Il 14 agosto 2024, presso la Riverside Church di Manhattan, il sacerdote palestinese di Betlemme, Rev. Dr. Munther Isaac, ha pronunciato un potente discorso sul silenzio delle chiese americane e sull’influenza del sionismo cristiano. Un video dell’evento è disponibile qui.

Due cose mi hanno colpito. In primo luogo, quando mi sono registrato al desk della stampa, il direttore delle comunicazioni della Riverside Church mi ha detto che Pressenza sarebbe stato l’unico organo di informazione a coprire l’evento. (Ho poi scoperto che era presente anche Al Jazeera.)

La seconda sorpresa è stata l’affluenza: la chiesa era quasi piena, con una capacità di 2.100 persone. Gli organizzatori hanno attribuito il merito di una simile partecipazione all’intervista rilasciata quella stessa mattina dal reverendo Dr. Isaac a Democracy Now. Potete vedere l’intervista qui.

Ciò ha messo in luce una realtà inquietante: il mainstream americano rimane indifferente alla situazione della Palestina, mentre gli sforzi compiuti dalle persone di buona volontà in tutto il mondo non hanno ancora portato ad alcun cambiamento significativo. Come attivisti per la pace, dobbiamo domandarci: stiamo solo cercando di soddisfare le nostre coscienze?

Urge trovare una strategia diversa. Potremmo imparare da ciò che è accaduto recentemente in Bangladesh. A partire dal 3 agosto, nell’arco di una settimana, gli studenti sono riusciti a destituire il più duraturo primo ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina. Sono riusciti a paralizzare l’intero paese, comprese le fabbriche di abbigliamento per l’esportazione, un’industria che vale 31,46 miliardi di dollari.

Dobbiamo trarre ispirazione da questo genere di attivismo. Non si tratta più solo di protestare o di chiedere il cessate il fuoco. Dobbiamo puntare a fermare il sistema – impedire la riapertura delle scuole, fermare i trasporti, le banche, il mercato azionario, la spedizione di armi, internet, gli spettacoli, gli aeroporti.

Senza gli interventi degli Stati Uniti, di Wall Street e di Londra, forse non ci sarebbe la guerra in Ucraina e in Russia, né il genocidio in Palestina, o l’imminente conflitto con la Cina e l’Iran, le sanzioni al Venezuela, a Cuba e ad altri paesi, per non dire della grave minaccia di un conflitto nucleare che potrebbe distruggere il mondo così come lo conosciamo. Queste ‘potenze’ considerano prioritaria la guerra per non affrontare il cambiamento climatico e il degrado ambientale, lasciando milioni di persone a rischio immediato di inondazioni, incendi, inquinamento, tornado, uragani e di sicurezza alimentare e abitativa.

Dobbiamo chiudere New York City, Londra e Washington DC

Dobbiamo coordinare azioni concentrate di nonviolenza con una chiara strategia, spingendo il sistema sull’orlo del baratro, costringendolo a rivelarsi in tutta la sua violenza e propensione all’errore – proprio come è successo in Bangladesh qualche settimana fa -, e, affinché una rivoluzione abbia successo, le forze di sicurezza e le élite politiche devono essere messe fuori gioco.

Basta con la diplomazia. Basta chiedere favori: non siamo più schiavi costretti a mendicare ai nostri padroni. Non si tratta di politica, di sinistra contro destra, di democratici contro repubblicani. Si tratta di porre fine alle guerre, ai genocidi, alle armi nucleari, al colonialismo e all’1% contro il 99%. Non stiamo parlando di come vincere le elezioni americane di novembre, ma di un movimento ben più vasto.

Dobbiamo imparare dal movimento Satyagraha di Gandhi in India, da Nelson Mandela e Desmond Tutu in Sudafrica, da Martin Luther King Jr. e dal movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, dalla primavera araba in Tunisia e ora dal movimento studentesco in Bangladesh. Di proteste e azioni di disturbo ne avvengono ogni giorno; dobbiamo solo sincronizzare il potere della nonviolenza verso un obiettivo chiaro a cui tutti possano contribuire.

Dobbiamo umanizzare la gente e chiudere con questo sistema.

Traduzione dall’inglese di Daniela Bezzi. Revisione di Maria Sartori.