>  MERIDIOGLOCALNEWS  – RASSEGNA  SULLE SOGGETTIV₳ZIONI METICCE  <

 

C’è un caso anche al CPR di Porto Empedocle. Il Tribunale di Palermo ha disposto la liberazione di cinque dei sei migranti tunisini detenuti nel nuovo centro siciliano: era successa una cosa simile a Pozzallo lo scorso anno

Prima del caso del CPR di Porto Empedocle, nel settembre dello scorso anno nel CPR di Pozzallo erano stati trattenuti quattro migranti arrivati via mare a Lampedusa, che però erano stati liberati dopo pochi giorni in seguito a un’ordinanza della giudice di Catania Iolanda Apostolico. Anche quel caso riguardava alcuni uomini tunisini, i cui avvocati avevano fatto ricorso contro il provvedimento di detenzione. La giudice Apostolico aveva dato ragione agli avvocati ritenendo il “decreto Cutro” illegittimo in alcune sue parti

Il 14 agosto a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, aveva aperto un Centro di permanenza per i rimpatri (spesso chiamati con la sigla CPR) per migranti irregolari, in cui vengono messe in detenzione amministrativa le persone migranti a cui non viene riconosciuto il diritto di restare in Italia, a cui è stata respinta la richiesta di protezione internazionale, o che provengono da paesi ritenuti “sicuri”. Come ha raccontato il Manifesto in diversi articoli, però, meno di due settimane dopo l’apertura la situazione nel CPR è già molto confusa: fino a oggi nel centro erano stati trattenuti sei uomini tunisini, ma martedì il tribunale di Palermo, che è competente per la convalida o meno dei provvedimenti riguardanti i migranti che si trovano a Porto Empedocle, ha stabilito che cinque di loro devono essere liberati. L’apertura del CPR era stata decisa piuttosto in fretta dal ministero dell’Interno a fine luglio, anche perché nel frattempo la realizzazione dei centri per migranti che l’Italia sta costruendo da mesi in Albania è ancora molto indietro. Il centro è vicino all’hotspot già operativo da inizio anno, il centro di prima accoglienza per migranti, che ha una capienza massima di 280 persone. Il CPR può invece ospitarne 70. Nello specifico nei CPR come questo di Porto Empedocle si svolgono le procedure accelerate per i rimpatri delle persone migranti che provengono da paesi cosiddetti “sicuri” (sulla base del “decreto Cutro” approvato dal governo di Giorgia Meloni a seguito del grave naufragio di migranti avvenuto al largo delle coste di Steccato di Cutro, in Calabria, nel febbraio del 2023). La lista di questi paesi (22 in tutto) è da tempo dibattuta e criticata perché comprende paesi come la Tunisia, dove il governo autoritario di Kais Saied promuove una sistematica campagna di discriminazione contro le persone che provengono dall’Africa subsahariana,o la Nigeria, dove diverse zone ancora oggi sono controllate dal gruppo terroristico Boko Haram.

estratto da ilpost

 

Italia a 3 punti dall’obiettivo del 33% sugli asili nido con i bambini. Nel 2022 sono saliti a 30 i posti in asili nido e servizi prima infanzia ogni 100 bambini residenti in Italia. Un aumento in parte dovuto alla crescita dei posti, in parte al calo delle nascite. Restano divari territoriali su cui intervenire

Openpolis ha approfondito come l’avvicinamento agli obiettivi europei sia dovuto a due fattori: da un lato si registra un incremento dell’offerta di posti autorizzati tra 2021 e 2022; dall’altro incide molto anche il calo della domanda potenziale legata al crollo delle nascite in corso da diversi anni. Restano – rivela il rapporto –ampi i divari territoriali, tanto tra città e aree interne, quanto tra gli stessi capoluoghi

