“Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”? Questo il quesito su cui si sono iniziate a raccogliere, dal 20 luglio scorso, le firme necessarie per svolgere un referendum abrogativo della cosiddetta “Legge Calderoli”, già in vigore, con cui ci si è deciso di differenziare i diritti fondamentali delle persone in base alla loro regione di residenza e, di conseguenza, della ricchezza prodotta dal territorio.
Un tema su cui si discute da anni e sovente imbrogliando i cittadini. In pratica per una serie di materie, 23, fra cui scuola, sanità, lavoro, si mira a rendere più garantito chi già lo è, togliendo risorse a chi è già in condizioni di disagio. La proposta nasce dalle velleità separatiste 2.0 della Lega, ma ha incontrato, neanche tanto tempo fa, il placet anche di presidenti di regione del centro sinistra, come Stefano Bonaccini in Emilia – Romagna, che si è limitato a proporre piccole modifiche di facciata. E per tempo si sono confrontate due diverse scuole di pensiero: chi pensava alla possibilità di emendare e rendere meno drastici gli effetti dell’autonomia e chi invece ha ben compreso che non esistevano spazi di mediazione. Alla fine il testo Calderoli, approvato in Parlamento, necessitava di un’opposizione radicale e diretta, sia per ragioni di semplificazione del quesito da sottoporre al giudizio delle cittadine e dei cittadini, sia perché non c’era nulla di riformabile. L’avevano ben capito coloro che diedero vita in tempo al “Comitato per il NO a qualsiasi tipo di Autonomia Differenziata”, tanto è che chi sta andando a firmare, nei banchetti presenti col caldo torrido in tutto il Paese o, finalmente, avvalendosi della tecnologia digitale con lo Spid, sta dimostrando di non avere dubbi.
Grazie all’attivazione, dopo 4 anni di attesa, della piattaforma digitale sul sito del Ministero della Giustizia per la firma online dei referendum, il successo ha stupito gli stessi organizzatori. Mentre scriviamo ci giunge notizia che in 10 giorni sono state già raggiunte 500 mila firme. Ne serviranno altre, magari anche il doppio per ottenere due risultati: evitare il rischio di invalidamento ma, soprattutto poter spiegare alle persone, continuando a fare i banchetti di raccolta, l’importanza vitale che ha tanto la firma quanto recarsi e far recare le persone a votare. Essendo un referendum costituzionale per essere valido deve votare almeno il 50% + 1 di chi ha diritto ed è facile che fra le destre si sviluppi una campagna astensionista.
Entusiasta Marina Boscaino, portavoce del Comitato contro ogni autonomia differenziata, che abbiamo raggiunto e che così si è pronunciata: «Il successo straordinario della raccolta firme online per celebrare entro la primavera il referendum abrogativo della legge Calderoli, la 86/2024, ci deve far riflettere su alcune cose fondamentali: innanzitutto su una rinnovata voglia dei cittadini e delle cittadine di essere protagonisti/e, di riconquistare i propri spazi di partecipazione e la propria libertà. Un buon segno e una buona prospettiva per il futuro. In secondo luogo, su quanto siano tenaci nel nostro Paese – al netto di individualismo, disillusione, antipolitica – alcune principi fondamentali, come l’unità delle Repubblica e l’uguaglianza dei diritti. Ancora: il fatto che la firma online abbia fatto registrare questa eccezionale impennata deve prepararci alla sorpresa che avremo rispetto alla raccolta nelle piazze, nelle strade, a contatto con la gente: banchetti affollatissimi, grande voglia di comunicare, entusiasmo per l’iniziativa. Infine: tutto ci conferma che i quasi sei anni di lavoro che i Comitati per il Ritiro di ogni Autonomia Differenziata hanno svolto incessantemente per formare e (contro)informare le persone sulla (contro)riforma eversiva dell’Autonomia Differenziata sono serviti a qualcosa. Silenzio e inconsapevolezza sono oggi acqua passata, grazie anche all’iniziativa referendaria promossa dalla CGIL. Non perdiamo questa straordinaria occasione, firmiamo e facciamo firmare. Una firma li ferma».
