Il Perù è un Paese che continua ad essere diviso e ferito nel post-Fujimori, non riesce a trovare la strada per la democrazia, la stabilità e la giustizia. Il 28 luglio decine di peruviani residenti in Italia non celebreranno il giorno dell’Indipedenza, ma da tutta Italia raggiungeranno Firenze per una grande marcia. Non c’è nulla da festeggiare finché il presidente legittimamente eletto Pedro Castillo sarà in carcere.
I comitati autoconvocati di tante città italiane si sono dati appuntamento domenica a Firenze, riempiranno alle 14.00 Piazza Santa Maria Novella con le wiphala, le variopinte bandiere de los pueblos originarios” per sostenere il leader che più ha rappresentato le istanze degli indigenas, della popolazione sopraffatta da decenni di terribile dittatura prima, da instabilità e politiche neoliberiste di governi di destra, sottomessi agli interessi delle multinazionali adesso.
Oltre alla liberazione di Castillo e alla giustizia per le vittime della repressione, le loro istanze sono elencate nero su bianco nel programma della manifestazione:
- dimissioni di Dina Boluarte, definita usurpatrice,
- chiusura del congresso,
- assemblea costituente per una nuova costituzione,
- rispetto dei diritti dei popoli indigeni, delle loro ricchezze e delle loro risorse naturali,
- no all’impunità per gli omicidi compiuti durante la dittatura,
- no alla deforestazione,
- no alla privatizzazione dell’acqua.
La marcia è promossa dai comitati: Tupac Katari di Firenze, Pex Milano Reg.Lombardia, Maria Parado de Bellido – Milano, Tomasa Tito de Condemayta – Roma, Collettivo di Perugia e Collettivo Rita Puma di Genova.
“E’ importante difendere la causa di Castillo indipendentemente dalla propria idea politica, perché con il suo arresto hanno violato tutti i suoi diritti. Se possono fare questo a un presidente immagina cosa possono fare ad un comune cittadino”, spiega Francisco, un peruviano residente a Roma, che sottolinea di non essere di sinistra e di non aver neanche votato per Castillo.
Per molti peruviani non si difende semplicemente un presidente che si ritiene vittima di una congiura, si difende un’idea di democrazia e giustizia, si difende la propria identità, umiliata e sopraffatta da secoli di colonialismo e imperialismo.
“E’ stato fatto fuori perché in Perù il razzismo è totale e lui è indigeno. – prosegue Francisco – Non era tollerabile. Questo è ciò che più ha urtato il potere, perché era una persona delle Ande”.
Castillo è in carcere dal dicembre 2022. Il 6 giugno la detenzione preventiva è stata prolungata di 18 mesi. Era stato accusato di colpo di Stato dopo aver sciolto il parlamento e chiesto un governo di emergenza nazionale, mentre il congresso si riuniva per votare la terza mozione di impeachment nei suoi confronti.
Per i suoi sostenitori si è trattato di una cospirazione, un tradimento. Difatti il suo braccio destro, Dina Boluarte, ne ha approfittato per prendere il suo posto ed eseguire un’agenda politica lontana da quella con cui lei e il presidente “maestro”, speranza degli indigenas e dei campesinos, erano stati eletti.
Oltre ad applicare politiche neoliberiste, la Boluarte è ritenuta responsabile della repressione delle manifestazioni contro la destituzione di Castillo. A puntare il dito non è soltanto la sinistra peruviana, ma anche Amnesty International, che l’accusa di essere stata, in quanto capo delle Forze Armate e della Polizia, al vertice della catena di comando da cui arrivarono gli ordini di aprire il fuoco.
In base a quanto riporta l’organizzazione internazionale per i diritti umani, sono documentati almeno 20 casi di esecuzione di manifestanti durante i tre mesi di proteste. Tra le 50 vittime uccise durante gli scontri, 7 sono minori: nessuno di loro partecipava o stava manifestando, tutti erano indigenas, alcuni sono stati colpiti alla schiena. Si deve ricordare anche il caso straziante di Rosalino Flores, ferito durante una manifestazione con 36 perdigones dalle forze dell’ordine. È morto dopo più di 70 giorni di atroce agonia.
“Invece di chiedere ai suoi subordinati di rendere conto di quanto stessero facendo, la presidente Boluarte promosse di grado alti ufficiali che avevano supervisionato le operazioni delle forze armate e della polizia, che avevano causato numerosi morti”, scrive Amnesty.
La repressione ha causato inoltre 1400 feriti, centinaia in gravi condizioni, mentre centinaia di manifestanti sono stati arrestati. Si ricorderà la polizia con i blindati all’università San Marcos di Lima: durante l’irruzione vennero arrestati oltre 200 studenti.
Domenica si chiederà finalmente giustizia per morti, feriti e attivisti arrestati durante le proteste per il rilascio di Castillo.
Giovedì 25 alcuni esponenti dei comitati hanno tenuto una conferenza stampa al Comune di Firenze con il consigliere Dmitrij Palagi, capogruppo di Sinistra Progetto Comune, che ha definito “contrarie alla democrazia” le modalità che “hanno portato alla destituzione di Pedro Castillo”.
“L’attuale contesto minaccia la vita di tante persone, reprime in modo violento le contestazioni e porta a una minaccia anche nei confronti dell’Amazzonia”.
Il Perù è come un povero seduto su una sedia d’oro. La lotta per la libertà di Castillo unisce inevitabilmente le istanze di riscatto dei popoli originari per la propria identità, alla difesa dell’ambiente contro lo sfruttamento delle risorse minerarie, il disboscamento della foresta Amazzonica, l’inquinamento del terreno e delle acque, il saccheggio delle enormi ricchezze di questa terra, che è la condanna alla miseria per il suo popolo.