L’aspetto che però non va trascurato è il fatto che l’avvicinamento agli obiettivi europei è l’esito di due fattori concomitanti. In primo luogo, si registra un’effettiva crescita dell’offerta tra pre e post-pandemia. Nel 2019 i posti autorizzati erano 361mila, calati a 350mila unità nel biennio 2020-21. Nel 2022 l’offerta sale a 366mila posti, il dato più alto della serie storica: +4,5% rispetto al 2021, +1,5% rispetto al periodo pre-pandemia. Ma la crescita dal rapporto posti-bambini nell’intero periodo si spiega anche con il calo dell’utenza potenziale. Agli inizi della serie storica, nel 2013-14, i residenti con meno di 3 anni in Italia erano circa 1,6 milioni. Già prima della pandemia erano scesi sotto la soglia degli 1,4 milioni. Nel 2022 sono diventati poco più di 1,2 milioni: un calo del 9% rispetto al 2019 e addirittura del 24% rispetto al 2013. Le maggiori regioni del mezzogiorno, che pure in questi anni hanno visto un incremento importante rispetto all’offerta da cui partivano, continuano a collocarsi agli ultimi posti della classifica. In particolare Calabria, con 15,7 posti ogni 100 bambini, Sicilia e Campania, con un rapporto rispettivamente del 13,9% e del 13,2%. La Puglia ha superato la soglia psicologica del 20%, così come si attestano tra 20 e 30% altre regioni del sud continentale: Basilicata, Molise e Abruzzo. Con 35,2 posti ogni 100 bambini, la Sardegna nel 2022 si colloca invece in linea con le altre regioni del centro-nord. Restano i due divari: nord-sud e città-aree interne. In passato, abbiamo avuto modo di raccontare come sull’offerta di asili nido e servizi prima infanzia vi siano due fratture nel paese. La prima, facilmente riconoscibile a partire dai dati regionali, è quella tra centro-nord e mezzogiorno. La seconda, per cui occorre approfondire in chiave almeno comunale il dato, è quella tra le città maggiori e le aree interne.

Consulta il rapporto integrale su: openpolis

 

Braccianti, nel dolore della separazione. Dall’intervista del Manifesto con Stefania Prandi, autrice di «Le madri lontane»: un volume sulla condizione delle donne bracciantili nei campi italiani, in particolare rumene e bulgare

Reportage narrativo legato a una mostra fotografica che il 6 settembre aprirà a Modena nell’ambito di «Scomode. Festival delle Donne contro la Violenza – 6/8 settembre): «L’esportazione di manodopera dalla Romania, così come dalla Bulgaria, credo sia dovuta soprattutto alla disparità economica all’interno dell’Europa. Non per tutte il progetto migratorio funziona come sperato. Se si finisce nella rete di caporali oppure di «padroni» che hanno come obiettivo lo sfruttamento dei corpi delle donne»

Da anni seguo con interesse – dice Stefania Prandi – i dibattiti occidentali sulla maternità, il senso di colpa che viene instillato alle donne che fanno figli oppure che preferiscono restarne senza, la fatica della conciliazione concepita quasi sempre al femminile, la missione della cura materna che prevede abnegazione e sacrificio. Mi sembrava che ci fosse un tassello del discorso meno indagato, quello delle maternità delle migranti, alle quali non solo non si richiedono le stesse performance delle madri italiane, ma che non vengono nemmeno considerate davvero madri. Se fossimo capaci di un minimo di empatia e fossimo capaci di osservare, o anche solo intuire, la loro lacerazione emotiva quotidiana, che avviene nel silenzio e nella vergogna di avere abbandonato i propri figli, ci metteremmo a urlare per l’orrore. Nel mio percorso da giornalista e fotografa mi sono occupata e mi occupo di sfruttamento, occultamento e annullamento dei corpi delle donne e questo, delle madri lontane, è semplicemente un altro aspetto. Siccome sono donne parte integrante della nostra società, anche se costrette ai margini, e sono inserite appieno nel sistema di produzione del cibo che mettiamo in tavola, che compriamo nei mercati e nei supermercati, dovremmo interessarci a loro. Le loro vite ci riguardano da vicino non solo quando vengono sfruttate in maniera eclatante. Per il libro, che è legato anche a una mostra fotografica itinerante che il 6 settembre verrà allestita alla Casa delle donne di Modena  avevo pensato a un altro titolo, inizialmente, da una frase che mi aveva detto una bracciante: il cuore che resta. Questa donna mi aveva detto: noi partiamo, ma il nostro cuore resta per sempre lì, dove rimangono i nostri figli.  L’autrice fa rilevare come le storie di separazione si intrecciano con le condizioni vessatorie, di salute e di dolore. L’emigrazione ha un costo alto. Significa lasciarsi alle spalle la vita precedente e ricominciare daccapo, in luoghi di cui spesso non si conoscono le dinamiche, ma nemmeno la lingua. La quotidianità si orienta sulla sopravvivenza legata al lavoro: più si riesce a lavorare, più si guadagna e più soldi si riescono a inviare alla propria famiglia. Il progetto migratorio di queste donne non prevede il prendersi cura di sé e non contempla l’idea di attutire le conseguenze del dolore dello strappo dai figli. Si pensa al presente, spesso ignorando sintomi del disagio psicologico e fisico. A lungo andare questo modo di vivere ha un impatto che si manifesta con malattie scoperte troppo tardi, ad esempio, che se fossero state prese in tempo sarebbero state meno invalidanti oppure non sarebbero diventate mortali.