Sperando che la Corte di Cassazione consideri valido il quesito referendario, sorge ora un altro ostacolo da affrontare per ottenere un’ampia partecipazione. Difficile che “TeleMeloni” offra ampio spazio alla campagna referendaria. Nonostante il corpo elettorale del centro destra non sia così entusiasta della legge Calderoli, i cui effetti entrando in vigore, creeranno anche scenari di crisi, lo scambio è stato già fatto: l’Autonomia Differenziata è il dazio da pagare a Salvini per ottenere il via libera rispetto al premierato, altro gravissimo colpo alla Costituzione su cui presto ci si dovrà misurare, sempre mediante referendum. Ma come convincere chi è profondamente preda del clima di sfiducia verso la politica tout court – si veda l’affluenza alle urne per le recenti elezioni europee? Occorre spiegargli i guasti che l’Autonomia introduce e che penalizzerà anche le cosiddette regioni ricche, soprattutto nel vasto stato delle persone in povertà assoluta o relativa che cresce costantemente nel Paese. Vanno lanciate parole chiare e semplici per motivare le persone a recarsi al voto, perché dai risultati dipenderà il futuro anche delle nuove generazioni.
A parte l’assurda inutilità di ridurre uno Stato piccolo come l’Italia a 21 staterelli, le cui condizioni di vita cambieranno varcando il confine, come spiegarlo con esempi convincenti? La secessione che si va attuando, se non si vince il referendum sarà quella dei ricchi. Porterà a privatizzare servizi essenziali a smantellare il Servizio Sanitario Nazionale, a rendere anche il diritto allo studio una variabile legata alle risorse. L’autonomia, come afferma la vulgata, non colpirà unicamente il Sud – che sicuramente ne pagherà le conseguenze peggiori – ma ogni provincia italiana ha al proprio interno dei “sud” in cui sono assicurati meno servizi, in cui si investe di meno e solo secondo la logica del profitto. La creazione di una cornice normativa differenziata – “più complessa e disomogenea”, come ha affermato la Banca d’Italia – rallenterà investimenti e capacità delle imprese più piccole di far fronte ad un mosaico di leggi per chi operi produttivamente su più regioni, con un aumento esponenziale di costi amministrativi ed economici, cui difficilmente potranno far fronte.
Ma forse l’esempio migliore, per spiegare il senso di questo mostro giuridico, lo ha proposto, con amara ironia Alessandro Robecchi su “Il Fatto Quotidiano” il 3 luglio scorso parlando di “Anarchia differenziata fra staterelli litigiosi”. Spiega lo scrittore: «Ancora non sono stati definiti i LEP., che significa Livelli Essenziali di Prestazione, cioè un minimo sindacale sotto il quale non si può andare. Esempio: ti sloghi una caviglia in Veneto e viene a prenderti un elicottero con le pale in cristalli Svarowski e due infermiere finaliste di miss Universo, ma se la caviglia te la sloghi in Molise potrebbero abbatterti sul posto con una pietosa fucilata». E ancora, « Naturalmente non sono sfuggite all’acuto legislatore alcune materie come finanza pubblica, sistema tributario, previdenza, casse di risparmio eccetera eccetera, così che uno dovrà andare in giro con documenti che attestano la sua appartenenza a una determinata regione, e in base a quelli avrà diversi trattamenti, sia fiscali che pensionistici. Una cosa che prelude a interessanti scambi di prigionieri in caso di guerre interregionali: settantadue pensionati lucani in cambio di un pensionato lombardo. La cosa più divertente della riforma è l’istituzione di una Cabina di Regia del governo nazionale in cui una manciata di burocrati di nomina politica potranno dire cosa è esagerato, in quella deliziosa anarchia, e cosa no. Per esempio, quando abbatteranno a fucilate (LEP) quello che si è slogato una caviglia in Molise o si è tagliato un dito nelle Marche, decideranno il calibro, l’ora dell’esecuzione, e se sia lecito avvertire i parenti».
Potrebbe essere ironia o un pericoloso suggerimento. Nel dubbio firmate, c’è tempo fino al 30 settembre.