1. Come era facile prevedere, la mancata convalida di quasi tutti i trattenimenti amministrativi disposti dal questore di Agrigento nei confronti di richiedenti asilo trasferiti nei giorni scorsi da Lampedusa nel centro di Porto Empedocle, provenienti da paesi terzi ritenuti “sicuri”, come nel caso della Tunisia, ha ridato spazio alla propaganda di destra per attaccare i giudici che non si allineano con l’indirizzo politico del governo, e applicano il Decreto Cutro (legge n.50 del 2023) tenendo conto dei limiti imposti dalla Costituzione e dalle norme di diritto sovranazionale, a garanzia dei diritti fondamentali di libertà e di difesa, che spettano a qualunque persona, quale che sia il paese di provenienza o la condizione giuridica nella quale si trova in frontiera ( in questo senso già nel 2001, si era pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n.105/2001).

Secondo Libero ,«I giudici scarcerano 5 irregolari in un solo giorno “Misura sproporzionata” scoppia il caso». Dopo le menzogne sui processi penali contro le ONG e sulla sospensione dei fermi amministrativi imposti alle navi umanitarie ,con il Giornale, riparte un ventata di fango contro i “giudici che boicottano i rimpatri dei clandestini tunisini”, malgrado una sentenza della Cassazione definisca come discriminatorio l’uso improprio del termine “clandestini”, peraltro del tutto fuorviante nel caso di richiedenti asilo, sia pure trattenuti in frontiera nel corso dell’esame della loro richiesta di protezione, con quella procedura accelerata che di fatto è stata generalizzata con il decreto Cutro per tutti coloro che provengono da paesi di origine ritenuti “sicuri”.

Il Tempo titola “Due nuovi “casi Apostolico” i giudici liberano i clandestini”, per l’articolista, “Eppure la legge c’è e, infatti il primo dei sei tunisini ha visto la convalida del suo fermo, non si capisce perché tutta questa discrezionalità dei giudici nell’applicare la norma”. Per La Verità invece, “I fermi degli sbarcati non convalidati giudici ancora contro il decreto Cutro”,ma neppure una spiegazione per un titolo tanto roboante in un pezzo tutto incentrato sul consueto attacco ai soccorsi umanitari, rilanciato dopo le parole del Papa che all’udienza generale di mercoledì 28 agosto ha dichiarato che “quello che uccide i migranti è la nostra indifferenza e quell’atteggiamento di scartare”. Il linguaggio dello scarto, nei confronti dei migranti, e non solo dei richiedenti asilo, è ormai dominante nella narrazione collettiva, e qualcuno, dopo che recenti provvedimenti di legge ne hanno subito l’influsso, come nel caso del cd decreto Cutro, vorrebbe anche che penetri nelle aule di giustizia.

Non sono i giudici “contro” il Decreto Cutro (legge n.50 del 2023), ma sono le previsioni del decreto, e le conseguenti prassi applicate da questori e prefetti su indirizzo del ministero dell’interno, in particolare nei rari tentativi di detenzione amministrativa dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, che evidenziano ogni giorno di più un insanabile contrasto con i principi fondamentali della nostra Costituzione e con le vigenti Direttive europee in materia di accoglienza e di procedure per le richieste di asilo. I giudici sono soggetti alla legge e non certo al governo o alla “volontà popolare” che questo pretende di rappresentare. In base all’art.101 della Costituzione, “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.” e non della maggioranza di governo che risulta vincente ad una tornata elettorale.

I giudici palermitani, a parte il primo caso di convalida, ancora oggetto peraltro di ricorso, che per le caratteristiche della situazione del richiedente asilo tunisino non poteva certo costituire un precedente, hanno fornito una interpretazione della normativa vigente costituzionalmente orientata e coerente con le Direttive europee che non prevedono il trattenimento automatico e generalizzato di tutti i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi ritenuti sicuri.

 

2. Quanto deciso adesso dal Tribunale di Palermo appare coerente con le decisioni dei giudici Cupri ed Apostolico che lo scorso anno si rifiutarono di convalidare i decreti di trattenimento adottati dal questore di Ragusa nei confronti di alcuni richiedenti asilo tunisini internati in una sezione chiusa del centro Hotspot di Pozzallo/Modica. Non ricorre comunque alcun contrasto tra tutte le decisioni adottate dal Tribunale di Palermo in ordine alla convalida del trattenimento di richiedenti asilo provenienti da “paesi di origine sicuri” nel centro di Porto Empedocle.

