Pubblicati gli atti del convegno organizzato a Kiev dal Movimento Europeo di Azione Nonviolenta
Mentre ancora infuria la guerra, la società civile ucraina fa sentire la sua voce per mettere in atto azioni di rigenerazione sociale, economica ed istituzionale che saranno indispensabili quando le armi taceranno. Tra queste l’avvio di alcuni progetti pilota di terapia comunitaria dei traumi di guerra, il proseguo di circoli di dialogo interreligioso e perfino un progetto pilota di giustizia riparativa da sperimentare in uno dei territori liberati dall’invasione russa sul modello della Commissione Verità e Riconciliazione (Cvr) che operò in Sudafrica al termine dell’apartheid.
Questo programma è sintetizzato negli atti del seminario di lavoro organizzato dal Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (Mean) che si è svolto a Kiev il 12 luglio, a pochi giorni dal bombardamento russo sulla città, che ha devastato tra gli altri l’ospedale pediatrico Okhmatdyt.
Al seminario hanno partecipato attivisti del Mean ed esponenti di rilievo delle istituzioni religiose, civili e dell’associazionismo ucraino. Presenti tra gli altri Vadim Halaichuk, co-presidente della commissione del Parlamento ucraino per l’associazione con il Parlamento europeo, e Sergii Chernov, presidente dell’Associazione ucraina dei consigli distrettuali e regionali. Un ruolo di primo piano nei lavori lo ha svolto il Nunzio della Santa Sede, mons. Visvaldas Kulbokas. La giornata è stata coordinata da Marianella Sclavi, che si definisce “esperta di arte di ascoltare”, portavoce del Mean.
Si è trattato di un dialogo serrato articolato in cinque tavoli di lavoro, che hanno approfondito la natura dei Corpi civili di pace (Ccp), la cui istituzione da parte dell’Unione europea è l’obiettivo principale del Mean. «Conoscevamo la vitalità della società civile ucraina –commenta Marianella Sclavi– ma durante il seminario ci siamo stupiti per il bisogno espresso dai partner locali di progetti che partano dal basso e che permettano di rafforzare il tessuto sociale al fine di sostenere percorsi di autentica democrazia e di pace».
La missione dei Ccp, a differenza di quelle più specialistiche tipiche di altre organizzazioni di intervento nelle zone di crisi, ha come scopo fondamentale quello di creare le condizioni affinché gli abitanti di quei territori possano diventare i protagonisti di un processo di rigenerazione sociale, economica, civile, grazie a metodologie di gestione creativa dei conflitti. «Si tratta di un compito estremamente complesso e delicato – spiega Sclavi– che, pur con la collaborazione di professionisti, è centrato sulla presenza e iniziativa di esponenti della società civile garanti dell’ascolto della popolazione locale». Rientrano nelle loro competenze l’arbitrato, la mediazione, la distribuzione di informazioni non di parte, la de-traumatizzazione e la costruzione della fiducia tra le parti, l’aiuto umanitario, la reintegrazione, la riabilitazione, la ricostruzione, l’istruzione, il monitoraggio e il miglioramento della situazione dei diritti umani.
Nel seminario di Kiev, fra le iniziative di notevole delicatezza sia nel merito che dal punto di vista giuridico che prefigurano l’azione futura dei Ccp, ci si è particolarmente soffermati sulla possibilità di istituire anche in Ucraina, una volta terminata la guerra, una Commissione Verità e Riconciliazione (Cvr) come avvenne tra il 1995 e il 1998 in Sudafrica. Sessioni di ascolto delle sole vittime, si legge negli atti, sono già attive in Ucraina ad opera di una molteplicità di organismi, di singoli giornalisti e di esperti nelle scienze sociali e della comunicazione.
Le Cvr sono delle forme di giustizia riparativa che vanno oltre e mettono in ascolto reciproco vittime ed esecutori di violenza, hanno poteri penali e possono essere istituite solo da un governo nazionale. Per tale ragione i delegati ucraini presenti al seminario hanno proposto l’avvio di un progetto pilota in uno dei territori liberati dall’occupazione russa che possa fornire maggiori elementi al Governo ucraino nella decisione di intraprendere la via della giustizia riparativa.
