Il 6 agosto, come del resto tutti gli altri giorni del calendario, ci dimentichiamo del 6 agosto del 1945 e di Hiroshima.
Ovviamente non è esattamente così perché in tutto il mondo ci si ricorda di Hiroshima, ma è un ricordo rituale, sterile, che dimentica troppe cose e non costruisce una memoria planetaria condivisa.
Spesso si arriva a non citare neppure i responsabili di quell’orrore, quasi si trattasse di una calamità naturale. Un po’ come quando si ricorda che il 27 gennaio del 1944 “si aprirono i cancelli di Auschwitz” senza ricordare il particolare che ad aprirli furono i soldati dell’Armata Rossa. Allora stesso modo spesso si ricorda lo scoppio della prima bomba atomica, a cui fu dato cinicamente il nome scherzoso di “Little Boy”, come se questa fosse caduta misteriosamente dal cielo.
Invece dal cielo era caduta, ma dopo essere stata sganciata da un aereo degli Stati Uniti d’America. L’onore toccò al bombardiere B-29 Superfortress chiamato “Enola Gay”, come la mamma del pilota, il colonnello Paul Tibbets.
Tibbets venne più volte decorato, fu promosso generale, si dichiarò sempre orgoglioso del lavoro svolto e disse di dormire sonni tranquilli.
Se risaliamo nella catena di comando arriviamo ovviamente al Presidente degli Stati Uniti d’America, Harry Truman, esponente del Partito Democratico, responsabile diretto anche della seconda bomba atomica, “Fat man”, che distrusse la città di Nagasaki.
Il calcolo molto approssimativo dei morti stima 166.000 vittime a Hiroshima e 80.000 a Nagasaki, morti avvenute anche a distanza di decenni per l’effetto delle radiazioni.
Nessuno pagò per questi due orrendi crimini di guerra e al tempo stesso nessuno mai si scusò per l’accaduto.
A giustificare l’ingiustificabile si asserì che le due città vennero sacrificate per porre fine alla guerra, poi emerse anche il cinismo statunitense di voler impressionare l’Unione Sovietica, chiarendo quale fosse la forza micidiale e spaventosa della prima, e in quel momento unica, potenza nucleare. Per finire saltò fuori anche il fatto che non si voleva perdere la ghiotta occasione di testare sul campo due differenti ordigni nucleari.
Se gli americani si autoassolsero, allo stesso tempo decisero magnanimamente di lasciare sul trono l’Imperatore Hirohito, nonostante fosse uno dei principali responsabili dello scatenarsi della Seconda Guerra Mondiale e dei numerosi crimini di guerra compiuti dall’esercito giapponese nei Paesi occupati.
Come raccontare ai nostri ragazzini questo orrore indicibile?
Io da bambino avevo deciso che appena possibile sarei entrato nell’esercito come volontario, per intraprendere la carriera militare.
Mio nonno era stato artigliere durante la Prima Guerra Mondiale, mi parlava della Grande Guerra come una grande avventura, piena di ricordi e storie entusiasmanti da raccontare, storie di onore e di coraggio. I migliori anni della sua vita, gli anni in cui aveva fatto le sue amicizie migliori erano quelli della guerra.
Nella mia mente i racconti di mio nonno Giovanni, i fumetti della collana Supereroica, con i marines in guerra contro i “maledetti musi gialli”, si fondevano distillando un’ideale “romantico” della guerra in cui i buoni vincono alla fine sui cattivi, come nei film delle giubbe blu contro gli indiani.
La mia maestra Gianna se ne accorse, giustamente preoccupata e mi propose la lettura di un libro di guerra. Accolsi con entusiasmo la proposta, ma si trattava de’ “Il gran sole di Hiroshima”! Lo lessi d’un fiato senza mai interrompermi, a tratti piangendo.
Allora questo schifo disumano era la guerra? E furono i “buoni” a polverizzare le città e i bambini che ci vivevano?
E poi scoprii che nonno Giovanni con i cannoni doveva sparare ai suoi commilitoni se si fermavano e non si decidevano ad andare all’assalto a farsi mitragliare dal nemico, mentre nonno Attilio come carabiniere era infiltrato nella truppa e doveva denunciare i sobillatori per cui era pronto il plotone di esecuzione.
Lo fecero, non lo fecero, dovevano farlo… la guerra è questo schifo, è un crimine contro l’umanità che deve essere solo e soltanto bandita dalla storia.
Già, ma come diceva Antonio Gramsci, “la Storia insegna, ma non ha scolari”. La Storia in realtà gli scolari può averli, se viene interpretata da insegnanti come la mia maestra Gianna.