Medea Benjamin, la focosa co-fondatrice di CodePink, una delle maggiori associazioni per la pace e la nonviolenza negli Stati Uniti, ha regalato una coinvolgente “conversazione di gruppo” ad una quarantina di attivisti romani, venuti a sentirla l’altro ieri (3 settembre) presso la Casa Internazionale delle Donne, nonostante la tempesta e la bomba d’acqua che ha immobilizzato il centro della capitale.

Medea ha esordito spiegando alla platea che, pur essendo lei stessa ebrea, considera il massacro israeliano a Gaza e in Cisgiordania inequivocabilmente un genocidio e lotta strenuamente, da quando era giovane, per una Palestina libera.  “A 15 anni i miei genitori, che erano ebrei osservanti, mi hanno mandato in un kibbutz israeliano in territorio palestinese per quattro mesi. Lì sono rimasta scioccata dal razzismo imperante: gli occupanti del kibbutz mi hanno proibito di parlare con gli ‘arabi’ intorno a noi – usavano la parola ‘arabi’ per non dover dire ‘palestinesi’.  Ma non avevano capito la mia indole ribelle: le loro ammonizioni erano quanto bastava per spingermi a frequentare i ragazzi e poi le famiglie palestinesi del luogo.  Gente bellissima (“lovely people”): non erano affatto antiebraici, anzi.  E poi il loro cibo era meraviglioso, mentre nel kibbutz si mangiava male.  Mi spezzava il cuore vedere come questi amabili palestinesi venivano trattati da chi occupava le loro terre – e stiamo parlando degli anni ‘60, figuriamoci oggi.”

Ribelle da teenager, l’attivista statunitense è rimasta ribelle ancora oggi a settantun anni.  All’incontro, presieduto da Maura Cossutta della Casa Internazionale delle Donne e organizzato da Genevieve Vaughn con il gruppo Statunitensi per la Pace e la Giustizia, Medea ha raccontato come le donne di CodePink s’incontrano ogni mattina per la prima colazione nella mensa pubblica all’interno del Campidoglio a Washington DC (dove Medea risiede). Lì si dividono tra loro i senatori e i rappresentanti da interpellare e poi passano le prime ore della giornata a percorrere i corridoi del Senato e della Camera per agganciare i loro bersagli e perorare la causa del momento.

A partire dalla settimana prossima, le donne di CodePink cercheranno di raccogliere consensi per la mozione appena depositata dal Senatore democratico (e socialista!) Bernie Sanders: si tratta di una “Risoluzione congiunta di disapprovazione”, ovvero di una condanna del recente ordine esecutivo, firmato dal Presidente Joe Biden, che impegna gli USA a fornire a Israele armi per 20 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni.  In altre parole, l’ordine di Biden crea un vincolo (“lock in”) che rimarrà valido anche dopo la sua sostituzione alla Casa Bianca, chiunque sia Presidente, ivi compresa un’eventuale Kamala Harris che, non si sa mai, volesse cercare di mettere pressione su Israele minacciando di bloccare la fornitura di armamenti.  Per via dell’ordine esecutivo di Biden, lei non avrà questa opzione e pertanto Sanders (con Medea e compagnia) cercheranno ora di far saltare quell’ordine.

Alcuni partecipanti alla “conversazione di gruppo”, sono rimasti sbalorditi dal potere della lobby pro-Israele su Biden e sul Congresso.  “Quella lobby, che si chiama AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), è infatti estremamente ben finanziata, ben organizzata, capillare e determinata” ha spiegato Medea, dando poi un esempio. “Il Deputato dal Kentucky Thomas Massie ci ha rivelato come l’AIPAC assegna una ‘baby sitter’ a ogni membro del Parlamento fin dal giorno della sua elezione, incaricata di tenerlo d’occhio e di assicurare che “voterà bene” su questioni d’importanza per Israele, interpellandolo preventivamente e minacciando, in caso contrario, di fargli perdere le prossime elezioni.”  L’AIPAC ha infatti una scuderia di potenziali candidati pro-Israele da finanziare per prendere il posto di chiunque “voti male”.  Caso esemplare è quello di Cori Bush (nessuna parentela con gli ex Presidenti Bush), ovvero la deputata nera del Missouri che il 16 ottobre 2023 ha osato depositare una risoluzione chiedendo il cessate il fuoco a Gaza. Quando poi, lo scorso mese (6 agosto 2024) si è presentata alle elezioni primarie per mantenere il suo incarico, l’AIPAC ha lanciato contro di lei una campagna denigratoria e ha fortemente sostenuto un suo rivale: così la deputata ha perso le primarie, decadendo dal suo incarico.

L’AIPAC esercita la sua pressione non solo sui membri del Congresso, ma anche sulle personalità di richiamo capaci di influenzare l’opinione pubblica. “C’è per esempio il caso della celebre attrice Susan Sarandon, che si trova ormai boicottata a Hollywood a causa delle sue prese di posizione su Gaza,” ha rivelato Medea.  Julian Assange ha detto che “il coraggio è contagioso” e infatti Medea ha confidato che è stata lei a portare Susan Sarandon in Palestina per conoscere quel popolo da vicino.

“Ma noi non dobbiamo arrenderci davanti allo strapotere di AIPAC”, ha subito aggiunto Medea.  “Il fatto che la lobby debba spendere sempre più danaro per ‘disciplinare’ i senatori e i deputati mostra che stanno perdendo terreno.  Dobbiamo solo tener duro e continuare a lottare.”

E poi, come ha sottolineato Medea alla fine della sua conversazione, abbiamo dalla nostra parte il sostegno del Sud Globale: basta pensare alle iniziative per la pace in Palestina portate avanti dal presidente del Messico, dal presidente del Brasile, da una coalizione di Stati africani capeggiata dal Sudafrica, dall’Indonesia e, soprattutto, dalla Cina, che ha fatto una convincente proposta di accordo e inoltre, recentemente, è riuscita a mettere d’accordo le varie fazioni palestinesi [così da contrastare, con un fronte unico nelle trattative, la politica israeliana di divide et impera – ndr].  Speranza, dunque, c’è.”