Si è tenuto ieri pomeriggio, sabato 7 settembre 2024, a Roma un corteo di diverse migliaia di persone che da Rebibbia, quartiere popolare di Roma che ha dato il nome all’odiatissimo carcere sovraffollato, ha raggiunto, occupando una carreggiata della via Tiburtina, lo storico quartiere popolare di San Basilio.

Il corteo voleva ricordare, a cinquant’anni di distanza, le giornate di San Basilio del Settembre 1974, quando il movimento di lotta per la casa riuscì, dopo cinque giorni di mobilitazione senza precedenti, a difendere il diritto alla casa di oltre un centinaio di famiglie, che erano state costrette ad occupare le nuove case popolari costruite nel quartiere perché i loro appartamenti popolari erano ormai fatiscenti.

Le loro case vennero costruite a San Basilio, creando questa nuova borgata a Nord Est di Roma dove prima c’era solo campagna, per ospitare le numerose famiglie romane che avevano perso la casa a causa degli sventramenti attuati dal regime fascista, ad esempio lungo via dei Fori Imperiali e via della Conciliazione.

Costruite in fretta e furia, alcune di queste abitazioni non avevano retto la prova degli anni e andavano abbattute e inoltre vi erano giovani coppie del quartiere che reclamavano una casa per la loro nuova famiglia.

Tuttavia nel dopoguerra e nei decenni successivi si scontrarono due progetti opposti: da un lato gli abitanti vorrebbero si procedesse al risanamento del quartiere, attraverso la costruzione di nuovi edifici per coloro che vivono in strutture fatiscenti e per le nuove famiglie costituite dai loro figli, dall’altro lato lo stato continua a costruire ma senza risanare le vecchie case e assegnando le nuove abitazioni a famiglie disagiate provenienti da altri quartieri di Roma.

Per questa ragione nel 1973 un centinaio di famiglie, che sono regolarmente inserite nelle graduatorie e che hanno i titoli per reclamare i propri diritti, decidono di occupare le nuove case appena terminate.

Per circa un anno questa occupazione viene tollerata, ma a settembre del 1974 si dà inizio agli sgomberi con una vasta operazione di polizia.

La resistenza degli occupanti, a cui si aggiunge quella degli abitanti del quartiere e quindi quella di centinaia di giovani militanti delle formazioni della sinistra comunista extraparlamentare, è decisa e imprevista e il tentativo di sedare la protesta con la forza non solo non funziona, ma ottiene l’effetto opposto.

L’8 settembre la tragedia: alcuni poliziotti, ormai a corto di lacrimogeni, sparano sulla folla e un proiettile raggiunge e uccide un giovane di 19 anni, Fabrizio Ceruso, giunto da Tivoli a dare manforte agli occupanti.

I suoi compagni lo accompagnano in taxi all’ospedale, lontano chilometri e lì vi giunge morto. La rabbia della popolazione di San Basilio è tale che la polizia deve allontanarsi dai palazzi e trincerarsi in un campetto di pallone, poi il governo decide la ritirata e assegna le case agli occupanti.

A cinquant’anni di distanza dai fatti il lungo corteo assume una curiosa composizione: in testa ci sono un centinaio o forse più di uomini e donne di oltre settant’anni: sono le compagne e i compagni di Fabrizio Ceruso e tra di essi c’è la sorella.

In questo mezzo secolo hanno sempre lottato, “dalla parte del torto”, ma anche dalla parte giusta della Storia, che spesso é la parte degli sconfitti: in questi decenni la più grande vittoria che rivendicano é quella di non essersi mai arresi, continuando la lotta di Fabrizio rimanendo fedeli agli ideali della loro gioventù.

In coda al corteo ci sono invece i giovanissimi: studentesse e studenti delle superiori e dell’Università, che hanno oggi l’età che Fabrizio aveva allora e che continuerà ad avere per sempre, come Carlo Giuliani, Giorgiana Masi e i troppi ragazzi vittime della violenza dello Stato.

Per i ragazzi di Osa, Cambiare Rotta, Potere al Popolo e del Fronte della Gioventù Comunista Fabrizio Ceruso è un loro compagno: laicamente sostengono, come dice l’Internazionale di Fortini, che “chi ha compagni non muore mai”, che le sue idee di uguaglianza e giustizia sociale vivono oggi nella loro voce, nelle loro braccia e nelle loro gambe che preannunciano l’umanità futura.

I loro slogan sono essenziali e vanno al cuore della questione: vogliamo case per vivere e non bombe per morire o uccidere.

É la parte centrale del lungo corteo quella più nutrita e più colorata sia negli abiti variopinti e sia nelle innumerevoli gradazioni del colore della pelle, che senza soluzione di continuità va dal nero piú deciso al rosa più pallido comprendendo singole persone o famiglie di ogni angolo del Pianeta: America Latina, Nordafrica, Africa Centrale, Est Europa, Asia… ma anche proletari romani doc.

Sono gli occupanti di edifici sfitti e da anni abbandonati. Persone che a Roma svolgono mille lavori indispensabili e più o meno sottopagati e che non potrebbero mai permettersi di pagare un affitto con i loro magri salari.

Dopo mezzo secolo il diritto alla casa resta un diritto negato, da conquistare con la lotta. Il nuovo, ennesimo, Decreto Sicurezza vuole reprimere come un intollerabile delitto questa lotta sacrosanta perché per questo sistema la proprietà privata ancorché inutilizzata di un palazzinari vale di più del diritto alla casa di una famiglia.

Per questo motivo Fabrizio Ceruso, che la casa l’aveva, da Tivoli andò a San Basilio: perché le persone valgono di più dei profitti e questa convinzione rende il mondo più bello, più giusto e migliore.