Cinquantesimo sabato di manifestazione per la Palestina. Diverse centinaia di persone, interventi prima, dopo, durante, musica, slogan, si fatica a rispondere. Se la guerra avanza, la distruzione cresce, le armi usate si raffinano, il cerchio si allarga, le malattie dilagano…. Non si riesce ancora a trovare il modo per essere all’altezza.

In tanti dicono: dovremmo farne una con centinaia di migliaia di persone come è stato in altre parti del mondo. Forse però si vede questa possibilità in un vicino orizzonte: in tanti e tante rimandano all’appuntamento nazionale del 5 ottobre.
Qualcuno chiede ci saranno pullman? Treni?
Bei tempi quelli in cui c’erano i treni per andare alle manifestazioni a Roma: ora pendolini (3/4 ore) o intercity (6/8ore). Con nome, cognome e tutto. Ricordate? Una volta si prenotava una carrozza, due carrozze, sapendo che poi le si riempivano. Temo davvero non si possa fare più, quindi largo ai pullman!!
E già ieri si mettevano le mani avanti: “Se ci fermeranno al casello….” Facili Cassandre.

Manifestazione pro Palestina

Ma ieri a Milano non è stato solo questo. Arrivando al punto di concentramento già si vedeva uno striscione davanti ad una farmacia con un paio di farmacisti sulla porta a cercare di capire con un volantino in mano e un paio di attivisti che gli spiegavano la nuova campagna del BDS contro la casa farmaceutica TEVA (per chi vuole saperne di più, e speriamo siate in tante e tanti: Sanitari per Gaza e BDS Italia lanciano assieme la campagna “TEVA? No grazie!”).

Infine, il corteo arriva in piazza Leonardo Da Vinci, davanti al Politecnico. Nel prato davanti ci sono alcune tende, una grande scritta: “LA CASA è UN BISOGNO”. Immagino che siano gli studenti che manifestano, lottano per il diritto a stanze a Milano a prezzi umani. Invece no…

Lo capisco dall’intervento di una giovane attivista che dal camion racconta la storia del recente incendio avvenuto nell’occupazione di via Fra Castoro, organizzata dalla vivace rete CI SIAMO, che già in passato ha dovuto rispondere ad emergenze. Ne avevamo scritto.

Qualche sera fa un centinaio di persone si sono dovute alzare velocemente alle 4 di mattina, raccogliere le poche cose e vedere la loro casa andare in fumo. Nulla di doloso, ma intanto si resta senza tetto, e meno male che la stagione è ancora buona.

Chiedo così ad un paio di attivisti e anche a dei giovani occupanti (praticamente tutti immigrati) cosa è successo, chi viveva lì e cosa è successo dopo quella notte.

Un paio di ragazzi immigrati mi raccontano con un ottimo italiano: “Nella casa occupata di via Fra Castoro, occupata 3 anni fa, ci eravamo già dovuti stringere un anno fa per far posto a coloro che erano stati sgomberati da via Esterle. Le condizioni non erano facili, ma si era fatto di tutto per rendere quella situazione abitativa dignitosa, c’erano anche famiglie coi bambini. Milano ti permette di lavorare (sfruttandoti come un limone), ma la casa è un problema enorme. Non è un problema dei datori di lavoro, anzi se sapessero che si è in una situazione del genere, probabilmente saresti licenziato il giorno dopo.”

“Ci Siamo esiste da 8 anni… Via Fra Castoro aveva visto una presenza di abitanti che superava certo la capienza, si era fatto tutto il possibile perché la situazione fosse dignitosa, attraverso, come sempre, l’autorganizzazione. In questo caso, come in passato, la risposta del Comune è stata inesistente, siamo andati con loro al dormitorio vicino alla stazione centrale, squallidissimo, ma lì come al dormitorio di viale Ortles (che adesso per fare un po’ di scena si chiama “casa Jannacci”), la gente non puo’ stare. I posti sono per pochi e molti hanno orari di lavoro che non sono conciliabili con un luogo dove di notte si chiude. Ancora una volta si parla di “Emergenza”, un termine sempre più insopportabile.”

“Prova a cercare una casa in affitto a Milano, sai benissimo che ti chiedono carte, contratti a tempo indeterminato che nessuno di noi ha. E anche il colore della pelle, diciamocelo, non aiuta. Ora siamo qui a dormire in queste tende, grazie alla solidarietà. Stiamo pensando a cosa fare, siamo riusciti a stare abbastanza uniti. Il problema è serio e non si puo’ andare avanti mettendo toppe.”

Uno dei ragazzi mi fa notare una cosa importante: “La casa di via Esterle, da dove ci sgomberarono è ancora chiusa, abbandonata, perché allora? Non facciamo male a nessuno….”

Alla fine, mi avvicino ad un tavolino, un ragazzo ha fatto un bellissimo disegno dell’incendio.


Credo che torneremo a parlare di questi uomini e donne molto presto.