Per il giudice Guarnotta, che ha convalidato il primo provvedimento di trattenimento adottato dal questore di Agrigento: “Nel provvedimento si legge che il cittadino tunisino è stato ‘fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli alla frontiera di Lampedusa e Linosa in data 19.08.2024’ e che inoltre ‘ha presentato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale in data 20/08/2024 direttamente alla frontiera di Porto Empedocle  ed è ‘proveniente da un Paese designato come sicuro dal decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri della giustizia e dell’internò”. E ancora: “Il richiedente ha dichiarato di essere approdato, lo scorso lunedì 19 agosto, di mattina, a Lampedusa su una barca con altre quattro persone, di essersi tuffato ‘per primo dalla barca a una distanza di circa 100 metri dalla riva, di avere nuotato sino alla riva e di essersi nascosto; di non sapere cosa abbiano fatto le altre persone; di avere provato a lasciare l’isola senza essere rintracciato e, non essendoci riuscito, di essersi recato in un hotel per chiedere informazioni su come allontanarsi dall’isola senza essere ritrovato, sennonché a quel punto il personale dell’hotel ha chiamato i carabinieri”. Per il giudice Guarnotta dunque, “le circostanze del caso concreto inducono a ritenere che l’unica misura necessaria a garantire lo scopo normativo previsto, ovverosia accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato durante lo svolgimento della procedura in frontiera, fosse quella del trattenimento, dato che il richiedente, per facta concludentia, ossia tentando di allontanarsi da Lampedusa senza essere individuato, ha già manifestato l’intenzione di rendersi irreperibile e dunque di vanificare il suddetto scopo”. Per questi motivi “alla luce delle considerazioni si qui svolte, il provvedimento di trattenimento deve essere convalidato”. Sono dunque “le circostanze del caso concreto”, rappresentate dal questore di Agrigento, e in particolare il presunto rischio di fuga, per quanto opinabili e oggetto di ricorso, che stanno alla base del provvedimento di convalida, e non certo un preteso automatismo del trattenimento amministrativo in vista del rimpatrio forzato, come si vorrebbe fare intendere all’opinione pubblica. La decisione di questo giudice non costituisce dunque un “precedente” che avrebbe imposto in occasione di altri giudizi di convalida un obbligo di conformarsi.

Per gli altri giudici palermitani, che invece non hanno convalidato i decreti di trattenimento adottati dal questore di Agrigento, assumono lo stesso rilievo le “circostanze del caso concreto”: non c’e un obbligo automatico di convalida da parte del Tribunale, ma in base al Decreto Cutro, ed in base alle Direttive europee in materia ricorre soltanto “la facoltà di disporre il trattenimento” che “rappresenta l’esercizio di un potere discrezionale, che va giustificato ed argomentato, anche in considerazione della circostanza che la misura incide sulla libertà personale dell’individuo”. Questa motivazione, che risulta alla base dei provvedimenti che non convalidano il trattenimento amministrativo, “è in linea con i principi della direttiva europea e della giurisprudenza della Corte di Giustizia (…) secondo cui il trattenimento va disposto “soltanto nelle circostanze eccezionali”, ”in base ai principi di necessità e proporzionalità”, “come ultima risorsa”, “sulla base di una valutazione caso per caso”, “sempre che non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive”.

Secondo il provvedimento della dott.ssa Bruno del Tribunale di Palermo, “La motivazione del provvedimento di trattenimento appare carente, non essendovi alcun riferimento alla situazione individuale del richiedente protezione internazionale; ritenuto in definitiva che nel caso in esame il provvedimento di trattenimento non risulta adeguatamente motivato con riferimento alla necessità di disporre il trattenimento quale unica misura necessaria a garantire lo scopo normativo previsto dall’art. 6 bis del d. lgs. 142/2015, ossia accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato durante lo svolgimento della procedura in frontiera, e ciò anche in considerazione del contegno tenuto dal richiedente al momento in cui è stato fermato, del fatto che il medesimo ha dichiarato di volersi avvalere della garanzia finanziaria e della circostanza che non risultano neanche decorsi i termini previsti dalla legge per poterla prestare; ritenuto, pertanto, alla luce delle superiori considerazioni, che il provvedimento di trattenimento non può essere convalidato”.

Nel provvedimento della dott.ssa Marino, che non convalida la misura del trattenimento amministrativo disposta dal questore di Agrigento, si legge che “il Tribunale sottolinea che l’obbligo di tenere conto di altre misure alternative al trattenimento è un dovere che va esercitato dall’autorità amministrativa sulla base di una valutazione caso per caso”. “Alla luce di tali argomentazioni, il provvedimento emesso dal Questore di Agrigento non può essere convalidato, in assenza della dovuta motivazione sulla necessità del trattenimento, sulla sua proporzionalità e sull’impossibilità di fare efficace ricorso alle altre misure alternative, di tipo non coercitivo”.

Gli orientamenti del Tribunale di Palermo contrari alla convalida dei trattenimenti amministrativi nel centro di Porto Empedocle sono coerenti con gli indirizzi affermati in materia dalla Corte di Cassazione.

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Propaganda al veleno contro i giudici sui trattenimenti amministrativi dei richiedenti asilo: a rischio lo Stato di diritto