Oggi più che mai, dopo la negazione della libertà vigilata a luglio 2024, Leonard Peltier non può più rimanere in carcere. Ripercorriamo la sua storia e la vicenda giudiziaria con Naila Clerici, ex-docente di Storia delle Popolazioni Indigene d’America presso l’Università di Genova. Dopo la laurea in lingue all’Università di Genova ha studiato alla University of Oklahoma, ha condotto numerose ricerche relative ai nativi americani, sia degli Stati Uniti che del Canada, legati in particolare alle tematiche dell’integrazione culturale e dell’educazione. Ha curato allestimenti di mostre di carattere etnografico. Dal 1984 dirige la rivista “Tepee”, interamente dedicata agli Indiani d’America e cura le attività culturali dell’Associazione Soconas Incomindios.

Perché Leonard Peltier è ancora in carcere?

“Non riesco a dare una risposta”, ha detto Kevin Sharp, che è l’avvocato pro bono di Peltier. “Questo caso è così pieno di vizi… tutto ciò non potrebbe accadere mai oggi: hanno nascosto prove balistiche che dimostravano che non era stata l’arma di Leonard a uccidere i due agenti. Per lo meno, ci vorrebbe un altro processo… Non avrebbero nemmeno ottenuto un’incriminazione perché non avevano prove, tranne che per tre ragazzini che furono spinti a testimoniare di averlo visto e che poi ritrattarono dicendo che erano stati minacciati”. C’era un memorandum interno dell’FBI, ottenuto tramite una richiesta del Freedom of Information Act, che suggeriva agli avvocati del governo di impiegare tutte le loro risorse per condannare Peltier.

Allora perché Peltier è ancora in prigione, nonostante tutte le prove schiaccianti riguardo la sua ingiusta condanna?”. “Politica”, ha detto Sharp. “Per ottenere clemenza, devi coinvolgere l’FBI. Hanno un conflitto intrinseco. Devi coinvolgere l’Ufficio del procuratore degli Stati Uniti. Hanno mentito per farlo finire in prigione. Non diranno: ‘Oops, scusa’”. L’FBI e i suoi attuali ed ex agenti contestano le affermazioni di innocenza. Mike Clark, presidente della Società degli ex agenti speciali dell’FBI, ha scritto una lettera sostenendo che Peltier dovrebbe rimanere incarcerato e ha descritto la decisione come “una grande notizia”: “Quegli agenti potrebbero essere qualsiasi persona con cui ho lavorato per 23 anni: erano a terra, erano feriti, erano indifesi e lui ha sparato loro a bruciapelo. È un crimine atroce”.

Peltier si può definire un prigioniero politico?

Amnesty International lo ha dichiarato prigioniero politico e da anni il Leonard Peltier Defense Commitee si batte per la sua innocenza, sostenuto da voci autorevoli da tutto il mondo; anche molte realtà italiane come il Centro di ricerca per la pace di Viterbo, il Comitato di solidarietà con Leonard Peltier di Milano, e SOCONAS INCOMINDIOS, che hanno continuato a scrivere petizioni e a organizzare eventi per non far cadere nell’oblio il suo caso.

Peltier è il principale capro espiatorio di quello che avvenne negli anni 1970, in cui gli indigeni (ma anche i neri) protestarono in modo forte contro la politica federale statunitensi (legata in molti casi a interessi di imprese nazionali e multinazionali) che continuava una tradizione di soprusi e mancato rispetto dei trattati vecchi di secoli. In quegli anni si svolse una vera e propria guerra civile non dichiarata, per cui quelli che avvennero dovrebbero essere considerati crimini di guerra, attuati da entrambe le parti. L’FBI voleva un colpevole per i due agenti uccisi e l’ha ottenuto.

All’epoca, colpire un esponente politico dell’American Indian Movement (AIM), serviva per colpire tutte le istanze politiche degli indigeni nordamericani e il loro stesso attivismo. Cosa rappresenta oggi la prigionia di Leonard Peltier per i nativi?

“Questo è un triste giorno per i popoli indigeni e per il valore dato alla giustizia ovunque nel mondo”, ha affermato Nick Tilsen, Oglala Lakota, fondatore di NDN Collective in un’intervista a ICT e Rapid City Journal. “Il modo in cui Leonard Peltier è stato trattato quando era ricercato e poi incarcerato è simile a quello in cui sono stati trattati i popoli indigeni nel corso dei secoli e ancora oggi”. Nick Tilsen è stato anche l’unica persona autorizzata a testimoniare all’udienza per la libertà vigilata di Leonard Peltier del 10 giugno 2024: “Di fronte al governo federale, ho potuto affermare che Leonard è riconosciuto a livello mondiale come un prigioniero politico che combatte contro i sistemi ingiusti che opprimono il nostro popolo. Ho potuto guardarlo negli occhi e dirgli che i suoi sacrifici non sono stati vani. Che abbiamo continuato a combattere per proteggere le nostre terre, che pratichiamo apertamente le nostre cerimonie e siamo un popolo orgoglioso”.

