euro. L’aumento degli ultimi anni segnala che il divario nord-sud è ripartito a tutta velocità. Anche se i flussi finanziari potrebbero suggerirlo, quello della mobilità non è un gioco a somma zero, in cui le spese vengono semplicemente spostate da una regione all’altra. Curarsi fuori regione comporta costi supplementari che ricadono interamente sulle tasche dei privati ma sfuggono ai bilanci sanitari: basti pensare alle spese sostenute dai familiari che assistono i pazienti ricoverati lontano da casa. La sanità diseguale dunque costa complessivamente di più e lo squilibrio punisce i residenti delle regioni più povere e sguarnite. Con l’autonomia differenziata la spirale può avvitarsi definitivamente. Che il rischio sia concreto lo dimostra l’«incidente» del nirsevimab, l’anticorpo contro il virus respiratorio sinciziale che viene somministrato alla fine dell’autunno ai bambini fragili per evitare le bronchioliti gravi. Mercoledì, una nota emanata dal ministero della salute aveva vietato la fornitura gratuita del farmaco nelle regioni sottoposte a «piano di rientro», un programma di rigore finanziario che mira a ridurre le spese per riequilibrare bilanci dissestati. Guarda caso, le regioni in «piano» sono Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, cioè tutte al centro-sud.

tratto dall’articolo di Andrea Capocci (il manifesto)

 

Inflazione, l’ISTAT conferma il lieve calo ad agosto si attesta +1,1%, necessari interventi urgenti per sostenere il potere di acquisto delle famiglie

Il tasso non rallenta abbastanza, per di più tra settembre e novembre i cittadini dovranno far fronte ad una stangata di +2.970,35 euro. La decelerazione è trainata soprattutto dalla flessione su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da -6% a -8,6%), ma anche dei prezzi dei servizi relativi all’abitazione (da +2,7% a +2,5%)

Anche il carrello della spesa segna un rallentamento, segnando quota +0,6%. A spingere al rialzo, invece, sono i costi dei beni energetici regolamentati (da +11,7% a +14,3%), nonché, come abbiamo denunciato in più occasioni, quelli relativi alle vacanze, con i prezzi dei trasporti cresciuti del +2,9% (dato a nostro parere ancora sottostimato). Secondo le stime dell’ONF – Osservatorio Nazionale Federconsumatori, con l’inflazione a questi livelli, le ricadute per una famiglia media ammontano a +346,50 euro annui. Aggravi che hanno inciso fortemente sulle scelte delle famiglie, non solo in tema di vacanze, e che sono destinati a peggiorare nei prossimi mesi: come ogni anno, l’ONF ha calcolato una stangata autunnale di 2.970,35 euro a famiglia. Un conto che prende in considerazione la spesa complessiva per le bollette, la TARI, il riscaldamento, il materiale scolastico e la salute. Di fronte a importi così elevati, cresce il numero di rinunce che le famiglie sono costrette ad operare. Rinunce che, in assenza di provvedimenti immediati per sostenere le famiglie e il loro potere di acquisto, rischiano di riportare gravi ripercussioni sul nostro sistema economico, abbattendosi sulla domanda interna e, quindi, sull’intero sistema produttivo. Per questo è indispensabile che il Governo adotti serie e incisive misure a favore delle famiglie, rivolgendo un’attenzione particolare a quelle che si trovano in maggiore difficoltà, attraverso: a) la rimodulazione dell’Iva sui generi di largo consumo; b) la promessa e mai realizzata riforma delle accise e degli oneri di sistema su beni energetici e carburanti; c) la creazione di un Fondo di contrasto alla povertà energetica e una determinata azione di contrasto alla povertà alimentare; d) la disposizione di maggiori aiuti per affrontare le spese relative alla scuola; e) l’avvio di misure per riequilibrare le disuguaglianze esistenti, prima di tutto attraverso un rinnovo dei contratti, una giusta rivalutazione delle pensioni, la resa strutturale del taglio del cuneo fiscale e una riforma fiscale equa, davvero tesa a sostenere i redditi medio-bassi e non a sostenere soltanto i redditi da lavoro autonomo e quelli più elevati.

comunicato Federconsumatori

Osare leggere di femminismo. María Galindo: “perché il femminismo non è un progetto di diritti per le donne ma un percorso di trasformazione della società”

Tra le fondatrici del collettivo Mujeres Creando (MC), uno dei più importanti dell’America latina, María Galindo – autrice di Femminismo bastardo, un  libro che raccoglie articoli scritti negli ultimi anni, dedicati alle questioni fondamentali del femminismo insieme a collettivo MC gestisce Radio Deseo ed uno spazio sociale e culturale nel centro della capitale boliviana, La Paz, dove è nata

Femminismo intuitivo vs. accademismoQuesta è un’altra delle contraddizioni presenti all’interno del movimento: un femminismo accademico con teoriche uscite dalle università e che costruiscono e usano un discorso accademista, che si presenta come il nucleo filosofico del femminismo stesso. Sto parlando di un femminismo eurocentrico, che importa le discussioni e che si alimenta della legittimazione dell’accademia del nord, opposto a un ipotetico femminismo “senza un discorso proprio” che, escludendo la mobilitazione e la strada, non avrebbe altra alternativa che consumare quel femminismo accademico. Ciò che propongo è che quel femminismo della strada abbia un nome e che si chiami “femminismo intuitivo”; non risponde a un’istruzione ideologica e non risponde a una lettura accademica, ma risponde a una decisione esistenziale e a una lettura diretta ed esperienziale del proprio corpo, della strada, del quartiere, del carcere, dei tribunali, della disoccupazione. Non è un femminismo carente di discorso ma uno le cui protagoniste sono le voci silenziate, senza un luogo, né un microfono. È il femminismo intuitivo quello che sta riempiendo le manifestazioni, le assemblee e quello che sta destabilizzando il patriarcato. Questo femminismo intuitivo ha bisogno di ascoltare sé stesso, ha bisogno di spazi decisionali per potersi connettere con il corpo che agisce. Non ha bisogno di forum di esperte da andare ad ascoltare, ma di spazi che concedano riconoscimento e capacità di ascolto in maniera orizzontale. Questi sono, per esempio, quelli che in Bolivia abbiamo chiamato Parlamenti delle Donne, nei quali abbiamo generato la capacità di ascoltarci senza necessità di rappresentazione e ricerca di accordo, ma costruendo collettivamente un mosaico complesso di visioni differenti che si integrano attraverso la loro complessità. Le alleanze etiche e non ideologiche ci spingono a ripensare le alleanze non esplicitate che sono quelle che circolano oggi senza essere discusse, come le seguenti: le alleanze identitarie, quando parliamo per esempio di un femminismo indigeno il cui senso di convergenza è una presunta essenza indigena anti bianca; le alleanze generazionali che finiscono per installare uno sguardo gerontocratico sulle giovani o, al contrario, un rifiuto generazionale verso le più grandi; le alleanze vittimiste, costruite attorno al dolore come luogo di enunciazione politica e che ripetono più e più volte lo stesso discorso (femminicidio, molestia o stupro), ma non funzionano attorno ad altri orizzonti o non ripensano a questi stessi luoghi partendo dall’idea di ribellione; le alleanze territoriali che non si connettono più in là di un contesto geografico. Tutte queste alleanze possono essere legittime, possono essere spontanee, possono essere congiunturali. La domanda è se sono sovversive, se ci permettono di ripensare ai femminismi e costruire nuovi linguaggi e nuove cornici concettuali che non siano la cornice dei diritti, né delle leggi, né delle quote, né dell’inclusione ma, invece, della rivoluzione.

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