Cosa si intende per “educazione non-dualista”?
La pedagogia non-dualista si basa sull’integrazione di aspetti soggettivi e oggettivi della conoscenza. Questo approccio mira a superare la separazione cartesiana tra mente e corpo, tra individuo e ambiente, e tra conoscenza intellettuale ed esperienza diretta. Praticamente, interroghiamo noi stessi e gli studenti: “E’ reale ciò che stiamo percependo ora? Esiste veramente una realtà là fuori, indipendente dalla mente? Dove esiste il fenomeno percepito? Esiste davvero una separazione tra la materia e la psiche? Può la mente percepire qualcosa che non sia mente? Se rispondiamo affermativamente a quest’ultima domanda, sorge un altro interrogativo: non è anche questa risposta un pensiero prodotto dalla mente?”
Ad esempio, analizziamo la visione. Si insegna che la luce entra nell’occhio portando un’immagine di un fenomeno. L’immagine si trasforma in impulsi nervosi che viaggiano, attraverso il nervo ottico, fino al cervello. Qui, intervengono diverse aree della corteccia. Arrivati a questo punto del processo della percezione, chiediamo agli studenti: “Quale oggetto o persona stai, in realtà, vedendo? Gli studenti meno condizionati rispondono senza esitazione di vedere l’immagine creata dal cervello.
Questa realizzazione segna il punto di svolta della pedagogia non-dualista di Alice. Dimostra la soggettività delle nostre percezioni e il ruolo fondamentale della mente nel creare la realtà.
Gli adulti fanno una fatica tremenda nel riconoscere la soggettività della conoscenza.
Ricordo uno studioso di filosofia americano che partecipò ad una mia conversazione con gli studenti. Quando chiesi dove si trovasse il fenomeno percepito, rispose sicuro: “Certamente è la fuori!”. Gli studenti sorrisero. L’ospite, un po’ piccato, chiese: “Per voi, dunque, dove si troverebbe quella sedia?”. Uno studente rispose: “E’ un’immagine che appare nel mio cervello. Si trova lì, ma il mio cervello mi inganna e la proietta là fuori dove lei ha indicato”.
In sostanza cerchiamo di proporre ai nostri studenti un percorso cognitivo-formativo secondo una visione unitaria o olistica del mondo, avendo come meta finale la comprensione e realizzazione della “totalità”. Ci muoviamo secondo una prospettiva transpersonale (Assagioli, Boggio Gilot, Bocconi, Jung…) e non-dualista (concetto di vacuità, interdipendenza e interrelazione buddhiste), gli studi delle neuroscienze e la visione della fisica quantistica, cercando di proporre agli studenti un approccio alla conoscenza non settario e non fondato sulle divisioni, ma bensì olistico, interculturale e interdisciplinare.
In questo contesto, in particolare, la prospettiva transpersonale ci presenta l’essere umano come una unità bio-psico-spirituale. L’approccio transpersonale e transrazionale – secondo Laura Boggio Gilot, una psicoterapeuta che stimo moltissimo – “affronta i temi della salute, della malattia e dello sviluppo mentale nella complessa trama di interazioni istintuali, emozionali, mentali e spirituali, che non esclude le dinamiche interpersonali ed i rapporti con la natura, il cosmo ed il suo Principio”.
La pedagogia non-dualista è una pedagogia interreligiosa e interculturale. Oltre all’aspetto cognitivo, si cura la maturazione di un ego sano, con l’obiettivo di trascenderlo in futuro. Gli studenti imparano che i fenomeni esterni sono un’illusione creata dalla mente, e si promuove la consapevolezza dell’essere Tutt’Uno. La comprensione che noi siamo i creatori della nostra realtà percepita, e che gli altri esistono nella nostra mente come parte di noi stessi, apre la strada a una prospettiva etica e morale diversa rispetto alla visione dualista. Quando riconosciamo che gli altri sono parte di noi, sviluppiamo un senso di equanimità. Non c’è separazione tra “me” e “loro”. Questo ci porta a trattare gli altri con calma e comprensione, indipendentemente dalle circostanze. Se vediamo gli altri come parte di noi stessi, la violenza diventa inaccettabile. Non vogliamo ferire noi stessi, quindi non vogliamo ferire gli altri. La nonviolenza diventa un processo naturale. La consapevolezza che gli altri sono “me” genera compassione. Ci preoccupiamo per il loro benessere e cerchiamo di alleviare la sofferenza, proprio come faremmo per noi stessi.
Se riconosciamo la nostra stessa natura negli altri, trattiamo gli altri con rispetto e perdono. Non c’è spazio per il giudizio o la vendetta, per l’egoismo, l’ingiustizia…
Alice Project Universal Education è molto diverso da tutti gli altri progetti di istruzione “coloniali” in giro per mondo perché non importa il modello di istruzione occidentale, ma vuole valorizzare in loco il sistema tradizionale di istruzione. Come è strutturata?
Per parlare di questo mi rifaccio alla tradizione buddhista che narra la storia del saggio Nasruddim il quale cercava, sotto un lampione, la chiave che aveva perso. “Nasruddim, – chiese un amico – che cosa stai facendo?”. “Sto cercando la chiave di casa!” – rispose. Dopo aver cercato per lungo tempo, l’amico chiese: “Ma dove hai perso la chiave?”. “Là in fondo!” – rispose Nasruddin. “Allora, perchè la cerchi qui?” – domandò l’amico. “Perchè qui c’è la luce!” – rispose Nasruddim. La stessa cosa capitò a me quando capii che la realtà percepita non è là fuori, ma una costruzione della mia mente e cervello. Purtroppo, l’Occidente ha convinto gli indiani a cercare la chiave sotto il lampione. Ci sarebbe molto da dire sui disastri causati da alcune ONG internazionali in India, Nepal, Bhutan e in Africa in nome di paradigmi culturali alieni all’ambiente in cui operano. L’importazione di modelli culturali e di sviluppo occidentali può portare a un’imposizione culturale, minando le tradizioni locali, la lingua, le pratiche religiose e la coesione sociale, causando conflitti e destabilizzazione.