Teniamo però conto che non tutti i nativi sono attivisti e fanno parte di gruppi come NDN o AIM.

Perché il caso di Peltier non indigna le democrazie liberali occidentali? Perché il caso del “Mandela dei popoli indigeni” non ha mai avuto clamore mediatico – nonostante i 48 anni di carcere – e fatica anche a raggiungerlo, come nel caso di Assange?

Il caso Peltier riguarda uno dei Paesi più potenti del mondo. In ambito economico le democrazie liberali occidentali sono ancora enormemente e inestricabilmente dipendenti dall’andamento degli Stati Uniti, piuttosto che da Paesi come Cina e India. Gli USA inoltre sono i manovratori della NATO, l’alleanza militare più importante per le democrazie liberali occidentali. Pertanto, se risulta ‘semplice’ condannare azioni di mancato rispetto dei diritti umani, di processi farsa, di incarcerazioni politiche perpetrate da alcune potenze, risulta molto meno agevole comportarsi allo stesso modo nei confronti degli Stati Uniti.

L’influenza a livello politico, economico e culturale che subisce ancora il democratico e liberale Occidente nei confronti degli Stati Uniti d’America è ben evidente non solo per il caso Peltier, ma anche per la vicenda Assange, la famigerata Guantanamo, la mancata adesione alla Corte Penale Internazionale, e molte altre questioni.

In qualche modo la prigionia di Peltier rappresenta la vera condizione socio-politica dei nativi nordamericani: discriminazione, esclusione, confinamento (nelle “riserve”) e razzismo istituzionali e strutturali?

La condizione socio-politica dei nativi americani è molto varia: ci sono casi di discriminazione, esclusione e razzismo e casi in cui le culture native sono valorizzate e rispettate e le persone, pur mantenendo i loro valori culturali, sono integrate nella società dominante. Gli indiani non sono confinati nelle riserve, anzi considerano le riserve la loro unica base territoriale rimasta, dove possono controllare le loro risorse e gestire la politica locale. Come ovunque, non in tutte le riserve le cose funzionano al meglio e ci sono casi di corruzione e nepotismo.

Peltier dovrebbe portarci a pensare a tutti gli indiani in prigione, anche per reati minori, che subiscono violenze non giustificate da parte della polizia, alle donne native che invece di ricorrere agli agenti per protezione li temono, ai casi di persone uccise invece di essere semplicemente arrestate.

Scriveva il regista Michael Moore nel 2022: “Il modo in cui attuiamo l’incarcerazione di massa negli Stati Uniti è abominevole. E Leonard Peltier non è l’unico prigioniero politico che abbiamo rinchiuso. Abbiamo milioni di persone nere, di colore e povere in prigione o in libertà vigilata, in gran parte perché sono nere, di colore e povere. QUESTO è un atto politico da parte nostra. I criminali aziendali e Trump corrono liberi: ci dobbiamo occupare del danno che hanno causato a così tanti americani e a persone in tutto il mondo”.

Cosa possiamo fare per dare visibilità a questo caso di ingiustizia e repressione?

Leggiamo su ICT che in seguito al rifiuto della U.S. Parole Commission dell’ultima richiesta di libertà condizionale di Leonard Peltier, i sostenitori auspicano la clemenza; gli avvocati pensano a un processo d’appello e hanno definito la decisione palesemente incostituzionale, paragonabile a una sentenza di morte in carcere. Peltier è prigioniero in base alla “vecchia legge”, mentre le persone incarcerate dopo il 1987 possono appellarsi alla U.S. Parole Commission. Nel 2026 Peltier avrà di nuovo diritto a far domanda per la libertà vigilata e nel 2039, quando avrà 95 anni, si potrà richiedere una riconsiderazione generale del suo caso.

Oggi, come cittadinanza attiva per porre fine a questo caso di ingiustizia, possiamo insistere mandando lettere al Presidente Biden chiedendo l’executive clemency, insieme all’International Leonard Peltier Defense Committee, ad Amnesty International, l’AIM, NDN Collective e le organizzazioni italiane come il Comitato di solidarietà con Leonard Peltier di Milano e il Centro per la Pace di Viterbo.

Scrive il regista Michael Moore: “Anche James Reynolds, uno dei principali procuratori federali che mandò Peltier all’ergastolo nel 1977, ha scritto al presidente Biden e ha confessato il suo ruolo nelle bugie, nell’inganno, nel razzismo e nelle false prove che insieme hanno portato a imprigionare nel nostro Paese il più noto leader dei diritti civili dei nativi americani”.

Tilsen del NDN Collective ha affermato: “In questo momento, anche se è un momento triste, dobbiamo rialzarci. Non c’è futuro della democrazia senza gli indigeni”.

Per un’analisi dei fatti e dei ruoli delle parti suggeriamo la lettura della rivista Tepee e i video su YouTube dell’associazione SOCONAS INCOMINDIOS.