leggi l’intervista integrale di Alessandra Pigliaru su: ilmanifesto

 

Protocollo d’Intesa per la promozione dell’agroecologia e dell’agroforestazione: supporto alla ricerca partecipativa; formazione, sensibilizzazione ed educazione; promozione di progetti pilota; studi e ricerche per lo sviluppo

Il 26 agosto 2024 è stato siglato il protocollo d’intesa tra l’Associazione Italiana AgroForestazione (AIAF), l’Associazione Italiana di Agroecologia (AIDA) ed il Coordinamento Agroecologia Sicilia (CAS)


Il Protocollo stabilisce i termini della collaborazione tra AIAF, AIDA e CAS per la promozione dell’agroecologia e dell’agroforestazione, attraverso iniziative congiunte di formazione, sensibilizzazione, comunicazione, promozione, progettazione, studio e sviluppo di definizioni per le aziende ed il territorio agroecologico. Col suddetto Protocollo le tre organizzazioni si impegnano a collaborare alla tutela, recupero, mantenimento e/o innovazione degli agroecosistemi e dei paesaggi agroforestali, nei seguenti ambiti
1. Supporto alla ricerca partecipativa: attraverso lo sviluppo di progetti di ricerca ed innovazione congiunti, per studiare e migliorare le pratiche agroecologiche e agroforestali, anche ai fini del contrasto dei processi di desertificazione.
2. Formazione ed educazione alla cittadinanza e alle istituzioni: attraverso l’organizzazione di corsi, seminari, pubblicazioni, workshop e altre attività formative e di trasferimento dell’innovazione per agricoltori, tecnici, studenti, cittadini interessati, amministrazioni pubbliche.
3. Sensibilizzazione: attraverso l’organizzazione di eventi a livello locale, nazionale e internazionale; campagne di sensibilizzazione e comunicazione per promuovere la conoscenza e l’adozione di pratiche sostenibili presso la cittadinanza, le istituzioni e i portatori di interesse.
4. Promozione di progetti pilota e iniziative pratiche per dimostrare l’efficacia delle pratiche agroecologiche e agroforestali, anche ai fini del contrasto dei processi di desertificazione.
5. Studio e sviluppo di definizioni per aziende e territori agroecologici e di linee guida per l’agroecologia che verranno sviluppate attraverso un processo UNI.
6. Supporto allo sviluppo e alle necessarie attività di accompagnamento per promuovere leggi e norme nazionali e/o regionali di agroecologia che siano coerenti fra di loro.
Si tratta di un importante accordo che consentirà alle tre organizzazioni di lavorare congiuntamente ed in sinergia, sia a livello tecnico che normativo e legislativo per il raggiungimento degli obiettivi dell’agroecologia e dell’agroforestazione.

per approfondimenti vai al sito:  coordinamentoagroecologia.org
COMMENTI \ INCHIESTE \ REPORTI \ CONFLITTI \ ALTERMERIDIONALISMO