Riceviamo e pubblichiamo dalla agenzia stampa Interris.it

Era nell’aria, ed è arrivato via etere. La campagna elettorale per le presidenziali Usa 2024 non si sta facendo mancare niente, quanto a colpi di scena.
Con un post su X, Joe Biden ha annunciato il proprip ritiro dalla corsa alla Casa Bianca e ha passato il testimone alla sua vicepresidente Kamala Harris.
L’uomo che da mezzo secolo è al servizio del suo Paese, ha dato l’appoggio a quella che, qualora vincesse le elezioni di novembre, potrebbe passare alla storia per essere la prima presidente donna, di colore e figlia di immigrati nella storia degli Stati Uniti.
Ma l’ultima parola su Harris come candidata del Partito democratico – che non sembra concorde su di lei – dovrebbe arrivare alla convention dei democratici, che si terrà il 19 agosto a Chicago. Intanto a cento giorni dall’election day, i repubblicani che hanno formalmente investito il ticket Trump-Vance per il 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington, sono avanti nei sondaggi di circa sette punti.
Per provare a capire come Biden sia giunto a questa decisione, cosa può succedere adesso e per tracciare un profilo della candidatura di Harris, Interris.it ha intervistato Gregory Alegi, docente a contratto di Storia e Politica degli USA nel Dipartimento di Scienze Politiche alla Luiss di Roma.

L’intervista

Professore, cosa ha convinto Biden a ritirarsi?

“Da storico, dico che lo sapremo tra vent’anni, quando avremo carte e documenti. Tornando all’attualità, dal disastroso dibattito televisivo contro Trump del 27 giugno la pressione su di Biden è andata aumentando, e da venerdì ha cambiato idea nel giro di 48 ore. Occorre capire quale ruolo possono aver giocato i vari componenti della sua famiglia e cosa si sono effettivamente detti nei colloqui con Barack Obama”.

L’endorsement alla sua vice, Kamala Harris, era dovuto?

“Da una parte quasi obbligato, perché i fondi raccolti dai comitati elettorali del ticket Biden-Harris non possono essere girati ad altri, a differenza di quelli raccolti dal Comitato centrale del Partito democratico. Rinunciare a quei soldi al momento di una candidatura sarebbe come lanciare un prodotto sul mercato senza fare la pubblicità”.

E dall’altra parte?

“Un altro motivo è la continuità, un candidato che non rivendica i successi del suo partito è corre azzoppato. Harris è l’eredita politica di Biden, non candidarla sarebbe stato come dire che lui ha sbagliato. Ma i democratici stanno facendo adesso, con un anno di ritardo, i ragionamenti che avrebbero dovuto fare nel 2023. Non hanno saputo riconoscere e comunicare tempestivamente i rischi di una ricandidatura di Biden e ora tutto avviene sotto gli occhi degli elettori”.

Il Partito democratico ha annunciato un “processo trasparente per la scelta del nuovo candidato”. Quale strategia hanno in mente i dem Usa?

“In diversi Stati i delegati alla convention non sono liberi di cambiare ma sono tenuti a votare per il candidato per il quale sono stati eletti, inoltre i numeri per sostenere un altro nome sono difficili da trovare. I big del partito, quelli che invitavano Biden a non continuare, appoggiano Harris”.

E’ il profilo adatto a competere con Trump?

“E più giovane ed è energica, inoltre è stata procuratore e possiede il piglio di chi è abituato a dibattere e a discutere. Dovrà avere le spalle larghe perché retorica la trumpiana non è moderata”.

Chi può votare per lei?

“Lei dovrebbe poter rivendicare tutto il bacino elettorale di Biden, un centrosinistra moderato detto in termini nostrani, e sia l’elettorale femminile che quello multietnico. Quest’ultimo è un gruppo che nelle rilevazioni demografiche cresce sempre di più e nel giro di una generazione negli Stati Uniti i bianchi passeranno dall’essere la popolazione a maggioranza assoluta a quella relativa. Ma l’’insicurezza bianca’ è ancora uno dei motori forti dei trumpiani”.

Può colmare e ribaltare il distacco dai repubblicani?

“Biden era in crescita, ma tra l’attentato e la convention Trump si è ripreso e la situazione per i democratici è peggiorata. Il distacco dovrebbe aggirarsi sui 7-8 punti percentuali, secondo i sondaggi, quasi impossibili da recuperare – ma le variabili sono tante. A oggi manca ancora l’indicazione del vicepresidente di Harris e quale sarà la sua piattaforma, probabilmente quella dell’attuale presidente in aggiunta a qualche tema a lei più vicino”.

Che campagna elettorale ci attende da qui in avanti?

“Finora è stata brutta ed è difficile immaginare possa migliorare, ci possiamo aspettare toni sopra le righe.
I democratici si troveranno di fronte a una scelta: continuare a essere signorili, per non spaventare il voto moderato, col rischio di essere travolti dall’atteggiamento aggressivo dei concorrenti, o rispondere a tono, rischiando di perdere il loro profilo più rassicurante”.