A tale sperimentazione potrebbe essere affiancato un progetto di salute mentale di comunità. L’impatto della guerra è devastante dal punto di vista psicologico e in Ucraina non è ancora chiaro quale sia l’attuazione del programma nazionale del 2017 che prevede la graduale de-istituzionalizzazione dei 60 ospedali psichiatrici esistenti. Nel tavolo di lavoro su tale argomento, vi è stata una «forte intesa tra ucraini ed italiani su una proposta di intervento dal basso, che coinvolga una piccola area in cui far convergere risorse locali (sanitarie, sociali, culturali, pubbliche e di volontariato) ed esterne, che sia poi replicabile in altri contesti».
Si tratta di progetti che potrebbero fornire materiali conoscitivi ad un “Osservatorio plurietnico per la pace”, il cui nucleo di studio si è formato durante il seminario del Mean a Kiev, e che si basa su pratiche di ascolto e di sostegno alla convivenza e solidarietà fra gruppi di ucraini, italiani ed altri europei, con la prospettiva di includere anche russi e bielorussi che sono contrari alla guerra.
Per la realizzazione di tali proposte un ruolo centrale in Ucraina lo hanno le religioni. Il tavolo che ha visto la presenza del Nunzio della Santa Sede, mons. Visvaldas Kulbokas, ha messo in evidenza il lavoro di dialogo che sta svolgendo il Consiglio pan-ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose, nel difficilissimo contesto di una guerra che la parte russa intende come una sorta di crociata. Difficile capire lo spirito di resistenza del popolo ucraino se non se ne conosce l’identità, che «è diversa sia da quella europea che da quella russa -si legge negli atti del seminario di Kiev-, e il Consiglio pan-ucraino delle Chiese sottolinea questa peculiarità, che fa sì che per gli ucraini sia importantissimo poter vivere in modo libero».
Il Consiglio sta svolgendo attività rilevanti: l’assistenza ai cappellani militari, la pastorale dei profughi emigrati dall’Ucraina, la ricostruzione dei luoghi di culto rovinati dall’esercito russo, la catalogazione dei sacerdoti e religiosi di qualunque confessione uccisi in guerra, per i futuri tribunali di denuncia, l’assistenza ai bambini traumatizzati. È stato l’organizzatore della preghiera interconfessionale dell’11 luglio nella piazza di Santa Sofia a Kiev. Si tratta di piccoli passi di collaborazione, che puntano a consolidare ulteriormente i rapporti già esistenti, anche in vista di «un inevitabile confronto con l’ortodossia russa», convinti che «la fratellanza ha un’influenza più forte delle armi».
Il seminario di Kiev è stato anche l’occasione per fare il punto sull’iter di istituzionalizzazione dei Corpi civili di pace da parte dell’Unione europea. A febbraio il Parlamento uscente ha nuovamente invitato il Consiglio europeo ad avviare un progetto per istituire un Corpo Civile di Pace Europeo (Ccpe). Il Mean da Kiev ha voluto sottolineare che «questa richiesta nasce dal cuore di una nazione che ha chiesto l’adesione alla Ue a prezzo della vita di migliaia di suoi cittadini». Il movimento, a cui hanno aderito esponenti del parlamento e del circuito di autonomie locali ucraine, si è impegnato a sottoporre la proposta a Kaja Kallas, l’ex-primo ministro estone, nuovo Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione, e a cercare il sostegno non solo della politica italiana ma anche di quella di altri paesi europei.
Il prossimo appuntamento pubblico del Mean sarà al Meeting di Rimini il 21 agosto, in un incontro al quale interverranno oltre a mons.Visvaldas Kulbokas, Oleksandra Matvijčuk, avvocata ucraina, premio Nobel per la Pace 2022, Angelo Moretti, portavoce del Mean, Lali Liparteliani, dell’Ong ucraina Emmaus, Anastasia Zolotova, direttrice dell’Ong ucraina Emmaus. Introdurrà Riccardo Bonacina, giornalista fondatore della rivista Vita e portavoce del Mean.
Per informazioni: Angelo Moretti, tel.3938875273.