Alice Project Universal Education non cerca di imporre un modello di istruzione occidentale, ma piuttosto mira in modo decoloniale a valorizzare e preservare i sistemi tradizionali di istruzione locali. Questo approccio rispetta le culture e le pratiche educative specifiche di ciascuna comunità, promuovendo l’empowerment e la partecipazione attiva degli studenti. Ad esempio, abbiamo aperto tre scuole per i profughi della minoranza etnica chakma – rifugiati in India dal Bangladesh, perchè di religione buddhista – per impedire che i loro figli perdessero la loro identità, studiando nelle scuole statali o private che si vantano di essere “secolari”. Per gli studenti induisti proponiamo lo studio dei testi sacri e la conoscenza dei grandi yogi e rishi del passato e recenti: Ramalinga Swami, Ramakrishna Paramahamsa, Sri Aurobindo, Shirdi Sai Baba, Ramana Maharshi, Swami Ramdas, Paramahansa Yogananda, Mahatma Gandhi, Sri Krishnamurti, Nisargadatta Maharaj. Sarebbe bene che questi grandi filosofi fossero conosciuti anche dagli studenti occidentali.
Ricordo l’affermazione del Rettore della Sanskrit University, in occasione della cerimonia di premiazione del Progetto Alice, che mi disse: “Noi avevamo perso la chiave di accesso alla nostra cultura. Tu ce l’hai fatta trovare!”. Un riconoscimento davvero coraggioso, umile e sconvolgente per noi, modesti ricercatori e sperimentatori di Alice. Credo che, a parte le scuole di Alice, non esistano, in India, scuole dove i curriculi sono strutturati secondo l’antica saggezza dei Veda, Vedanta, Advaita Vedanta e della vacuità del Buddhismo.
Avete trovato opposizioni?
Ricordo che fui attaccato dai Lefevriani1 per una dichiarazione fatta in una intervista per La Repubblica. Il concetto era questo: “Noi ci proponiamo di non cambiare i nostri studenti, ma di aiutarli ad “essere”. Se sei cristiano, sii coerente e diventa un perfetto cristiano. Se sei buddhista, diventa un perfetto buddhista. Lo stesso se segui qualsiasi altra religione. Manifesta e vivi la tua religione. Testimonia i valori della pace, dell’amore, della fratellanza, dell’unità contenuti in tutte le grandi religioni. Fai questo, in comunione con i tuoi compagni di classe.” Non solo i Lefevriani hanno male digerito l’ecumenismo e la visione interreligiosa di Alice, ma anche uno studente della facoltà di antropologia di Bologna che fece l’unica tesi (in una lista di undici) critica nei nostri confronti. Scrisse un centinaio di pagine per dimostrare che l’obiettivo di Alice, ovvero il recupero dei valori della tradizione indiana, era da condannare. Lo chiamò “Progetto egemone”. Non solo, l’ecofilosofa fiorentina Gloria Germani scrisse, dieci anni fa, un libro molto interessante su di noi dal titolo “A scuola di felicità e decrescita: Alice Project”. Prima di pubblicarlo con Terra Nuova, questo libro venne rigettato da molteplici editori perché scandalizzati dal fatto che c’era una parte dedicata alla “pedagogia dell’emergenza” di Alice, cioè la preparazione degli studenti ad una eventuale – e molto probabile – disoccupazione di massa. Al contrario, la rivista Terra Nuova pubblicò un articolo proprio su questa “pedagogia estrema” di Alice, dimostrando coraggio e apertura non comuni. Oggi, di fronte a fenomeni così diffusi come la crisi economica e, purtroppo, il dilagare dei suicidi per problemi legati a fallimenti, alla perdita del lavoro, ad insuccessi di vario genere, la pedagogia non-dualista di Alice può fornire davvero ai giovani una grande stabilità psico-emotiva insegnando che la realtà non si riduce alla materia e che la vita non va valutata solamente in base al successo socio-economico. Questa stabilità emotiva è l’unica che potrà consentire loro di superare le difficoltà del mondo globalizzato di oggi. Nonostante le grandi difficoltà, gli studenti di Alice potranno sempre ritornare alla calma della mente, ricorrere al bagaglio interiore di serenità che hanno coltivato fin da bambini e fare tesoro degli insegnamenti dei tanti saggi che ci hanno preceduti nell’affrontare i momenti difficili della vita2.
1 Lefebvriani, nome con cui viene definita la Fraternità Sacerdotale San Pio X, sono una società di vita apostolica di stampo ultra-tradizionalista cattolico fondata a Friburgo l’1 novembre 1970 dall’arcivescovo cattolico Marcel Francois Lefebvre. Sono conosciuti per le loro posizioni scismatiche, ultraconservatrici, pre-conciliari, sedevacantiste, antisemite e negazioniste della Shoah che strizzano l’occhio agli ambienti dell’estrema destra teologica e politica. Vennero scomunicati da Papa Giovanni Paolo II e, dopo essere stati riammessi da Papa Benedetto XVI, riscomunicati da Papa Francesco.