Lenin mi perdonerà il remake della sua citazione, ma il Campismo (forma manichea di ragionare sulla politica estera) è una vecchia malattia infantile dell’internazionalismo.

Quando c’è una guerra c’è sempre qualche amico o compagno che sente l’irresistibile bisogno di tifare, e in genere altro non fa, per i sedicenti buoni, contro i presunti cattivi.

Queste persone, visto che la realtà si presenta sempre in forma assai complessa hanno il vizio di utilizzare come bussola gli Stati Uniti d’America, visti non soltanto come paese capitalista e imperialista, cosa ovvia e scontata dal mio punto di vista, ma come una sorta di incarnazione del male assoluto.

Se gli USA diventano “il grande satana” tutto diventa facile da giudicare.

I nemici degli Usa sono necessariamente miei amici: se lì c’è il male, chi vi si oppone è sempre il bene e quindi, nel campo avverso al mio, che giustamente condanno per le innumerevoli nefandezze perpetrate, ci sono i buoni con cui mi schiero a prescindere, senza se e senza ma.

Questo modo di ragionare è opposto, ma speculare e alla fine del tutto simile, a chi al contrario vede negli Stati Uniti d’America il baluardo del mondo libero e civile, portatore del progresso e della democrazia in un mondo dominato da dittature feroci e barbare.

Questa riduzione binaria del pensiero, che distingue nettamente il bene da un lato e male dall’altro in due campi distinti, è ricorrente nel pensiero umano perlomeno dai tempi dell’Inquisizione, ma può assumere variegate sfumature ideologiche perché è tipica,  con il suo dogmatismo, di ogni dittatura e di ogni totalitarismo.

Alla fin fine è sempre pensiero soggiogato e subalterno a un potere e poco importa se è quello dominante nel proprio campo oppure quello dominante nel campo a noi avverso, per cui si decide di tifare acriticamente, convinti di esprimere un pensiero di opposizione.

Questo modo di ragionare rifiuta di considerare ogni complessità: non chiama al confronto, ma allo scontro, non cerca verità parziali, da sottoporre costantemente a verifica attraverso il pensiero critico, ma vuole affermare, con ogni mezzo necessario, violenza inclusa, la propria fede dogmatica che, in quanto tale, non accetta contestazioni, ma soltanto conversioni o imposizioni.

É una dinamica che abbiamo visto perfino durante la pandemia del COVID 19 durante la quale si voleva dividere l’umanità in “Vax” e “No vax” rifiutando, spesso in entrambi questi campi fittizi, ancorati alle proprie fideistiche certezze, ogni confronto razionale e ogni esercizio del pensiero critico.

Analoga situazione ho provato io ascoltando alcuni commenti ai miei parzialissimi reportage dall’Ucraina che, paradossalmente, mi accusavano o di essere filo ucraino, e quindi di favorire per un’ingenuità non accettabile, il trionfo del nazismo o al contrario troppo schiacciato sul versante di Putin, l’ennesimo nuovo Hitler.

Non pretendo affatto di aver scritto nulla più di impressioni personali, ma mi compiaccio di aver dato la parola ad un perseguitato politico, a un obiettore di coscienza con cittadinanza ucraina e, va specificato, di lingua e cultura ucraina. Una persona che pertanto ha un punto di vista inevitabilmente differente da un russo della Crimea o del Donbass, che hanno visto l’arrivo dei soldati russi come quello di liberatori.

Paradossalmente sono vere entrambe le cose, perché in Ucraina era in atto una guerra civile fomentata dalle potenze straniere e, francamente, mi sembra ingenuo pensare che una delle due sia così innocente da agire per amore della libertà dei popoli e dell’umanità e non per ragioni innanzitutto di interesse economico.

La realtà è molto più complessa: spesso nei conflitti si fronteggiano eserciti di signori della guerra che si combattono per ragioni di potere. Visto che nessuno chiama il proprio popolo a morire esortandolo a combattere per í privilegi di pochi, si cercano sempre nobili motivi e in genere religione, patria e nazionalismo funzionano sempre.

Lo abbiamo visto nelle guerre che hanno accompagnato la dissoluzione della Jugoslavia e in tante guerre combattute in Africa e in Asia: signori della guerra contro altri signori della guerra senza alcun reale progetto di liberazione delle proprie popolazioni.

Un mondo multipolare lascia più possibilità di manovra ai popoli che vogliono liberarsi dal gioco politico ed economico di una potenza straniera,  tuttavia da qui a dire che tutti i Paesi che si sono liberati dal dominio statunitense siano modelli di società ne corre di strada.

Alcuni regimi odiati dagli Usa, come quello iraniano, sono intrinsecamente reazionari e possono avere in odio l’Europa non per il modello capitalista, che pure perseguono, ma per la libertà delle donne e i diritti riconosciuti agli omosessuali.

Questi regimi non sono certo nostri alleati  nella costruzione di un diverso mondo possibile e necessario, più giusto e fraterno, ed è anzi doveroso solidarizzare con chi vi si oppone con coraggio e determinazione, prime fra tutti in Iran molte giovani e giovanissime donne.

D’altro canto le sedicenti sinistre moderate usano lo stesso modo di ragionare, ma in forma simmetricamente opposta: noi siamo il mondo libero, che riconosce i diritti civili e chi si oppone al nostro ordine è un nuovo Hitler, con cui non si può trattare e che va quindi abbattuto.

Insomma cervello nostro liberaci dal manicheismo che riduce l’internazionalismo (la “tenerezza dei popoli” secondo Che Guevara) ad una ridicola, inutile e pericolosa parodia.

Per quanto concerne specificatamente l’Ucraina io rifiuto la narrazione della Nato che si tratti di una guerra tra libertà e totalitarismo, ma anche quella russa che presenta la guerra come operazione militare speciale contro il nazismo in nome della solidarietà antifascista.

A mio parere due nazionalismi hanno distrutto uno Stato plurinazionale.

Non ho difficoltà a sostenere che una responsabilità maggiore l’abbiano inevitabilmente avuta i governi iper nazionalisti, con elementi dichiaratamente neonazisti, affermatisi in Ucraina a partire dalla rivolta filo occidentale di piazza Maidan nel 2014.

Gli Stati Uniti d’America e la Nato d’altro canto hanno sicuramente prima fomentato e poi alimentato questa guerra.

Tuttavia il governo della Federazione Russa non era per questo obbligato a muovere i propri carri armati dalla Bielorussia verso Kiev, passando peraltro per Chernobyl, e facendolo ha sicuramente violato la legalità internazionale. Si dirà come fanno da sempre gli Usa e Israele: infatti, come volevasi dimostrare.

Ho sintetizzato questioni che meritano analisi più approfondite, ma ora discutere di chi sia la responsabilità maggiore in questa guerra non è più il punto: l’urgenza assoluta è come arrivare a un immediato cessate il fuoco e quindi a trattative di pace, che possono richiedere tempi lunghi, ma l’essenziale è che intanto si fermi la guerra, questa ennesima “inutile strage”.

Su questo personalmente non ho mai avuto dubbi su ciò che debba fare l’Italia: inviare armi significa alimentare una guerra infinita o peggio una guerra totale che può porre fine all’umanità o perlomeno alla civiltà europea.

Chi crede nella nonviolenza attiva sa che si può resistere in mille modi a un’invasione; questo non garantisce la vittoria immediata sul campo, ma neppure la difesa armata dà la certezza del successo. Si risparmiano però vite umane, centinaia di migliaia di giovani vite umane… e scusate se è poco.

Cessiamo il fuoco.
Subito.