Intervenuto in questi giorni sulla questione del “Ponte sullo Stretto”, il Presidente dell’Ordine degli Architetti di Messina ha rilasciato delle dichiarazioni nelle quali si afferma che: “chi ha un ruolo istituzionale dovrebbe lasciare le proteste ad altri”, impegnandosi – invece – in merito a quanto “previsto dalle leggi sul Ponte“. Orbene, tale presa di posizione ha indotto Venera Leto, componente del predetto Ordine, a cancellarsi dall’ente professionale dopo vent’anni d’iscrizione, scrivendo una lettera aperta in cui si precisa che: “L’istituzione deve rappresentare l’interesse di categoria, ma anche la professionalità e la dignità di quest’ultima. E io quel dovere istituzionale lo conosco da vicino perché per 5 anni sono stata Consigliere dell’Ordine e anche per questo sento l’urgenza di assumere una posizione”. A seguire proponiamo uno stralcio della missiva destinata ad essere oggetto di riflessione per la comune collettività[accì]

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Dopo le dichiarazioni del Presidente dell’ordine degli Architetti in nome della categoria a proposito del ponte sullo Stretto mi sono profondamente interrogata sul mio essere architetto ed esserlo qui in questa città. “Le proteste le lasciamo agli altri” esordisce il Presidente, sottolineando il ruolo istituzionale: ma agli altri chi? Chi se non gli architetti dovrebbero protestare contro un’opera così fuori contesto rispetto al nostro territorio, un’opera così devastante rispetto al paesaggio e così distratta rispetto ai già fragili equilibri ambientali e sociali? Io sono un architetto e le proteste non le lascio agli altri proprio perché ho la sensibilità, la cultura e le competenze per comprendere l’entità dello scempio che si sta perpetrando ai danni della città. Della mia città.

Non è forse il ruolo dell’architetto quello di ascoltare i bisogni di una comunità e farsene portavoce trasformandoli in realtà? Non dovremmo forse rivedere il ruolo ormai più che anacronistico dell’archistar e abbandonare definitivamente le grandi opere per ritornare ad un’architettura più semplice ed a volte anche immateriale? Non dovremmo piuttosto mettere in pratica la partecipazione sociale rafforzando le reti e le relazioni? Non dovremmo essere facilitatori per una cittadinanza attiva e educarla a prendersi cura dei luoghi e dei suoi paesaggi? Non dovremmo smettere di costruire in una città già sovracementificata? Non dovremmo piuttosto potenziare le infrastrutture carenti da quelle idriche ai trasporti? Non dovremmo valorizzare e creare spazi verdi e recuperare l’esistente? Questo dovrebbe fare un architetto in una città come Messina e, sicuramente a mio avviso, non appoggiare il ponte e le opere ad esso connesse.

Dolorosa la sensazione che in questo sperpero di denaro pubblico che sta avvenendo ormai da decenni la mia categoria speri di accaparrarsi qualche spicciolo. Cantieri, opere collaterali, subappalti: purtroppo è questa “l’unica opportunità” che mi viene in mente. Una promessa di lavoro per un mestiere ormai umiliato e svilito ancora spauracchio del colore politico.

 

leggi integralmente quì la lettera aperta