L’ennesimo articolo del Giornale contro le Organizzazioni non governative che continuano ad operare soccorsi nel Mediterraneo centrale, dove le autorità italiane abbandonano ai libici ed ai tunisini persone in cerca di soccorso e protezione, contiene una serie di dati relativi ai procedimenti penali ed amministrativi nei quali sono state coinvolte le ONG che dovrebbero convincere i lettori del “successo” del governo italiano, conseguito con la introduzione del Decreto Piantedosi n.1 del 2023 (legge n.15/2023) e con le prassi che ne sono seguite, con l’assegnazione di porti vessatori e con il sistematico fermo amministrativo delle navi umanitarie.

Una catena di provvedimenti che i tribunali civili hanno annullato o sospeso, e che non ha nulla in comune con la sequenza di procedimenti penali avviati a partire dal 2017 contro le ONG ed i comandanti delle navi del soccorso civile, tutti conclusi, meno un caso ancora aperto a Ragusa, con l’archiviazione.

Si dimentica persino la giurisprudenza della Corte di Cassazione (n.6626/2020), dalla quale è venuta l’archiviazione del caso Rackete, e le recenti motivazioni dell’archiviazione del processo Iuventa a Trapani. Ma per l’articolista del Giornale conta solo l’aritmetica, il numero dei procedimenti, senza neppure distinguere quelli amministrativi da quelli penali.

Come al solito, le statistiche sventagliate secondo convenienza servono a nascondere i fallimenti del governo, ormai evidenti anche a livello internazionale, e le gravi violazioni del diritto dell’Unione europea, in particolare del Regolamento Frontex n.656 del 2014, e delle Convenzioni internazionali, ribadite anche dal’UNHCR, violazioni che l’applicazione delle norme previste dal Decreto Piantedosi continua a comportare.

Come hanno puntualmente rilevato diverse sentenze dei giudici civili, mentre a favore dell’applicazione del Decreto Piantedosi si contano soltanto due decisioni del Tar Lazio, in evidente contrasto con il sistema gerarchico delle norme imposto dall’art.117 della Costituzione, richiamato anche dalla Corte di cassazione (n.6626/2020), che dimostrano soltanto come la giustizia amministrativa sia sempre più sensibile agli indirizzi di governo, trasfusi nelle difese dell’Avvocatura dello Stato.

Evidentemente si ritiene che i lettori del Giornale non comprendano la differenza che passa tra l’archiviazione di un procedimento penale e l’adozione di un provvedimento di fermo amministrativo, poi annullato o sospeso, in quasi tutti i casi, da un Tribunale civile.

Si mettono così sotto accusa i “soccorsi multipli” o i comandanti che non avrebbero obbedito ai comandi dei guardiacoste libici, per sostenere che “le ONG non possono più permettersi di fare il bello ed il cattivo tempo”.

Senza neanche una parola per le migliaia di vite perdute in mare per effetto degli accordi bilaterali, e della invenzione di zone SAR (di ricerca e salvataggio) nelle quali non si soccorre ma si intercetta, spesso su indicazioni di Frontex. Con la delega del coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio a guardie costiere che non rispettano gli obblighi sanciti dalle Convenzioni internazionali, e che, nel caso della Libia, sono sotto inchiesta anche da parte delle Nazioni Unite, per la collusione con le organizzazioni dei trafficanti che si vorrebbero combattere.

Questa volta si ricorre addirittura ad un Rapporto dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali, per sostenere la tesi del “successo” del Decreto Piantedosi, alla vigilia di un vertice internazionale euro-africano, il “Trans-Mediterranean Migration Forum”, che si svolgerà a Tripoli il 17 luglio, all’insegna della collaborazione e della esternalizzazione nelle operazioni di respingimento collettivo delegate alle milizie ed alle guardie costiere di paesi terzi, che non rispettano i diritti umani e non garantiscono porti sicuri di sbarco.

Paesi nei quali si è stimato che muoiono nel deserto o finiscono in campi lager una parte di coloro che non riescono più a fuggire dalla Libia e dalla Tunisia. Che però “fanno statistica”, contribuendo ad abbassare i dati degli arrivi in Italia, risultato che il governo Meloni deve esibire per nascondere i propri fallimenti ed il degrado del livello della narrazione pubblica in materia di immigrazione ed asilo.

Non esiste un “nodo immigrazione”, come titola il Giornale, esiste invece in Italia un “nodo informazione”, con il silenziamento delle notizie ufficiali sugli sbarchi e sulle responsabilità per i casi di abbandono in mare, ed una martellante propaganda che punta soltanto alla criminalizzazione del soccorso civile ed alla celebrazione dei successi del governo.

Se si legge davvero, e per intero, il più recente Rapporto dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali sui soccorsi in mare, si scopre subito la portata della strumentalizzazione praticata da chi ha voluto ricavarci dati in favore del Decreto Piantedosi e della politica che lo ha ispirato.

I casi riferiti dal Rapporto dall’Agenzia europea, che confermano un precedente Rapporto del 2020, non dimostrano affatto “come per anni le ong abbiano potuto operare indisturbate”, ma fanno emergere chiaramente come la questione dei soccorsi in mare sia stata ampiamente strumentalizzata da diversi governi in carica nel corso del tempo, con accuse, ispirate soprattutto dal ministero dell’interno, che i giudici penali prima, ed i Tribunali civili adesso, hanno totalmente destituito di fondamento.

Mentre nel frattempo migliaia di persone morivano in mare dopo l’allontanamento delle navi del soccorso civile dalle acque internazionali del Mediterraneo centrale.

Allontanamento imposto con l’assegnazione di porti vessatori, con l’adozione sistematica di provvedimenti di fermo amministrativo, e con il rafforzamento della collaborazione con la sedicente “Guardia costiera libica”, che in realtà è un’accozzaglia di milizie armate, generosamente dotate di imbarcazioni dal governo italiano, e più recentemente con la Guardia costiera tunisina.

Nel Rapporto, al Paragrafo 3 si osserva come “Diverse navi di soccorso impiegate da organizzazioni della società civile non sono state in grado di effettuare operazioni SAR a seguito di ispezioni, indagini o fermo di navi da parte delle autorità portuali.

In altri casi, i membri dell’equipaggio o gli attori della società civile hanno affrontato procedimenti penali legati alle loro attività SAR.
Tali procedimenti penali, così come le misure amministrative contro le navi impiegate – come il blocco delle navi nei porti a causa di irregolarità tecniche relative alla sicurezza marittima o la detenzione temporanea delle navi per aver violato la legge nazionale – hanno un effetto dissuasivo e intimidiscono gli attori della società civile”.

No purtroppo, il vento non è “cambiato”, a differenza di quanto si afferma nel Giornale. Quello che non si ottiene con gli attacchi pretestuosi sul piano legale, si cerca di ottenerlo con la disinformazione di massa, con i falsi grossolani, nascondendo i dati reali e travisando la portata delle decisioni dei giudici.

Giudici che sono esposti ormai a pressioni intollerabili quando non si allineano alle attese del governo, e sanciscono la illegittimità dei provvedimenti amministrativi con i quali si continua ad ostacolare la ricerca ed il salvataggio nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale.

Adesso nel mirino ci sarà anche la Corte Costituzionale, che dovrebbe pure occuparsi del Decreto Piantedosi, per la quale si attende, entro la fine dell’anno, la nomina “politica” di quattro giudici.

Su questo attacco alla indipendenza della magistratura, dopo le limitazioni opposte alla libertà di informazione, anche attraverso media compiacenti, come si è sperimentato da anni in materia di immigrazione ed asilo, si dovrà rivolgere l’attenzione dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali.