Paola Parlato è un’insegnante di frontiera, frontiera tra l‘agio e il disagio, tra la ruvidezza e il torpore, tra borghesia e proletariato si sarebbe detto un tempo: è docente di lettere in un liceo tecnico del quartiere Brancaccio di Palermo, il quartiere di Don Pino Puglisi.

E’ pittrice e poeta, ma non tiene per sé questi doni: realizza laboratori di arteterapia per ragazzi autistici, inventando sempre nuovi e diversi percorsi di inclusione.

Pratica meditazione buddista ed anche nei suoi componimenti e nei suoi dipinti traspare la comprensione della non-dualità, della impermanenza, della interdipendenza, il lavoro del fare vuoto nel cuore oltre la sofferenza, l’accompagnamento a un morte felice, la sorpresa della partecipazione cosmica.

La raccolta “Non mi lasciare, accompagnami”, pubblicata a maggio da Antipodes, piccola casa editrice di Palermo, racchiude tutti questi significati e altri ancora legati agli affetti personali, trasfigurati alla luce della compassione universale.

La scrittura è semplice e quotidiana all’apparenza, tratteggia scene che evocano i quadri di Hopper, nei quali il gesto ordinario assume lo spessore metafisico di un rinvio all’oltre. L’autrice spesso pensa per immagini ed esse costituiscono una “mossa spiazzante”, producono slittamenti di senso imponendo al lettore attenzione, interpretazione e riscrittura, come ogni buona poesia deve fare, secondo Heidegger: un’apertura verso “il chiaroscurare dell’Essere”.

Quanto ai temi, ce li propone la stessa Parlato, suddividendo la silloge in sezioni: Figli madri e fratelli, Amore, Vita, Morte.

In verità, però – ed è questa la prima cifra, forse, della sua poesia – ella narra con un taglio intimo e raccolto anche eventi che potremmo dire storici, poiché figli e fratelli sono tutti, carcerati migranti alunni difficili guerriglieri, mai definiti o categorizzati, però, accostati invece con delicato e amorevole rispetto, sicché siamo noi che dobbiamo intuirne le storie e i dolori.

Siamo i figli di pochi anni/con i capelli lisci e scuri/e un solo paio di scarpe.

…vedo un figlio/sbucare dalle onde/…Sono una madre senza ventre/di figli scappati lontano/a cercarsi.

Eccovi/fieri e forti come animali,/nel branco sapete dove siete/Guardate gli altri,/amate e giocate a perdifiato/appoggiati come fratelli/sulle spalle dell’altro/vi prendete il mondo/nell’allegria di un bacio.

Non sterminare più nessuno/sono già tutti morti/sono solo i fantasmi della tua tristezza./…/Pensaci bene, pensami bene,/io sono anche un po’ di te/abbiamo le stesse scarpe/ e gli stessi orrori.

C’è poi una seconda cifra, la consonanza con la natura, più intensa nei luoghi del cuore, come le sellette e gli inghiottitoi delle Madonie dietro quelle pietre là/dove si vede l’Etna, o la campagna di famiglia, il pescheto dove si ride, il viale dei mandarini, il giardino dove col nonno ha appreso a riconoscere e raccogliere gli asparagi, e i tanti uccelletti e l’istrice e i cani avidi e gli innumerevoli gatti.

Mi sento nell’agio/del mio essere animale/asino e cane/ gatta e pecora/capra belante/e giumenta/mi sento una regina/delle erbe e dei frutti/della pioggia e del sole/niente mi manca/il mio respiro nuota finalmente felice/nel verde.

Ecco la compenetrazione buddista, che consente di trasfigurare il dolore e la morte.

Siamo rete di Indra/io sono l’altro/senza vederlo/nella pandemia/accetto la paura/dell’incertezza e/della solitudine.

…sarà un viaggio bellissimo/un passaggio di luce/la tua luce con la luce dell’universo/si sposerà/e cascheranno boccioli profumati.

Ma non è  garanzia pregiudiziale dall’inquietudine, dal male di vivere che va attraversato tutto e mai rimosso.

E io che sferruzzo i giorni/cercandone un senso/che preghiamo a fare/dove siamo/chi siamo/gli amici/il nulla assoluto/non ho abbracci/freddo nel caldo/una famiglia persa.

Infine, o al principio, ci sono gli affetti, i genitori che hanno lasciato il proprio corpo, il parto della figlia ora adulta, il compagno di sempre.

Guerriero stanco/vecchio timoniere/che non perde la rotta/marinaio nobile dei miei pensieri.

A chi, dunque, sono rivolte le parole del titolo: non mi lasciare, accompagnami? Ognuno può immaginare e scegliere. A me piace pensarle indirizzate al lettore, invitato a condividere un’avventura esistenziale singola e collettiva a un tempo, ma soprattutto aperta.

…non ho risposte/preferisco osservare le ragnatele che crescono…